“Allah è grande. Morte all’America. Morte a Israele. Maledizione agli ebrei. Vittoria dell’Islam” è la scritta che appare sulla bandiera degli Houthi, la milizia terroristica yemenita che dall’inizio della Guerra di Gaza attacca con droni, missili e barche esplosive i mercantili di passaggio nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso arrecando gravi danni al commercio internazionale, innanzitutto europeo, e tagliando cavi sottomarini e linee internet che collegano Oriente e Occidente. Mentre Hezbollah, la milizia terroristica libanese, si attiene alla “pazienza strategica” anziché bombardare e invadere Israele come temuto, gli Houthi, che nel 1992 hanno formato il movimento Ansar Allah (Partigiani di Dio), combattono anche sul fronte terrestre del Medio Oriente oltre che su quello marino. Con l’aiuto dei Pasdaran iraniani compiono attentati contro le basi americane, mobilitano altri gruppi terroristici regionali e colpiscono Israele con i missili, cosa che non accadeva dal 1991, dalla prima guerra dell’Iraq, quando Saddam Hussein tentò di distruggere Gerusalemme e Tel Aviv. L’America e l’Inghilterra reagiscono agli Houthi bombardandone campi e imbarcazioni e intercettando droni e missili quasi ogni giorno, mentre l’Europa, Italia inclusa, presidia i mari.
Un conflitto armato dall’Iran
E’ un conflitto appena iniziato ma cruciale, finanziato e armato dall’Iran, e forse anche dalla Russia, che Israele deve vincere per la propria sopravvivenza e che l’Occidente deve vincere per la propria prosperità. Gli Houthi minacciano lo stretto di Bab El Mandeb tra lo Yemen e Gibuti, che collega il Golfo di Aden al Mar Rosso, e se lo bloccassero i cargo e le petroliere diretti in Europa dovrebbero circumnavigare l’Africa, come è già capitato, con un proibitivo aumento di costi per tutti. Mirano inoltre a destabilizzare ancor più il Medio Oriente assumendo la guida del terrorismo islamico che è stata sinora di Hezbollah, il cui leader Hassan Nasrallah ha deluso gli estremisti con il mancato intervento al fianco di Hamas nella Guerra di Gaza e con l’attuale attendismo. Non è escluso che Abdul Malik Al Houthi, il capo di Ansar Allah, ambisca all’eredità di Bin Laden e plasmi il proprio movimento sul modello di Al Qaeda, pur appartenendo a una fede diversa: Al Houthi infatti è uno sciita zaydita mentre Bin Laden era un sunnita. E probabilmente uno dei suoi obbiettivi è di fare dello Yemen e della Palestina due Afghanistan, stati che non soltanto estinguerebbero Israele ma che sconfiggerebbero anche l’America.
Guerra civile nello Yemen
Gli Houthi, questi sconosciuti venuti all’improvviso alla ribalta del terrorismo islamico, devono il nome alla dinastia che li guida dagli anni Novanta. Radicati nello Yemen del Nord e appoggiati dall’Iran hanno prima condotto una guerra civile contro il regime di Ali Abdallah Saleh, sostenuto dall’Arabia Saudita, e nel 2011, all’avvento della cosiddetta Primavera araba, hanno poi costretto il successore Abd Rabbih Mansur Hadi ad abbandonare la capitale Sanaa e a trasferirsi ad Aden. Il governo Hadi è riconosciuto dall’Onu ed è difeso dai sauditi, ma non è in grado di sconfiggere i “Partigiani di Dio” sebbene anche l’America ne abbia ripetutamente attaccato i campi e i covi con droni e missili. Si calcola che in vent’anni i conflitti nello Yemen, teatro dell’atavica rivalità tra le due potenze del Golfo Persico, l’Iran e l’Arabia saudita, e gli attentati terroristici abbiano fatto oltre centomila morti. L’attentato più violento all’America, quello del 2000 all’incrociatore “Cole” nel porto di Aden, che costò la vita a 17 marinai, fu però sferrato da Al Qaeda, non dagli Houthi. Furono la seconda intifada o sollevazione palestinese dello stesso anno e la seconda guerra dell’Iraq del 2003 a spingerli contro Israele e l’America.
In conflitto con l’Arabia Saudita
Tra Ansar Allah e l’Arabia Saudita è in corso dal 2015 un conflitto ignorato o quasi dall’Occidente ma che rischia di coinvolgere altri Stati del Golfo Persico come il Bahrein, già colpito dai missili degli Houthi, e che è costato ai sauditi l’accusa di avere bombardato decine di migliaia di civili yemeniti innocenti. Dalla strage degli ebrei commessa da Hamas a Gaza lo scorso 7 ottobre, lo alimenta l’Iran, che evita un confronto diretto con Israele per timore che l’America intervenga, ma che agisce da grande burattinaio del terrorismo mediorientale per eliminare lo stato israeliano e per isolare i sauditi nel mondo islamico. La tragedia che i palestinesi stanno vivendo, e a cui bisogna porre immediatamente fine, è dovuta anche al riavvicinamento segretamente in corso il settembre passato tra Israele e l’Arabia Saudita. I due Paesi erano ormai prossimi a un accordo e per impedire che lo raggiungessero, oltre che per mobilitare altri Stati arabi contro Israele, Hamas sferrò il suo atroce attacco, senza dubbio con l’appoggio finanziario, militare e logistico dell’Iran e di Hezbollah. Lo Yemen, uno dei Paesi più belli, più poveri e più tormentati della terra, con oltre trenta milioni di abitanti, si trova così alle prese con un’ennesima crisi.
