A meno di nove mesi dalle più importanti elezioni presidenziali americane di questo secolo, che decideranno non solo del futuro dell’America ma anche di quello dell’Europa, ci troviamo in una situazione estremamente pericolosa che nessuno avrebbe immaginato trentatré anni fa alla caduta dell’Urss, caduta che secondo i più doveva portarci un nuovo, pacifico e stabile ordine mondiale. A renderla pericolosa sono innanzitutto le guerre dell’Ucraina e di Gaza, il terrorismo islamico, il disegno della Russia di una guerra spaziale, l’incognita cinese e la crisi delle democrazie liberali. Ma sono anche le difficoltà di prevedere con quale Presidente statunitense, Joe Biden o Donald Trump o chi altro, avremo a che fare dall’anno prossimo, e quale strada imboccherà l’America. Queste difficoltà paralizzano la politica estera di gran parte del mondo, perché dalla Russia alla Cina e dall’Iran all’Unione Europea quasi tutte le potenze attenderanno l’esito delle votazioni statunitensi di novembre prima di giocare le loro carte. Non è escluso che nei prossimi mesi l’attesa induca Hamas e Israele e Mosca e Teheran a temporeggiare riducendo le ostilità, cosa che sarebbe un bene per tutti, ma sarà Washington a condizionare il corso che esse e Pechino e in particolare l’Europa seguiranno.
La strategia di Putin
Al momento a trarre vantaggio da questa situazione è il presidente russo Putin, che i giorni scorsi si è macchiato della morte del leader del dissenso Aleksei Navalny, e che sta preparando una sfida all’Occidente ancora più impegnativa della Guerra dell’Ucraina, la sfida della Guerra spaziale appunto, lanciata da Washington a Mosca negli Anni ottanta ma poi abbandonata in seguito al crollo dell’Urss. Putin progetta sia l’installazione di missili nucleari nell’orbita terrestre, sia la distruzione di satelliti americani già orbitanti, progetto a cui potrebbe rinunciare solo a condizioni molto dure per l’America e per l’Europa. E dopo mesi di silenzio aggrava le incertezze degli elettori americani affermando di preferire una vittoria di Biden, “un politico vecchio stile”, a una vittoria di Trump, “un politico imprevedibile”. Ovviamente è una menzogna per fare apparire più arrendevole Biden, che lo ha accusato di avere ucciso Navalny mentre Trump ha taciuto, e per sottrargli quindi voti, dato che molti americani sono antirussi. Putin, ormai un dittatore, sta sfidando l’America e l’Europa anche in altri modi, a esempio invitando Hamas e la Jihad islamica a una conferenza sulla Palestina a Mosca. Il suo messaggio è chiaro: senza una trattativa con la Russia, gli attuali pericoli non verranno superati.
Scenario preoccupante
Se Trump non si fosse ricandidato alla Casa Bianca la situazione sarebbe completamente diversa. Nel 2025 anche un nuovo Presidente, repubblicano anziché democratico, supponiamo Nikki Haley, la ex governatrice della Carolina del Sud ed ex ambasciatrice americana all’Onu, seguirebbe grosso modo la politica estera di Biden, perché così è sempre stato dalla Prima guerra mondiale nella alternanza tra i due partiti, salvo qualche cambiamento temporaneo. L’America non concederebbe nulla a Putin, continuerebbe ad appoggiare l’Ucraina, a mediare in Medio Oriente e a presidiare il Golfo Persico, a lavorare con l’Europa, a dialogare con la Cina. In altre parole, si confermerebbe una superpotenza relativamente benevola e costruttiva e la Russia e le altre potenze saprebbero come reagirebbe alle loro iniziative e ai loro progetti e si comporterebbero di conseguenza. Ma Trump non solo si è ricandidato, ha già eliminato Nikki Haley e gli altri suoi rivali, e c’è la possibilità che venga rieletto Presidente. E sotto la sua presidenza l’America si trasformerebbe in una superpotenza prevalentemente malevola e distruttiva, oltre che in una semidittatura, perché il vero obbiettivo di Trump è di vendicarsi della sconfitta alle elezioni del 2020 e del fallimento del suo tentativo di golpe del 6 gennaio 2021.
Il grande destabilizzatore
Trump diverrebbe il grande destabilizzatore dell’attuale fragile ordine mondiale. Lo ha dichiarato egli stesso definendo “traditori” i sostenitori dei diritti umani e civili all’interno degli Stati Uniti, prospettando campi di concentramento per gli immigrati, minacciando di condannare a morte quanti sventarono il suo golpe e così via. E lo ha confermato delineando la fine della Nato, l’Alleanza transatlantica che per 75 anni è stata l’ago della bilancia mondiale, una “cordiale intesa” con Putin (di cui momentaneamente non parla più) e una prova di forza con la Cina e con l’Iran. In America, c’è chi considera queste sue esternazioni meri espedienti elettorali e chi teme invece che siano appelli ai trumpisti a ricorrere alle armi nel caso che perda di nuovo le elezioni. Ma tutte le potenze, l’Unione Europea in testa, sono adesso chiamate a correre ai ripari da una seconda presidenza Trump. Noi italiani ed europei dobbiamo capire che Trump non ci ama, ci detesta, ci considera sfruttatori dell’America perché per 75 anni ci siamo fatti difendere da essa. Se dopo l’Ucraina Putin, che sogna la rinascita dell’Impero degli zar, attaccasse i Paesi Baltici o la Polonia, come paventa persino la Germania, non illudiamoci, Trump non interverrebbe. Di qui la necessità che l’Ue si doti di uno scudo nucleare.
