Riceviamo e pubblichiamo:
“Una frase nell’udienza di lunedì 20 gennaio del processo Eternit bis a Vercelli mi ha lasciato basita: secondo i suoi avvocati difensori il secondo processo a carico di Schmidheiny sarebbe un accanimento assurdo, una ‘tortura di Stato’, perché, a più di 40 anni dai fatti contestati, non si può infierire su una persona. Sarebbe ‘tortura di Stato’ quella che chiede a un Tribunale di processare la persona che in una riunione coi maggiori dirigenti e manager in rappresentanza dei suoi stabilimenti in ogni parte del mondo, a Neuss in Svizzera, nel 1976, disse: “Questi dati (sulla sicura cancerogenicità dell’amianto) non devono arrivare agli operai e ai cittadini”. La persona che poi fece distribuire a tutti quei manager e dirigenti una specie di prontuario con domande e risposte preconfezionate per negare, minimizzare, in una parola mistificare la realtà per non perdere una fetta di mercato troppo importante e redditizia. La persona che a Casale Monferrato abbandonò lo stabilimento Eternit (92.000 metri quadrati) pieno di tonnellate di amianto, libero di uscire da varie aperture e dalle finestre, del tutto rotte o con teloni di plastica a sostituire i vetri, per inquinare la città ancora per 24 anni, fino a quando fu bonificato grazie all’intervento pubblico. La persona che spese poi cifre ingenti per controllare l’informazione, non volendo che gli fossero addebitate responsabilità in merito alla morte di operai e cittadini. La persona che spese ancora di più, immagino, per pagare i migliori avvocati per difendersi da quelle stesse accuse. Sarebbe ‘tortura di Stato’ questa? A me pare invece che sia ampiamente dimostrata la ‘tortura d’impresa’, quella legata alle scelte consapevoli di una persona che avrebbe potuto imprimere un corso diverso agli eventi e non l’ha fatto. Se nel 1976 Schmidheiny avesse detto: “Ora è sicuro che l’amianto uccide, cessiamo questa produzione, bonifichiamo là dove l’abbiamo lavorato”, quante persone si sarebbero potute salvare? La tortura è quella vissuta da decine di migliaia di persone che vivono nella paura la percezione di una tosse che non passa, nell’angoscia la diagnosi e il decorso di una malattia che non ha ancora una cura efficace e risolutiva, nel dolore il lutto per troppe persone care, che avrebbero avuto ancora tanto da dare alla propria famiglia e alla collettività. Se il signor Schmidheiny avesse voluto sottrarsi alla ‘tortura’ avrebbe avuto una possibilità, si sarebbe dovuto presentare qui e dire: “Ho sbagliato. Vorrei almeno risarcire i danni inferti alla collettività, assumendomi il carico totale della bonifica. Vorrei farmi carico dei figli, dei ragazzi che devono studiare, delle famiglie che devono continuare senza un sostegno economico. Vorrei farmi carico della ricerca scientifica per trovare una cura per il mesotelioma. Vorrei urlare con voi al mondo che certe scelte non devono più essere compiute, che non si può mettere davanti a tutto il profitto, ignorando o negando i danni alla salute delle persone e all’ambiente”. Se il signor Schmidheiny volesse adesso dire queste cose, io accetterei di ritirare la mia costituzione di parte civile. Anche lui è un essere umano, ha diritto di cambiare. Purché cambi. Per davvero.
Assunta Prato, cittadina indignata