COCCONATO – Il Carnival party, organizzato dalla Pro Loco è stato l’unico momento di festa in occasione del Carnevale, che non è mai stato connotato in paese da iniziative di particolare rilievo.
Fino al 1879 vi era la barbara usanza di tagliare la testa del tacchino appeso per aria con una corda attraverso la strada, con la testa all’ingiù: i fantini vi passavano sotto di corsa a cavallo, fino a che la testa insanguinata della povera bestia si distaccava dal collo; dopodiché veniva infilata su un bastone e i partecipanti a questa pagliacciata scorrazzavano per l’abitato andando a bere qua e là fino a ubriacarsi. Similari rituali carnevaleschi sono attestati in diversi paesi astigiani: famosa è la giostra del pitu di Tonco, dove, dopo infinite polemiche, il tacchino nel 2015 è stato sostituito da un simulacro in tessuto.
Gruppi spontanei di giovani cocconatesi organizzavano, già a inizio Novecento, vestiti con costumi alla buona, momenti di goliardia. In una vecchia foto si vede un gruppo di persone vestite con vecchi abiti e semplici costumi, con davanti un cesto, una damigiana e recipienti vari: si può supporre che negli ultimi giorni di carnevale i giovani andassero in giro per il paese con un carretto per una sorta di questua, accompagnata da canti e schiamazzi, e con quanto raccolto festeggiassero poi tutti assieme.
Nella frazione Vastapaglia vi era un singolare rituale carnevalesco che iniziava la domenica precedente il martedì grasso con le questue eseguite dai maschi (bambini e adulti) alla sera nelle case della frazione e della vicina borgata Tani. Con il ricavato delle questue si organizzava la festa, alla quale veniva invitato qualcuno in grado di suonare la fisarmonica; per l’occasione le donne preparavano i canestrelli.
Il Martedì grasso, giorno in cui nessuno avrebbe dovuto lavorare, avveniva il rito dell’Uomo selvatico: un contadino, quasi sempre lo stesso, si recava vigna a potare. Qui veniva successivamente catturato dagli altri uomini della frazione, che lo legavano con la rete utilizzata per trasportare il fieno e lo portavano a casa, dove avrebbe dovuto offrire da bere e mangiare a tutti i presenti. La festa, cui erano presenti anche le figure tipiche del Vecchio e della Vecchia, proseguiva con canti e balli fino a tarda notte.
Anche nei giorni successivi, fino alla domenica del Carnevale vecchio (alla sera si faceva festa. Questa manifestazione si inserisce nel filone di animali (come l’orso di meliga di Cunico) e uomini selvatici, figure emblematiche della tradizionale carnevalesca di alcune aree piemontesi.
A partire dal secondo dopoguerra il Carnevale è stato limitato a un pomeriggio di festa per i bambini e, in alcuni anni, a un veglione mascherato.
Franco Zampicinini