Da qualche settimana, il mondo parla tanto di pace in Ucraina. Ne parla da Mosca e da Kiev, come naturale al terzo anno di guerra, dagli Usa e dall’Ue, da Pechino e da Riad, e così via. E’ segno che tutti sono inorriditi da questo bagno di sangue, russi, ucraini, europei, americani, cinesi, arabi. Ma è un parlare vano, a meno di un miracolo, e non perché le posizioni del presidente russo Putin e del presidente ucraino Zelensky rimangano antitetiche. Ma perché molto difficilmente Mosca e Kiev siederanno a un tavolo prima delle elezioni presidenziali americane di inizio novembre. Anzi, non siederanno affatto se sarà Trump a vincerle, in quanto il candidato repubblicano ha già promesso che porrebbe fine alla guerra in 24 ore. E come? Come spera Putin: smettendo di armare l’Ucraina e lasciandola sola. Il motivo? La sua difesa è già costata troppo agli Usa. Trump ha anche messo la Nato sull’avviso: gli Usa non usciranno dall’Alleanza Atlantica solo se gli europei si addosseranno una buona parte del suo costo.
L’ “Asse del male”
Sarà diverso se l’America rieleggerà presidente Biden. Biden ha dimostrato di sapere come mettere Putin in difficoltà. Autorizzando gli ucraini a colpire con i missili americani le rampe di lancio in territorio russo, ad esempio, ha salvato almeno al momento Kharvik. Il suo prossimo passo, dopo la sua eventuale rielezione, potrebbe essere una massiccia fornitura a Kiev di armi e munizioni pesanti e nuove tecnologie belliche. Il leader russo ne è consapevole, è ritornato nella Corea del Nord dopo 24 anni per ottenere dal dittatore Kim altri aiuti militari, oltre ai parecchi milioni di proiettili sinora ricevuti. Come di consueto Medvedev, il suo braccio destro, ha minacciato di rappresaglia l’America e l’Europa evocando due scrittori apocalittici: “Kafka e Orwell fumano nervosamente sullo sfondo”. Ma al pari di Putin, Medvedev sa che con Biden ancora alla Casa Bianca le pressioni internazionali per un armistizio e per trattative di pace aumenterebbero. La Russia potrebbe contare sul sostegno solo della Corea del Nord e dell’Iran, il nuovo “Asse del male” come la trojka è detta a Washington, persino la Cina ne prenderebbe le distanze.
Dalla Corea al Vietnam
Putin ha approfittato del viaggio nella Corea del Nord per fermarsi anche nel Vietnam, divenuto uno dei grandi centri finanziari asiatici, dove negli ultimi nove mesi lo avevano preceduto Biden e il presidente cinese Xi Jinping. Un tappa di disturbo agli Usa, che come la Cina hanno con il Vietnam un rapporto costruttivo: l’intento dello zar infatti è di formare un fronte antiamericano dal Medio all’Estremo Oriente in funzione non soltanto della guerra dell’Ucraina ma anche di quella di Gaza. Dai tempi del conflitto vietnamita la Russia è il maggiore fornitore di armi di Hanoi, ma i suoi commerci con essa totalizzano appena 4 miliardi di dollari annui contro i 111 miliardi degli Usa e i 171 miliardi della Cina. E Hanoi non sembra intenzionata ad abbandonare la “diplomazia del bambù” o della flessibilità, che le consente di coltivare i suoi interessi estraniandosi dalle beghe tra le superpotenze. Una condotta comune ad altri Stati che esitano a entrare nei Brics, il gruppo dei colossi emergenti ostili all’America.
Il vertice fra lo zar e Kim
Un linguaggio roboante, dall’annuncio di un “partenariato strategico” all’impegno “alla reciproca difesa”, con la velata minaccia di attacchi missilistici alla Corea del Sud che aprirebbero un terzo fronte all’America, ha accompagnato la visita di Putin a Kim. L’apertura di un terzo fronte dopo quelli dell’Ucraina e di Gaza costerebbe probabilmente la Casa Bianca a Biden. Ma L’ultima cosa che la Cina vuole è un conflitto nel cortile di casa, e la Cina ha un’influenza molto maggiore della Russia sulla Corea del Nord. Xi inoltre diffida di Trump, che lo considera l’avversario più temibile ed è invece pronto a una “cordiale intesa” con Putin. All’atto pratico, va sottolineato, il vertice tra lo zar russo e il dittatore nordcoreano è servito soltanto a garantire a Mosca più armi e munizioni e a Pyongyang più generi alimentari e tecnologie. Non ha spostato gli equilibri sul terreno nella guerra dell’Ucraina, perché l’unico che può spostarlo è l’Occidente. E come? Intensificando la produzione bellica e gli aiuti militari a Kiev al punto da fare capire a Putin che non riuscirà a vincere, come accadde a Hitler nella Seconda Guerra mondiale.
