E’ da più di un mese che la Guerra di Gaza infuria, e ne vediamo le nefaste conseguenze con sempre maggiore chiarezza. Israele rischia di cadere nella trappola di Hamas, cioè di continuare a compiere stragi di civili palestinesi innocenti, perché Hamas si serve di essi come scudi umani, sull’esempio di Saddam Hussein nella Guerra dell’Iraq, crimini questi entrambi contro l’umanità. Il conflitto minaccia di estendersi alla Cisgiordania, dove si celano gruppi terroristici, e al Libano meridionale, donde Hezbollah, il braccio armato dell’Iran, è in grado di infliggere gravi perdite alle forze armate israeliane, sebbene al momento dichiari di non voler intervenire. Gli appelli a una pausa umanitaria per facilitare l’esodo dei civili palestinesi, e gli appelli alla sospensione delle ostilità, inclusi quelli di papa Francesco, cadono nel vuoto. E Hamas, sebbene con l’atroce offensiva del 7 ottobre sia divenuto l’erede dei nazisti e dell’Olocausto, sta vincendo la sua compagna politica e mediatica contro Israele. In Medio Oriente, lo appoggiano adesso anche i cosiddetti Paesi arabi moderati, come la Giordania, che ha richiamato l’ambasciatore da Tel Aviv, la Tunisia e l’Algeria, che hanno condannato Israele, e come la Turchia, un membro dalla Nato. E in Occidente, dove si dimostra in strada in difesa non solo dei palestinesi ma anche di Hamas, emerge un antisemitismo che sembrava sepolto e che potrebbe degenerare in una caccia all’ebreo.
Sulla spaccatura dell’Occidente, che è in realtà uno scontro tra ideologie, destra e sinistra, che non hanno nulla a che vedere con la Guerra di Gaza, i nostri politici e i nostri media si dilungano quasi ogni giorno. Ma poco si scrive di quelli che sono l’ago della bilancia del conflitto in corso, i Paesi arabi moderati, senza la cui iniziativa un armistizio e una pace successiva diverrebbero impossibili. Uno degli obbiettivi di Hamas nell’attacco a Israele del 7 ottobre, obbiettivo realizzato, era senza dubbio di stroncare le trattative iniziate a Riad tra l’Arabia Saudita e Israele per normalizzare i loro rapporti. Ma un altro, occulto, era di impedire d’ora innanzi a tutti i Paesi arabi moderati di pensare a un qualsiasi dialogo con Israele, facendo di esso un nemico mortale, da eliminare a ogni costo. Il blocco moderato, se tale può essere definito date le sue divisioni interne, ha cercato di creare una democrazia islamica aperta all’Occidente ma non ha quasi mai condannato il terrorismo, giudicando il silenzio un mezzo per conservare il potere. Con Hamas, tuttavia, esso sta vacillando, temendo di venire travolto dal radicalismo religioso crescente nel mondo dell’Islam e dall’anti occidentalismo che ne deriva. Se vogliono contribuire alla soluzione del semisecolare problema palestinese e non vogliono venire estromesse dal Medio Oriente, America ed Europa devono rafforzare i Paesi arabi moderati, salvarli dal fanatismo fondamentalista.
Come il mondo cristiano, con quasi due miliardi e mezzo di persone, così il mondo islamico, con oltre due miliardi, non è un monolito. Il 25 per cento degli islamici vive nell’Asia Meridionale, cioè in Iran, Pakistan ecc., il 20 per cento in Medio Oriente, il 15 per cento nell’Africa subsahariana. La nazione con più musulmani è l’Indonesia, che nonostante le sue diverse religioni è relativamente stabile. Sebbene, là dove domina, l’Islam abbia formato solo teocrazie, è nota a tutti la divisione tra sciiti, i seguaci del cugino e genero di Maometto, e sunniti, i seguaci dei primi tre califfi successori al Profeta. Gli sciiti, i cui Ayatollah vengono considerati il riflesso di Dio in terra (di qui il potere assoluto di Kamenei in Iran), sono circa il 15 per cento, i sunniti, che nei loro Iman vedono i capi della Comunità islamica, sono circa l’85 per cento. Al loro interno si trovano sette estremiste come quella dei Wahabiti, i puritani sunniti, e formazioni terroristiche, come Al Qaeda e l’Isis. Sciiti e sunniti sono stati spesso in conflitto tra di loro per poi unirsi sempre contro l’Israele e l’Occidente, ma sarebbe errato considerare l’Islam una religione di guerra o un covo del terrorismo. Il terrorismo è un’idra a sette o più teste, che però finisce sempre per vedersele decapitate, come accadde a Bin Laden e al Califfato.
Variegati sono i ventidue Paesi che costituiscono la Lega araba. La differenza di fondo tra la civiltà cristiana e quella musulmana, conviene ripetere, è che nella prima esiste la separazione tra Stato e Chiesa, e che la legge tutela innanzitutto i diritti della persona, mentre nella seconda lo Stato è del tutto sottomesso alla Chiesa, e la legge tutela innanzitutto i diritti della comunità. In Occidente, la contesa più importante, quella tra capitalismo e comunismo, ha trovato e trova di solito soluzione in una socialdemocrazia che si consolida (o si indebolisce) di elezione in elezione. Ma nel Medio oriente e nel Golfo Persico, la contesa più importante, quella tra teocrazia e secolarizzazione, non si è risolta quasi mai in un compromesso tra queste due forze. La teocrazia è così potente che solo le Forze armate possono abbatterla e sostituirla. In prevalenza pertanto, i Paesi arabi sono ancora teocrazie, o monarchie, o giunte militari, con un tratto negativo in comune: la dittatura. Ma da qualche anno le loro popolazioni – non tutte in verità – si agitano nel tentativo di farne delle democrazie e di raggiungere un minimo di benessere sul modello dell’Europa, di cui furono colonie. Così tra Paese e Paese, l’Arabia Saudita e l’Egitto, le superpotenze del Medio Oriente e del Golfo Persico, o anche solo tra la Siria e il Marocco, le differenze aumentano, non diminuiscono, e nel Sub Sahara i golpe si susseguono l’uno dopo l’altro.
