Il vescovo mons. Gianni Sacchi ha concluso la visita pastorale all’Up Santa Gianna Beretta Molla. Un cammino intenso, durato due mesi, nell’Up a Sud della Diocesi, tra Montemagno e Villadeati). Nel suo bilancio, emerge un concetto più volte espresso durante la visita, negli incontri con le istituzioni: “Dobbiamo metterci insieme, darci una mano e collaborare per il bene comune della nostra gente”. Inoltre resta l’interrogativo su come rilanciare le Unità pastorali, su come superare il campanilismo e arrivare a una “conversione pastorale”.
In questa visita ha scoperto aspetti del territorio e delle UP che non conosceva?
“In questi primi sei anni come Vescovo ho avuto modo di incontrare varie realtà parrocchiali, durante le feste patronali o per le cresime, però si è sempre trattato di contatti in cui il Vescovo va, celebra e saluta. Invece con questa modalità, la conoscenza del territorio è stata molto più approfondita. In primis mi ha colpito ancora una volta la bellezza del territorio. E ho pensato alla situazione generale delle strade che sono davvero in pessimo stato specialmente, ma non solo, quando si esce dalle provinciali. Se non si curano le vie di comunicazione e i trasporti come si può pensare di attrarre visitatori e turisti nel nostro bel Monferrato? Una bella scoperta è stata quella legata alle attività locali: molte piccole realtà lavorative portate avanti con grande passione, considerando il momento di crisi che stiamo attraversando. Mi hanno piacevolmente sorpreso le aziende vitivinicole: così numerose e gestite con passione. Poi il nostro territorio ha anche saputo diversificare le coltivazioni con i noccioleti e in questi anni con gli uliveti. Sono stato inoltre colpito da tutti gli incontri con le associazioni; da piccole realtà come il tamburello ; o l’incontro con i sindaci in cui si è parlato delle loro difficoltà e ai quali ho ribadito che non ci si salva da soli, che dobbiamo metterci insieme, darci una mano e collaborare per il bene comune della nostra gente. Nel Monferrato ho trovato una grande disponibilità e apertura, una grande vicinanza delle istituzioni con i parroci e una sincera accoglienza nei miei confronti; un grande rispetto reciproco”.
Spesso durante gli incontri e le celebrazioni lei ha usato il termine campanilismo. Nella sua visita ha visto una Chiesa che ha superato questa visione?
“E’ significativo questo: il mio predecessore, nel 2010, ha iniziato il discorso sulle Unità pastorali e nel 2015 le ha ufficializzate con un decreto. Però mi sono accorto, già con la prima visita, delle grandi difficoltà che queste hanno ancora ad esprimersi concretamente: ci provano i preti con l’équipe, ma la mentalità è ancora quella che è nel Dna delle parrocchie e delle persone, dove la parrocchia deve essere autosufficiente in tutto con il proprio prete e le strutture tradizionali. Siamo andati avanti così per secoli perché cambiare? Ma nel frattempo i preti sono drasticamente diminuiti e la situazione sociale ed ecclesiale è mutata. Se si fossero messi in pratica concretamente le norme e i principi fondamentali che monsignor Alceste aveva pensato, la realtà oggi sarebbe diversa. Ma io dico che è questione di pochi anni e molte cose cambieranno”.
Quindi lei è ottimista , pensa che le cose possano cambiare?
“Sì penso di sì. Guardiamoci intorno, ci sono piccole comunità; comunità che hanno sempre più difficoltà ad esistere, la frequenza dei praticanti è crollata, la pandemia ha peggiorato la situazione e non c’è stato nessun entusiasmo con la ripresa post-Covid: questo è il dato di fatto con cui ci confrontiamo e per cui saremo inevitabilmente obbligati ad andare oltre al campanilismo. È tutto un discorso aperto”.
Nelle varie Up che ha già visitato ha riscontrato delle differenze?
“Diciamo che ci sono Up più attive perché ci sono dei sacerdoti che ci tengono, che sono motivati, che hanno preso sul serio i principi dell’Up; in questo caso le cose funzionano un po’ meglio, si realizzano delle attività e c’è un cammino. Se però i primi a non crederci sono i preti, allora si fanno quelle due o tre riunioni all’anno, così il Vescovo e il Vicario generale sono contenti, e avanti come si è fatto finora. Le Up sono diverse per le convinzioni che ne hanno i parroci e per il tipo di lavoro e di discernimento che viene fatto da loro insieme ai collaboratori. E’ vero che ci sono i laici, ma se manca colui che stimola, che forma , che sprona, ed è il prete che deve farlo, quelli che girano attorno si sentono pesci fuor d’acqua. Pensiamo come esempio positivo al coro interparrocchiale che ha cantato all’inizio e alla fine di questa visita pastorale”.
Ma fino a che punto lei può esercitare una moral suasion perché i preti si convincano?
