Dall’Argentina agli Stati Uniti e all’Olanda, il vento del populismo e del sovranismo come si dice oggi (nazionalismo si diceva ieri) soffia sulle democrazie occidentali suscitando inquietanti ricordi degli Anni Venti dello scorso secolo. Falsa si è rivelata la profezia del politologo americano Francis Fukuyama nel famoso saggio “La fine della storia”, che il crollo dell’Urss, l’impero sovietico, aveva sancito la fine degli estremismi ideologici e il trionfo della dottrina democratica. Nelle democrazie sui due lati dell’Atlantico, più elezioni danno la vittoria a partiti o movimenti che sanno di anarchia, o di utopia, o di assolutismo. Per fortuna, mancando di solito di una forte maggioranza, o non salgono al governo, o scendono a compromessi per formare una coalizione. Ma la loro ascesa è un campanello d’allarme che non si può ignorare. Un monito anche per l’Italia, dove il partitismo si sta radicalizzando e le istituzioni sono in crisi.
Il caso argentino
Il caso più eclatante è quello dell’Argentina, una Nazione plasmata dall’immigrazione italiana, che a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento figurava tra le prime dieci potenze economiche del mondo, ed è tuttora ricca di risorse naturali come il litio, indispensabile alle batterie elettriche. L’Argentina porta sulle spalle l’insostenibile peso di nove bancarotte sovrane, di un’inflazione annua del 143 per cento, di un debito estero e di una svalutazione spaventosi. Quasi metà della sua popolazione vive sotto la soglia della povertà, vittima anche della corruzione imperante nel mondo politico e in quello degli affari. In queste condizioni, frutto non tanto della dittatura militare degli Anni Settanta e dei saltuari governi “capitalisti” quanto del malgoverno del peronismo, una bizzarra commistione di fascismo e di assistenzialismo promossa dal 1946 in poi da Juan Peron e dalla moglie Evita.
L’elezione di un outsider, cioè di un estraneo al sistema, era pressoché inevitabile. Ma purtroppo l’outsider è un leader chiamato non a caso “el loco”, il pazzo. Javier Milei, un cultore del misticismo esoterico, è un economista ultraliberista, che ha condotto la compagna elettorale impugnando una motosega, il simbolo di ciò che intende eliminare: la Banca Centrale, il peso (lo sostituirebbe con il dollaro), otto ministeri su diciotto a partire da quello del lavoro, le imprese e servizi pubblici. La privatizzazione dell’economia (commercio di organi per i trapianti incluso) e l’indipendenza dalle Organizzazioni internazionali, specialmente dal Fondo Monetario che è invano intervenuto 65 volte per risanare l’Argentina, sarebbero il suo toccasana. Al suo fianco governerebbero la sorella Karina, una astrologa detta “il boss” per l’influenza che ha sul fratello, e una militarista, Victoria Killamel, potenziale superministro della difesa e della sicurezza. Un programma e una prospettiva che rievocano la Repubblica di Weimar in Germania appunto negli Anni Venti dello scorso secolo. Un programma irrealizzabile, con la prospettiva se non di un altro Hitler di qualcosa di simile.
L’incognita degli Stati Uniti: Trump
Se il caso più eclatante è quello dell’Argentina, il caso più preoccupante è quello degli Stati Uniti. Il presidente democratico Joe Biden ha fatto meglio del previsto, ma lo sfidante repubblicano alle elezioni del 2024 rischia di essere l’ex presidente Donald Trump. Trump ha seguaci anche in Europa e in particolare in Italia, ma non è un esponente del repubblicanesimo storico, dei conservatori moderati che sul modello inglese hanno dato molto agli Usa. E’ un outsider che, come Milei e l’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro, tanto per fare un altro nome, considera lo Stato e le Istituzioni che lo reggono il nemico da abbattere, addossando loro la colpa di tutto ciò che non funziona nel Paese. Di fatto, tentò un golpe il 6 gennaio del 2021, dopo la sconfitta elettorale, incitando ad assalire il Congresso i suoi seguaci, decine dei quali condannati fino a venti anni di carcere per sovversione, e ora affronta quattro processi, aggravando le esistenti fratture politiche. Nei sondaggi, Trump ha dieci punti di vantaggio su Biden, il cui principale difetto è di avere 81anni compiuti, il più anziano inquilino della Casa Bianca della storia.
I trumpisti italiani vedono nell’ex presidente, che di anni ne ha poco meno, 77, e ha già detto che si recherà da Milei, il padre di una nuova destra libertaria e liberista che non interferirebbe nella vita dei cittadini, taglierebbe le tasse, seppellirebbe la burocrazia, taciterebbe o peggio le minoranze, bloccherebbe l’immigrazione e così via. Ma nella sua passata presidenza Trump ha dimostrato di disconoscere i diritti civili, di esautorare il Congresso, di governare da autocrate, e di mantenere con la forza la legalità e l’ordine, pseudonimi di regime di polizia, nonché di associarsi in politica estera a dittatori come il presidente russo Putin. Occorre rendersi conto che per quando ci riguarda il suo populismo e sovranismo comportano la paralisi se non lo smantellamento delle Organizzazioni internazionali, dall’Onu alla Nato, e dal Fondo Monetario all’Ue. Il suo slogan “Maga”, l’acronimo di Make America Great Again, cioè rendi l’America grande di nuovo, rievoca lo slogan nazista Deutschland uber alles, la Germania sopra tutto. Nel 2020 gli elettori lo capirono, auguriamoci che se ne ricordino nel 2024.