L’America e l’Europa devono unirsi e lavorare subito assieme per salvare i Paesi arabi moderati dal fondamentalismo islamico. Il collante dei Paesi arabi moderati non è l’odio contro Israele, con cui spesso intrecciano rapporti se non costruttivi almeno di tolleranza, pur sostenendo fermamente la causa palestinese. Il loro collante è il bisogno di tutelare la pace e lo sviluppo economico della regione, perché le guerre e la povertà rendono impossibile una vera democrazia e provocano e ingigantiscono il fenomeno dei migranti. Là dove la vita è tollerabile le popolazioni arabe restano. Là dove non lo è fuggono in Europa per una questione di sopravvivenza. Per i Paesi arabi moderati le infamie di Hamas e di Gaza sono l’ultimo campanello di allarme. Essi sanno che il Medio Oriente e il Golfo Persico non possono tollerare altre guerre e che in prosieguo di tempo gli israeliani e i palestinesi dovranno addivenire a un accordo. Sanno anche che a questo fine Hamas va eliminato a Gaza e il governo di Netanyahu sostituito a Israele, eventi che prima o poi si verificheranno per volontà degli elettori. Trent’anni fa, la foto del premier israeliano Rabin e del leader palestinese Arafat che si stringevano la mano davanti al presidente americano Clinton a Washington fece sognare il mondo. Purché la Lega Araba si muova, il sogno può rivivere, i due popoli hanno ciascuno il diritto a un proprio Stato.
Nel 1992, pochi mesi dopo il crollo dell’Impero sovietico il presidente russo Eltsin propose in segreto al presidente americano Bush Sr di formare un coalizione contro il terrorismo islamico. Eltsin non si preoccupava solo delle cellule che operavano in Russia, dalla Cecenia alla Baschiria, era anche in allarme per le popolazioni musulmane delle ex Repubbliche sovietiche asiatiche, dallo Azerbaigian allo Uzbekistan, e dal Kazakistan al Tagikistan, perché vedeva aumentare rapidamente al loro interno il fondamentalismo. Il nostro problema, ammonì Eltsin, che riteneva la Russia un bastione cristiano, non è più la Guerra fredda, è il terrorismo islamico, il male principale che noi abbiamo in comune, e dobbiamo arginarlo subito. Bush non gli diede retta, e Bill Clinton, il suo successore alla Casa Bianca, bocciò l’idea di una coalizione che implicava la partecipazione russa alle iniziative americane in Europa e in Medio Oriente. Clinton preferì tenere la Russia fuori dalle due regioni, per quanto possibile, trasformando la Nato da un’alleanza difensiva dei propri membri nel braccio armato dell’America nel Mondo. Una strategia esasperata da Bush Jr, il presidente successivo, che anziché prevenire la guerra dell’Ucraina e la spaventosa rottura tra israeliani e palestinesi alla fine le ha involontariamente facilitate.
Per il bene dell’umanità, che potrebbe un giorno trovarsi davanti a una Terza Guerra mondiale, occorre che l’America, l’Europa, la Russia e la Cina, in tacito accordo, mobilitino il blocco arabo moderato senza la cui mediazione, ripeto, il Medio Oriente non avrebbe mai pace. Non sarà facile, perché nella Lega Araba almeno tre Stati, l’Iraq, la Siria e lo Yemen seguono i dettami dello Iran, come l’Hezbollah in Libano. Ma il regime iraniano degli Ayatollah sa di non potere esporsi troppo, perché sul suo capo pende la spada di Damocle degli Stati Uniti, e tra i leader palestinesi in esilio ve ne sono alcuni che disconoscono Hamas e sono pronti a negoziare con Israele, come, se l’informazione è esatta, Mohammed Delhan, l’ex capo di Al Fatah, che vive negli Emirati arabi. Tra i possibili mediatori occidentali, mi sia permesso di fare il nome di Barack Obama, l’ex Presidente americano, un cristiano che da adolescente frequentò le scuole islamiche in Indonesia, un nero, lo sfortunato promotore della Primavera araba. Infine, il precedente di San Francesco, che nel 2019, alla Quinta crociata, si recò in Terra santa per incontrare il Sultano, il nipote del Saladino, un incontro che chiuse un’epoca di sangue, dovrebbe essere di incoraggiamento agli Ayatollah e agli Imam a tenere buoni rapporti con il Cristianesimo. Papa Francesco si è avviato su questa strada, e i custodi dell’Islam dovrebbero seguirlo.
L’abbandono della terra promessa che ha segnato la storia del popolo di Israele non si ripeterà mai più. Ma esiste una terra promessa anche per il Popolo della Palestina, che ha il diritto di vivervi. A partire da quello del 1821 a Odessa, i pogroms contro gli ebrei hanno macchiato la storia europea. La storia mediorientale ha registrato vicende altrettanto orribili, come il genocidio degli armeni a opera dei turchi all’inizio dello scorso secolo. Tuttavia, in varie epoche e varie civiltà arabi ed ebrei sono riusciti a convivere e a progredire insieme. Nonostante le sue crudeltà, per qualche tempo fu un esempio l’Impero Ottomano, in cui ebbero spazio fedi e razze diverse.
Ennio Caretto