Meno critici verso Biden
La consapevolezza che la situazione in cui ci troveremmo con una seconda presidenza Trump sarebbe ancora più pericolosa della situazione odierna deve spingerci a guardare alla ricandidatura di Biden con occhi meno critici. E’ vero che a 81 anni il Presidente americano soffre di perdite di memoria e che fatiche eccessive per il suo fragile fisico gli causano periodi di stanchezza. Ma è falso che la sua mente non sia più lucida e che la sua esperienza di politica estera, superiore a quella di tutti i precedenti inquilini della Casa Bianca, conti poco. Biden inoltre si è circondato di politici e diplomatici capaci che contribuiscono molto alle sue decisioni, un serbatoio di cervelli di cui Trump non si servirebbe mai. E a proposito di Trump, che ha 77 anni, occorre ricordare i dubbi sulle sue condizioni mentali sollevati alle elezioni del 2016 e registrati da un dossier della Cia poi scomparso, nonché i processi a suo carico in corso per stupro, violazioni elettorali e insurrezione. In America qualcuno ha scritto che a novembre gli elettori dovranno scegliere tra un mentecatto e un mascalzone. E’ una volgarità inaccettabile, ma è lecito osservare che il Partito Democratico e il Partito Repubblicano, entrambi retti da una gerontocrazia, avrebbero potuto presentare candidati più giovani e carismatici.
Il problema Kamala Harris
Attualmente, il Partito democratico discute se Joe Biden debba ritirarsi o non. La maggioranza è contraria anche a causa di un dannoso precedente, quello di Lyndon Johnson, che si ritirò nel 1968 lasciando il posto al vice Hubert Humphrey, che venne sconfitto dal candidato repubblicano Richard Nixon. Il Partito democratico discute altresì su come superare, oltre che il problema della salute di Biden, anche il problema del suo vice, Kamala Harris, donna e di colore, che ha dato scarsa prova di sé. Sul primo problema avrà sicuramente l’aiuto dei medici. Ma sul secondo rischia di spaccarsi in due. Una corrente sostiene che Kamala Harris, la quale si è dichiarata “pronta a servire il Paese”, è indispensabile per la conquista del voto femminile e del voto nero, mentre un’altra obbietta che nei sondaggi è impopolare o sottovalutata. Questa seconda corrente si augura che Biden faccia come il presidente Roosevelt, il vincitore della Seconda guerra mondiale, che lasciò scegliere il vice, Harry Truman, al Congresso del Partito del 1944. Ma sarebbe una scommessa. La scelta potrebbe cadere su Gavin Newsom, il governatore della California, un socialdemocratico che in America, un Paese sostanzialmente conservatore, è giudicato troppo a sinistra, mentre il Partito ha bisogno del voto cosiddetto fluttuante, ossia moderato.
Un futuro incerto
Per ora, l’ipotesi più ragionevole è che le elezioni presidenziali americane del 2024 saranno il bis di quelle del 2020, come predetto quattro anni fa da alcuni esperti, a meno che Trump sia condannato e imprigionato e che la salute di Biden declini al punto che egli appaia incapacitato al Congresso del Partito l’estate prossima. C’è da sperare che in assenza di alternative Biden rimanga alla Casa Bianca anche solo per parte del suo secondo mandato. Tuttavia, prima delle elezioni sono possibili svolte per il peggio perché l’America non è più quella che ha dato al mondo leaders come Franklin Roosevelt, John Kennedy, Barack Obama, il primo presidente nero, tra i democratici, e come Teddy Roosevelt, Ike Eisenhower, Ronald Reagan tra i repubblicani. L’America rimane un colosso militare, finanziario e tecnologico senza pari, ma in politica, nei diritti umani e civili, nell’immigrazione, che pure la ha resa grande, e in altri campi, essa è oggi allo sbando, e in buona parte sembra volere ritornare indietro anziché andare avanti, in nome di una libertà individuale senza limiti. Il Partito repubblicano, ridotto a feudo di Trump, ne è lo specchio, non rappresenta più il centrodestra storico ma un regime assolutista bianco evangelico e maschilista, come dimostra la condotta dei suoi parlamentari.
Anticorpi per salvare la democrazia
Nei dibattiti politici in Europa si è soliti dire che nei più allarmanti momenti di crisi l’America sviluppa anticorpi che salvano la sua democrazia. E’ incontestabile, ma nel caso di Trump essa impiegò quattro anni a farlo, dal 2016 al 2020, e non è certo che abbia conservati gli anticorpi fino ad adesso. Le mancanze che alimentano i dubbi sono numerose. La mancanza di candidati nuovi e vincenti alla Presidenza del Paese. La mancanza di campagne popolari contro il razzismo e la povertà. La mancanza di una mobilitazione giovanile per le riforme economiche e sociali. La mancanza di una opposizione corretta e costruttiva. La mancanza di una influenza moderatrice sui Paesi, anche alleati, trascinati in conflitti atavici (vedasi i costanti no del leader israeliano Netanyahu a uno Stato della Palestina). Per quanto anziano e smemorato Biden ha in pratica governato in un vuoto o controcorrente con discreti risultati, al contrario di quanto fece Trump. E, cosa di estremo valore per l’Europa, è europeista e pro Nato, non le lascerebbe mai nelle mani dei loro nemici, da Putin agli Ayatollah. In passato, l’America è stata colpevole di colonialismo e imperialismo e ha combattuto guerre ingiuste. Ma oggi le nazioni imperialiste e colonialiste dalle guerre ingiuste sono altre.
Ennio Caretto