La situazione in Olanda
Geert Wilders ha le stesse convinzioni, lo stesso atteggiamento, lo stesso linguaggio di Milei e di Trump, di cui ha adattato lo slogan al proprio Paese: Rendi l’Olanda grande di nuovo. Wilders, un ultrasovranista sessantenne dall’aspetto volutamente ariano, in politica da sempre, propone tra l’altro il primato della grande industria e della finanza, la purezza della razza, l’abolizione del Corano e il divieto d’ingresso agli immigrati per deislamizzare l’Olanda, nonché una presa di distanza dall’Ue che, dice, “non dovrebbe dare un centesimo all’Italia”. Con appena 37 seggi su 150 in Parlamento contro i 25 seggi dell’alleanza verdi-laboristi, e i 24 dei liberali, difficilmente potrà formare un governo. Ma c’è da chiedersi perché quasi un terzo degli elettori, in un popolo con il culto della democrazia, dei diritti umani e delle libertà civili, lo abbiano votato. Wilders non era mai riuscito a emergere, e dai sondaggi sembra che a sollevarlo sia stata una parte della maggioranza silenziosa, spaventata dalle manifestazioni contro Israele per la Guerra di Gaza, dopo la strage di ebrei commessa da Hamas il 7 ottobre.
Socialdemocrazia sconvolta
E’ vero che in Spagna e in Polonia il vento del populismo e del sovranismo non ha sconvolto la socialdemocrazia, ma l’ha sconvolta in Ungheria, e soffia nei Paesi scandinavi oltre che in Germania, in Francia e in Italia. Come negli Anni Venti dello scorso secolo lo intensificano il risentimento e la sfiducia crescenti dei cittadini nelle istituzioni, nel Parlamento innanzitutto, nella magistratura, nelle forze dell’ordine, nella scuola, nella sanità, nella stampa. Prendiamo l’Italia. Almeno la metà se non la maggioranza degli italiani la vedono sempre più afflitta da una cultura della violenza di cui il femminicidio è l’espressione più vergognosa, alle prese con un problema e una disoccupazione giovanile che ne minacciano il futuro, semi impotente davanti alle catastrofi naturali, impoverita al punto che milioni di persone non hanno quasi da mangiare alla fine del mese. I suoi partiti appaiono o frammentati o irrigiditi o distaccati dagli elettori, i suoi media, le sue televisioni soprattutto, o politicizzati o fatui, e l’intero sistema appare paralizzato da una burocrazia che rende difficile la vita.
In queste settimane, sulla scia dell’assassinio della giovane Giulia Cecchettin, infuria in Italia la polemica sulle colpe del patriarcato e delle istituzioni nei femminicidi. Prevale il parere che sia un grave problema culturale. Ma se così è, perché dal 1990 al 2020 l’educazione civica, che deve includere quella sessuale, fu abolita nelle scuole, invece di venire rafforzata? Perché oggi alcuni alunni e genitori non rispettano, anzi aggrediscono gli insegnanti? Perché c’è tanta violenza nelle case e nelle strade? E’ chiaro che molte famiglie sono in crisi per i motivi più diversi, tra cui la mancanza del senso del dovere, termine questo che non figura nel linguaggio di quei giovani che si lamentano del sistema e degli adulti. La famiglia e la scuola sono le istituzioni di base della società umana, e quando esse e le istituzioni dello Stato non funzionano, o funzionano male troppo a lungo, la stanchezza conduce i cittadini ad anteporre l’efficienza dello Stato e la propria serenità e sicurezza alla difesa dei diritti civili. Per ottenerle, una maggioranza relativa diventa disposta a rinunciare a parte delle sue libertà.
Il precedente degli Anni Venti del Novecento
Non è la prima volta nella storia che il vento del populismo e del sovranismo cerca di mettere la democrazia con le spalle al muro. Il precedente degli Anni Venti dello scorso secolo, ripeto, è illuminante. Al loro inizio, si pensò che la democrazia liberale, come veniva chiamata, che dalla fine dell’Ottocento aveva fatto notevoli progressi, sarebbe riuscita a risollevare tutta l’Europa dalle ceneri della “Grande guerra”, la prima Guerra mondiale. In apparenza, molti dei suoi Paesi erano Stati di Diritto, con le giuste istituzioni, dai Parlamenti alla libera stampa, e aspiravano a fare parte di una futura Lega delle nazioni. Ma specialmente in Germania, la grande sconfitta, la democrazia non seppe soddisfare alle istanze dei cittadini. Le sirene populiste e nazionaliste di Mussolini per primo, poi di Hitler, quindi di Salazar in Portogallo e Franco in Spagna, sedussero gli elettori al principio in percentuali ridotte, poi in percentuali sufficienti alla conquista del potere. Conquista che pose fine alla democrazia, esattamene come accadde anche nell’Urss, dove il comunismo degenerò nel totalitarismo.
Il collante dell’Unione europea
Oggi nessun Paese in Europa è in così serio pericolo. Sebbene includa regimi discutibili, di destra e di sinistra, l’Ue è un collante e una tutela della democrazia per tutti i suoi Stati membri, una potenza inferiore militarmente e finanziariamente agli Stati Uniti ma che, malgrado le sue crisi, socialmente e culturalmente rappresenta forse il meglio dell’Occidente. E’ però necessario un impegno comune a prevenire un’ulteriore ascesa del populismo e del sovranismo, nell’interesse soprattutto dei giovani, che devono sapere che il nostro sistema va non rovesciato ma corretto e migliorato, e che saranno presto chiamati ad aiutarlo.
Ennio Caretto