Pericolo da non sottovalutare
La scritta sulla bandiera “Allah è grande. Morte all’America. Morte a Israele. Maledizione agli ebrei. Vittoria dell’Islam” segnala che Abdul Malik Al Houthi intende fare dello Yemen il centro del terrorismo islamico, come su accennato. Leader carismatico come Bin Laden, subentrato nel 2004, all’età di 25 anni, al fratello Husayn morto in combattimento, versato nelle nuove tecnologie, Abdul è a suo agio sia nella guerriglia sia nella guerra cibernetica. La sua milizia supererebbe i diecimila uomini e i suoi seguaci armati sarebbero circa centomila. In Medio Oriente si dice che il 2024 abbia per lui un significato particolare, perché oltre al ventennio della morte del fratello segna anche il decennio della sua conquista di Sanaa, la capitale dello Yemen, e si teme che che compia attentati clamorosi come quello delle Torri Gemelle a Manhattan del 2001. Al Houthi costituisce un pericolo che né l’Occidente né gli Stati arabi moderati possono sottovalutare, non si limiterebbe di certo a tentare di chiudere lo stretto di Bab El Mandeb, dove passa il 10 per cento del commercio globale. A cominciare dall’America, l’Occidente sottovalutò Bin Laden e le conseguenze furono disastrose, un errore da non ripetere.
Il parallelo con l’Isis
Il regime degli Houthi è paragonato a quello del Califfato dell’Isis, uno dei più crudeli della storia, è un sistema di controllo e potere assoluto del territorio, che si estende dalle coste del Mar Rosso allo Yemen Nord occidentale, cioè sulla maggior parte del Paese. Esso poggia sul fondamentalismo, detto il “Corano Parlante”, e sogna che la Mecca, il luogo santo dell’Islam, venga sottratta ai sauditi. Bollati inizialmente come “terroristi con gli infradito”, gli Houthi sono diventati una macchina da guerra devastante, le loro incursioni, ad esempio, hanno ridotto il traffico del porto israeliano di Eilat dell’85 per cento, un duro colpo per l’economia di Israele. All’interno, i leaders hanno adottato una “politica matrimoniale” che vincola assieme le famiglie più potenti, indottrinano i bambini in appositi campi estivi, arruolandone poi molti nella milizia, e restringono drasticamente la libertà delle donne. I prigionieri nemici vengono spesso torturati o addirittura scuoiati. A differenza del Califfato dell’Isis, che dal 2014 ha progettato di fare dell’Iraq e della Siria uno Stato Islamico, gli Houthi non sembrano però volere uscire dai propri confini, se non per sostenere a qualsiasi prezzo la causa dei palestinesi.
Il ruolo delle grandi potenze
L’ingresso in scena di questi nuovi protagonisti del terrore, e ce ne saranno altri al momento non identificati, rende più urgente non solo il cessate il fuoco a Gaza e l’apertura di negoziati sulla formazione di uno Stato della Palestina, ma anche la convocazione di una conferenza tra le grandi potenze sulla stabilizzazione del Medio Oriente e del Golfo Persico. A questo scopo, occorre la collaborazione degli Stati arabi moderati e la messa sulla difensiva dell’Iran. I primi dovranno combattere il terrorismo e riconoscere il diritto all’esistenza di Israele in cambio del suo “sì” a uno Stato della Palestina, “sì” che non mancherebbe una volta che il premier Netanyahu fosse deposto. Il secondo dovrà abbandonare le milizie di Hamas, Houthi, Hezbollah e cosi’ via, affinché vengano contenute come lo è stata Al Qaeda, e dovrà trattare con l’Arabia Saudita. Sono obbiettivi difficili e a lunga scadenza che concederebbero tuttavia una pausa se non un periodo di pace alla regione più insanguinata del mondo. Non c’è da illudersi che vengano discussi presto, vi sono vari ostacoli da superare, il più grosso dei quali è la Russia, che vuole l’America in ritirata dal Medio Oriente ed è persuasa di vincere in Ucraina.
L’alternativa al terrorismo
Ancora una volta, l’Europa sembra dividersi a questo riguardo, pur non avendo i trascorsi coloniali dell’Inghilterra e dell’America nella regione, ed essendo pertanto la più adatta a mediare. Sì, ha mandato una “task force” o forza navale anglo-franco-italiana contro gli Houthi nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso, ma non ha assunto iniziative concrete di pace. I cittadini e i parlamenti europei si sono focalizzati sul dramma dei palestinesi, che ha assunto dimensioni disumane, e hanno promosso o organizzato dimostrazioni talvolta violente contro Israele, al punto da generare un crescente antisemitismo, e contro l’America ritenuta sua complice. Intanto i nostri governi hanno tentato di indurre a un armistizio il premier israeliano Netanyahu, ma non hanno presentato un progetto di un nuovo ordine mediorientale. L’impasse costa sempre più vite umane, come in Ucraina, e i venti di guerra incominciano a soffiare sul Mediterraneo e sull’Europa centrale. Invano il Papa si appella all’umanità che unisce i popoli, suggerendo che anziché indietro, alle colpe dell’Occidente, occorre guardare avanti, alla fratellanza tra le Nazioni. Per l’Islam non è facile perdonare i soprusi subiti, ma è l’unica alternativa al terrorismo.
Il ruolo dell’America
L’Europa non ha subito soprusi dall’America. Eppure c’è da pensare che in Europa esista un antiamericanismo che falsa le valutazioni di quanto accade in Medio Oriente e nel Golfo Persico, come falsa le valutazioni della guerra dell’Ucraina. Non si spiega altrimenti la quasi indifferenza che troppi europei dimostrano per il presidente ucraino Zelensky e i velati consensi che il presidente russo Putin continua a riscuotere da essi. Senza l’America, l’Europa rischierebbe una brutta fine, come il Medio Oriente e il Golfo Persico.
Ennio Caretto