Il monito di Putin
Non si tratta di aggravare ed espandere i bagni di sangue in corso da tre anni. Si tratta di impedire a Putin di occupare altri territori ucraini con sistemi difensivi più avanzati di quelli di cui dispone il presidente Zelensky. Putin ha già ammonito che se Kiev non accetterà le sue richieste negoziali, in futuro ne avanzerà di nuove e più pesanti. E’ un tentativo di ricatto come lo è il suo monito che in caso di necessità userà armi atomiche tattiche. Lo zar sa che Biden potrebbe fermarlo. Come Hitler che nel 1939 scatenò quella che chiamava “la guerra lampo” ma che diventò la Seconda Guerra mondiale, tre anni fa Putin credette di arrivare a Kiev in poche settimane. Non tenne conto della possibilità che l’Occidente intervenisse. Nel 1943, l’Alto comando tedesco capì di avere perso il conflitto perché non era più in grado di competere con la produzione bellica degli alleati. Putin rischia di trovarsi nella stessa condizione. Su questo piano, “l’Asse del male” non può competere con l’America e la Nato,
Divisi in due sul riarmo
Ogni volta che si parla di riarmo dell’Ucraina, il mondo e l’Italia si dividono in due, una pugnace minoranza protesta affermando che urge la pace, senza riflettere che sta facendo il gioco di Putin. Ma l’Ucraina e l’Occidente devono arrivare a trattative da posizioni di forza, se non si vuole che la Russia, di qui a qualche anno, cerchi di annettersi parte dei Paesi Baltici o cosa altro. Putin ha violato il principio fondamentale della politica internazionale, il rispetto della sovranità territoriale e della indipendenza degli Stati, come fecero i leaders sovietici invadendo l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la Polonia dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta. Giorni fa in Svizzera, ottanta Paesi su novantadue hanno firmato un piano di pace che parte proprio da questo principio, e che prevede la cessazione delle ostilità e l’avvio di serie trattative. E la Cina, che si è schierata dalla parte della Russia pur senza aiutarla militarmente, ha fatto lo stesso. I confini non possono essere cambiati a piacimento di chi usa la forza. L’Unione Europea è la dimostrazione di quanto ciò sia importante, al suo interno essi sono inalterabili.
Il ruolo dell’Occidente
Supponiamo che Trump perda le elezioni. Se l’Occidente si disunisse ulteriormente sull’Ucraina, se non sfornasse in sempre maggiori quantità armamenti di ogni genere e se non li fornisse a Zelensky, Putin trionferebbe. Non ci sarebbero armistizi né negoziati, l’Ucraina perderebbe la sua sovranità territoriale e la sua indipendenza così stabilendo un nefasto precedente per altri focolai di guerra in tutto il mondo, dai Baltici, come su accennato, a Taiwan, rivendicata di continuo dalla Cina. Ma se l’Occidente desse prova della sua forza, l’Ucraina verrebbe salvata. Non c’è da illudersi sulla tregua e i negoziati che ne seguirebbero. Probabilmente, il loro punto di partenza non sarebbe la sovranità territoriale dell’Ucraina del 2001, l’anno in cui sancì il suo distacco dall’impero sovietico, crollato il Natale del 1999, ma quella del 2014, dopo che la Russia le sottrasse le due regioni russofone della Crimea e del Donetsk. Ma per lo meno, Putin sarebbe costretto a sgombrare le altre zone invase e a rinunciare a obiettivi come Odessa.
Evitare l’umiliazione di Putin
In un Biden due, l’Occidente dovrebbe però evitare di umiliare lo zar. Putin non è un deviato come Hitler è un dittatore scaltro e gelido, e agli occhi della Russia saprebbe fare passare una sconfitta per una vittoria ma ad alcune condizioni. L’Ucraina non potrebbe entrare nella Nato, e forse neppure nell’Unione Europea, da cui riceverebbe tuttavia un trattamento di favore; dovrebbe essere neutrale, come la Finlandia durante la Guerra Fredda; e non dovrebbe contendere alla Russia il controllo del Mar Nero. Sono condizioni accettabili, basta ricordare che nel 2008, quando il presidente americano George W. Bush chiese che la Nato aprisse le sue porte alla Ucraina, l’Europa pose il veto per non rischiare una nuova Guerra fredda. La nuova Guerra fredda scoppiò egualmente, ma a causa della Casa Bianca che avrebbe voluto nella Nato anche la Georgia, non del Cremlino, che non intendeva lasciare uscire i due Stati dalla sua storica zona d’influenza. Biden conosce bene questi precedenti, fu il vice presidente di Barack Obama dal gennaio 2009 al gennaio 2016, e l’architetto della politica americana in Ucraina e in Georgia.
Sei mesi cruciali
Il massimo in cui si può sperare oggi è una pace fredda, con l’Ucraina più territorialmente integra e più indipendente possibile, magari sotto un altro presidente, sotto la garanzia dell’Occidente, della Cina e della Russia stessa, se non l’anno prossimo quello successivo. Sempreché nei prossimi sei mesi non si verifichino tragici cambiamenti nel conflitto a danno di Kiev e a Washington a danno di Biden. L’Unione Europea, su cui il successo dell’“Asse del male” si ripercuoterebbe assai più che su qualsiasi altra regione al mondo, dovrebbe tenerlo presente e mediare a tutti i costi. Risolvere il problema ucraino, vanificando le mire della Russia, della Corea del Nord e dell’Iran, renderebbe più facile anche risolvere il problema palestinese, ed eviterebbe che questi anni Venti diventino la copia dei disastrosi anni Venti dello scorso secolo. Il 2025 si celebrerà l’Anno Santo. Certamente, papa Francesco prega che esso porti la pace a tutti i popoli coinvolti in questi massacri insensati, ucraini e russi, israeliani e palestinesi.
Ennio Caretto