Come se quello dell’intelligenza artificiale non bastasse, presto ci troveremo alle prese anche con il problema della privatizzazione della Luna, ossia della occupazione di sue fette di territorio e dello sfruttamento delle loro risorse non per mano di un consorzio di Stati, come pareva logico cinquanta anni fa, ma per mano di imprese di miliardari quali Musk, il padre della Tesla, e Bezos, il padre di Amazon, in concorrenza tra di loro. Non che dobbiamo avere paura dell’intelligenza artificiale e di una Luna in parte di proprietà privata, o che dobbiamo combatterle come i luddisti della fine del Settecento e all’inizio dell’Ottocento combatterono la rivoluzione industriale. Per carità, entrambe faciliteranno miracolosi progressi scientifici, tecnologici, economici e forse persino sociali, anche se sugli ultimi c’è da nutrire qualche dubbio, segnando una svolta epocale nella storia dell’umanità. Ma queste due corse in mondi inesplorati hanno un vago sentore di quelle nel selvaggio West di Hollywood, rischiano cioè di essere macchiate da soprusi, abusi, truffe, conflitti e via dicendo di portata finora sconosciuta, per non parlare del pericolo che la Luna venga anche militarizzata. E’ necessario perciò che l’intelligenza artificiale e la privatizzazione della Luna siano regolamentate, compito non facile, come sappiamo dai nostri falliti tentativi di regolamentare quei social che arrecano non solo benefici ma anche danni ai nostri figli.
La scelta delle stazioni spaziali
Cinquanta anni fa, sulla scia dello sbarco di Armstrong sulla Luna nel luglio del ’69, “un piccolo passo per un uomo, un gigantesco passo per l’umanità”, le due superpotenze di allora, gli Usa e l’Urss, alla quale però non era riuscito alcun allunaggio, pensarono di potere aprire ciascuna una base lunare entro la fine dello scorso secolo. Ma vi rinunciarono dopo l’ultima missione dell’Apollo 17 nel ’72 per tutta una serie di motivi, come l’errata convinzione che sulla Luna non ci fosse acqua, elemento indispensabile sia alla sopravvivenza degli esseri umani sia allo sviluppo delle scienze, come l’inadeguatezza delle tecnologie spaziali al tempo disponibili, come i tremendi oneri finanziari del riarmo atomico causati dal programma americano delle “Guerre stellari”. Usa e Urss dettero la precedenza alle stazioni orbitali per studiare meglio lo spazio fino ai pianeti più lontani, sognando di arrivare un giorno a Marte, i primi con la “Freedom” (Libertà) la seconda col “Mir 2” (Mondo 2), decisero di non militarizzarle, e cominciarono a collaborare tra di loro. Nacque così la Stazione Spaziale Internazionale della Nasa americana, della Roscosmos russa, della Esa europea, della Jaxa giapponese e della Csa Canadese, che a tutt’oggi ha ospitato ben 279 astronauti di 22 Paesi diversi tra cui l’Italia. Giganti emergenti come la Cina e l’India prima e Paesi ricchi come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita poi ne seguirono l’esempio.
Un satellite prezioso
La rinuncia a colonizzare subito la Luna, tuttavia, non comportò la fine della sua esplorazione con sonde automatiche capaci di analizzare qualsiasi materiale là reperibile o di riportarlo a terra. A poco a poco non soltanto gli Stati più potenti ma anche le più grandi imprese private al mondo si resero conto che dal punto di vista delle risorse naturali, soprattutto minerarie, la Luna equivale a una colossale miniera d’oro. La scoperta più importante, che c’è acqua ghiacciata sulla Luna, la fece nel 2008 l’India, con il primo allunaggio di una sonda vicino al Polo Sud. Inizialmente considerata un potenziale spazioporto nei decenni a venire, uno scalo verso Marte, da allora la Luna è diventata anche la probabile madre di una nuova “economia spaziale”. Tra i tanti materiali di cui è dotata, ad esempio, vi è l’elio 3, un isotopo molto scarso sulla Terra usato nei reattori a fusione nucleare che ci fornirebbe energia per secoli. Si stanno così moltiplicando ovunque le imprese private che aspirano a sfruttare la Luna a vari fini, incluso quello turistico. Secondo l’Esa, nei prossimi otto anni “avranno luogo sulla Luna o attorno a essa oltre quattrocento missioni scientifiche, economiche, robotiche e con equipaggi”, e secondo la Nasa entro il 2040 o poco dopo la Luna potrebbe ospitare i primissimi insediamenti umani sperimentali. Non a caso, la Thales Alenia Space Italia lavora a un modulo pressurizzato abitativo lunare di superficie.