“Il Vescovo può fare qualcosa, ci sono principi e norme, però il problema non è quello di imporre, ma quello di entrare in una ‘conversione pastorale’ cambiando prospettiva, modo di vedere, di percepire la realtà: mi converto, provo percorsi nuovi ascoltando i bisogni e le aspettative della nostra gente. Uscire da schemi precostituiti, da schemi fotocopia. In tante nostre realtà la pastorale è tipo fotocopia: prassi collaudate che non ci portano via troppo tempo nel pensare ad un serio discernimento sulle prassi pastorali. Ma le persone sono sempre meno e sempre più anziane; e così non si è più Chiesa in uscita, ma Chiesa chiusa in sacrestia. Non ci sono ricette magiche, ma credo che il puntare sulle famiglie e sul loro coinvolgimento nella formazione delle nuove generazioni sia una strada da percorrere. Senza dimenticare l’attenzione e la formazione dei giovani che ancora frequentano i nostri ambienti. Perché la gente non viene più in Chiesa? Il messaggio del Vangelo non tocca più le persone perché non riusciamo a trasmettere la bellezza e la realtà del messaggio di Gesù; ripetiamo parole e schemi stantii. Con ciò non vuol dire che dobbiamo stravolgere tutto: il Vangelo e il deposito della fede sono inalterabili, ma evidentemente sono le modalità con cui io lo trasmetto che devono cambiare. Dobbiamo inventare strade nuove, come fecero le prime comunità cristiane di fronte ad un mondo completamente pagano. Per prima cosa la conversione pastorale deve toccare il cuore dei preti che devono sentirsi evangelizzatori e missionari in questo nostro tempo, insieme alla consapevolezza che il sacramento dell’ordine ti dona il sacerdozio, ma poi devi viverlo spendendoti per gli altri, mettendoti in gioco e cercando di cogliere le ansie, le attese, le gioie, i dolori e le difficoltà della nostra gente”.
Potrebbe essere utile fare più formazione ai presbiteri?
“Da quando io sono qui, abbiamo percorso nuove strade, ad esempio abbiamo coinvolto suor Katia Roncalli della Comunità Evangelii Gaudium a far corsi di formazione per i preti e laici, promosso esercizi spirituali o la tre giorni del clero. Suor Katia ha proposto ai preti di essere annunciatori del Vangelo con modalità nuove. Poi stiamo proponendo ai preti dei corsi sulla bellezza della liturgia; sui Vangeli della domenica con dei biblisti. Nelle chiese della Diocesi alla domenica circa 8000/9000 persone vanno a Messa: cosa si trasmette a queste persone? La gente deve uscire da Messa con delle domande che il sacerdote ha stimolato in loro, delle riflessioni da portarsi dentro come una luce che illumina il cammino settimanale. In coscienza, tutti i ministri del Vangelo, compreso il Vescovo, dovrebbero interrogarsi alla fine sulla fecondità del loro ministero: cosa sto costruendo, cosa sto seminando? Poi è vero che non sta a noi raccogliere i frutti, perché è il Signore che li raccoglie, noi dobbiamo seminare senza riserve. Naturalmente non va dimenticata la formazione dei laici, che deve essere ripresa in tutta la Diocesi a vari livelli tenendo conto della possibilità dell’istituzione di Lettori, Accoliti e Catechisti a livello ministeriale”.
Riguardo alle future visite pastorali pensa che qualcosa vada cambiato nella loro organizzazione?
“Sono partito nel 2020 con uno schema nuovo, una modalità diversa dalla visita pastorale classica, da parrocchia a parrocchia; ora siamo passati alla visita per Unità pastorale. Ogni Up ha qualcosa in sé di diverso, quindi lo schema rimane quello classico di visitare, incontrare tutte le varie realtà ecclesiali sul territorio e non solo… ma poi sono aperto a tutte le soluzioni e alle proposte che mi faranno i preti attraverso il loro moderatore. Diciamo che è una cosa in evoluzione in base alle esigenze delle parrocchie. C’è uno schema fisso: il Vescovo viene e celebra in tutte le chiese parrocchiali, nelle Rsa, visita i malati e anziani in casa. Personalmente l’ho fatto per una vita da vice parroco e poi da parroco, come anche con la visita a tutte le famiglie con la benedizione pasquale annuale. Capisco che i parroci oggi hanno più parrocchie, ma per me era un momento importante di incontro, di ascolto e di presenza di Chiesa in uscita, anche se faticoso. E ringrazio chi continua a farlo con tanto impegno distribuendolo durante tutto l’anno”.
Un bilancio del percorso nella Up?
“Sono stato soddisfatto di questa visita: ho trovato grande collaborazione tra tutti i laici, e vorrei dire un grande ‘grazie’ al moderatore e ai parroci che mi sono stati vicini e penso che anch’essi siano stati contenti di avere il Vescovo con loro per diversi giorni. Per quanto mi riguarda la visita pastorale è sempre un momento molto arricchente perché, come pastore, sono felice di stare in mezzo alla gente e anche per conoscere meglio il territorio. Le visite pastorali mi hanno fatto conoscere alcune chiese dove non c’erano state occasioni di cresime o quant’altro, come ad esempio le chiese di Zanco, San Desiderio o Villadeati dove non ero mai stato”.
Per i membri della nostra Up il momento della preparazione della sua visita ha messo in luce un grande desiderio di collaborazione e il piacere di lavorare insieme, la speranza è che non rimanga un momento isolato.
“Lo auspico, e infatti nella Messa di conclusione a Calliano ho sollecitato i tre progetti che devono essere presi in mano dai parroci e dall’équipe pastorale e cioè: un progetto di Catechesi/Annuncio, pn progetto Liturgico e un progetto di Carità. Oltre al coro interparrocchiale ora si cominci concretamente a pensare, elaborare e realizzare insieme, come comunità parrocchiali, queste realtà capaci di creare unità e comunione. Poi il Cammino Sinodale che tutta la Chiesa ha intrapreso ci dona una nuova modalità di partecipazione più consapevole di cui si stanno vedendo i frutti là dove viene vissuto”.
Luciana Revello