Sono morti a tre giorni di distanza la mamma ed il bambino che portava in grembo. Il fatto è accaduto qualche giorno fa a in Piemonte, a Torino, all’ospedale Martini. La mamma, di 37 anni, già con un figlio di sei anni era rimasta incinta e aveva deciso di interrompere la gravidanza con l’aborto farmacologico, la maledetta RU 486. E’ un sistema che rende vana l’obiezione di coscienza perché con due pillole ci si sbriga molto più in fretta che con un intervento chirurgico e non c’è bisogno di degenza. Al Martini c’è solo un medico ginecologo non obiettore. E poi costa molto meno alla Sanità. La mamma che non vuole portare avanti la gravidanza, va all’ospedale e assume una pastiglia. Questa provoca il distacco dell’embrione e la sua morte. Per tre giorni la mamma sa che il bambino che porta in grembo è morto. Non sono certamente belli per lei quei giorni. Poi va ad assumere la seconda pillola, quella che fa espellere il minuscolo esserino. Tutto è stato banalizzato, come prendere una pastiglia per il mal di testa. E qui c’è la mia infinita tristezza. La tristezza per due morti così fortemente legate. Un bimbo innocente, ancora minuscolo, ma che fin dall’istante del concepimento (quando è grande come la capocchia di uno spillo) è un progetto in autocostruzione perfettamente e infallibilmente completo. Dio ha voluto che il suo DNA, il suo patrimonio genetico con la ricchezza di un paio di milioni di anni di accumulo (circa 100.000 generazioni) siano pienamente compiuti e chiede alla mamma solo più nove mesi di protezione e nutrimento. E così tante mamme sono coscientemente ingannate dai fanatici propugnatori della morte che dicono: “Macché vita, un grumo di cellule, una “cosa” quasi invisibile, con nessun diritto e che ti darebbe tanti fastidi…”. E la soluzione, discreta, anche all’insaputa del padre, perché la donna è lasciata, sotto la ipocrita etichetta di essere libera di decidere del suo corpo, in una solitudine angosciante, con la giustificazione che la legge lo consente, termina con due pillole: una per uccidere, l’altra per espellere. A Torino le cose sono andate male, anche se l’ospedale afferma che tutto è stato fatto secondo il “protocollo”; perché la giovane mamma, tornata dopo tre giorni e dopo aver assunto la seconda pastiglia, sempre all’ospedale, dopo una decina di arresti cardiaci e con i medici che la assistevano seguendo tutte le indicazioni del “protocollo”, è morta. Alla prima menzogna, quella che nega qualsiasi diritto al concepito, come se fosse un tumore o un foruncolo, si aggiunge il silenzio sui pericoli. Nessuno dice che l’aborto farmacologico è sei volte più pericoloso di quello chirurgico, cioè che per una morte per aborto chirurgico ce ne sono sei per quello farmacologico. Ecco allora la mia infinita tristezza, per queste due morti emblematiche di cui ora si parla, che non sono le uniche. Certamente in Italia circa 200.000 aborti all’anno, 200.000 piccoli e meravigliosi progetti d’uomo, come siamo stati tutti noi, spenti dopo qualche settimana, qualche mese e anche molti mesi di gravidanza, rappresentano il 100% del risultato dei propugnatori della morte. Ora la tenerezza, la bontà e la misericordia di Dio accolgano insieme la mamma e il bambino, e noi dobbiamo ancora considerare che se tante mamme non si sentono di accettare la vita che sboccia in loro per la povertà, i disagi, la cattiva salute, la crisi famigliare e tante altre difficili situazioni, la colpa più grande, prima ancora di leggi inique (perché questa e tante altre leggi consentono cose cattive, come la spaventosa crescita del gioco d’azzardo, del commercio delle armi e di sostanze dannose come l’abuso del fumo, degli alcolici o dei medicinali), sta nella nostra volontà di non aiutare la famiglia con buone leggi che facciano apprezzare una culla come un dono di Dio e non come la maledizione della miseria. Ecco allora la radice del male: la globalizzazione dell’egoismo che chiude il cuore al bene comune e che stima l’unica ricchezza quella fatua del mondo e non è capace di fare del prossimo la vera espressione della dignità e della fraternità. Quale meravigliosa ricchezza c’è nel sorriso di un bimbo, nell’amore di due sposi, nel futuro della famiglia, nella crescita dell’umanità, nel miglioramento della società che sa che Dio ci ama, vuole la nostra felicità e non ci lascia mai soli.
d. paolo busto
PS: alla fine del 1941 una giovane mamma da poco in gravidanza, dopo la visita dal Primario dell’ospedale di Casale si sentì vivamente consigliata di abortire: “la sua salute è delicata, ha la nefrite, un anno fa per la morte della sua mamma ha perso il bambino al quinto mese, siamo in guerra e suo marito è stato richiamato per qualche tempo; e ha già un figlio. Non deve portare avanti questa gravidanza. Abortisca subito”. La giovane mamma replicò: “Professore, io mi fido di Dio, e se qualcuno dovrà morire, sarò io”. E con il marito pregava perché tutto si risolvesse per il meglio. A meta giugno nacque un bel bambino, e la giovane mamma dopo tre anni ne ebbe un altro. E visse (è il caso di dirlo) felice e contenta fino alla veneranda età di novant’anni. Lo avete capito: era mia madre.