Esplorazioni affidate ai privati
A inaugurare la nuova era il mese scorso è stata l’America, con l’allunaggio della sonda Odysseus, costruita e lanciata da Capo Kennedy da un’azienda di punta, la Intuitive Machines di Houston nel Texas. L’Odysseus, nome che ricorda lo storico film del regista Kubrick su un’astronave che naviga il cosmo governata da un robot, “Odissea nello spazio”, ha funzionato per cinque giorni prima di perdere energia. L’allunaggio dell’Odysseus rientra in un programma della Nasa, il “Commercial lunar payload services”, che affida ai privati compiti specifici nei viaggi e le esplorazioni della Luna. Ansiosa di non essere superata dall’India e dalla Cina nella corsa al Polo Sud lunare, la Nasa ha richiesto alla azienda Astrobotic di mandarvi un Rover, cioè un veicolo, battezzato Viper, Vipera, nei prossimi mesi, e all’azienda Draper, una delle prime a farsi avanti, di raggiungere il bacino di Schrodinger, dove si è registrata di recente un’attività vulcanica. Per conto proprio, la Nasa sta attuando un programma più complesso, l’Artemis, dalla Dea greca della caccia e della foresta Artemide, che prevede il lancio di una sonda in orbita lunare per dieci giorni a settembre del 2025 e lo sbarco di due astronauti vicino al Polo Sud a settembre del 2026. Entro il 2028 dovrebbe essere pronta per la Luna una stazione orbitale con un numeroso equipaggio, un obbiettivo perseguito anche dalla Cina, dall’India e dalla Russia.
Il rischio di conflitti
Tra le “start up”, ossia le nuove imprese private, tra le multinazionali e tra i miliardari c’è chi sostiene che con la privatizzazione anche solo parziale della Luna il rischio di conflitti tra le grandi potenze per il suo controllo potrebbe diminuire. Non è del tutto errato: le ricerche scientifiche, tecnologiche ed economiche assumerebbero maggiore importanza di quelle sulla militarizzazione della Luna che forse sono già segretamente in corso a Washington, Mosca e Pechino, e sarebbero più efficaci perché meno soggette alla burocrazia, che sovente è una palla di piombo al piede del pubblico servizio. Un paio di esempi. La Firefly Aerospace americana progetta di depositare tra qualche anno attrezzature e strumenti per un laboratorio robotico su una pianura basaltica lunare. E la Space X di Musk, che ha portato esseri umani fino alla Stazione Spaziale Internazionale in orbita intorno alla Terra, immagina di portare un giorno turisti sulla Luna. I media americani calcolano che il viaggio costerebbe 40 milioni di dollari e che al mondo esistono attualmente 75 mila persone in grado di pagarlo. Questo ritorno dell’uomo nello spazio, con un mezzo rivoluzionario quale la intelligenza artificiale, dopo cinquant’anni in cui si è dedicato soprattutto alla cibernetica e alla medicina, ci prospetta un mondo nuovo e diverso dove le nuove frontiere kennediane saranno più lontane, ad anni luce dalla nostra Terra.
Collaborare nell’esplorazione
Al momento, dall’America alla Cina e dalla Russia all’India, per Stati e imprese è una necessità collaborare alla esplorazione della Luna, non fosse altro per condividerne i costi e i frutti. Ma come rilevato sopra, prima o poi i rispettivi ruoli andranno concordati, occorrerà che le grandi potenze e le multinazionali, se non l’Onu che spesso è impotente, adottino un Codice di condotta universale per entrambe. E’ utopistico pensare, checché dicano gli interessati, che Stati ostili l’uno all’altro si uniranno spontaneamente per conquistare lo spazio a vantaggio di tutta l’umanità, lavorando assieme in concordia, e che le imprese private faranno altrettanto invece di gareggiare tra di loro. Delineare adesso un codice è impossibile, non sappiamo quanto l’intelligenza artificiale cambierà anche noi, quali cascate tecnologiche produrranno le guerre che continuano a dilaniarci, che rapporti avranno tra venti o trent’anni America, Russia, Cina, India e altri Paesi, e in particolare se sarà l’uomo sapiens o la macchina sapiens a prendere le decisioni più importanti, proprio come raccontato da Kubrick nel suo film. Ma una cosa è chiara: non si deve fare della Luna una replica della Terra, con un capitalismo selvaggio, con dittature politiche o finanziare, con ingiustizie che provocano drammatiche perdite di vite umane.
Il bene comune
In un certo senso, il contrasto tra l’ingresso dei privati nel cosmo e le atrocità in corso in Ucraina e a Israele testimoniano della grandezza e della miseria dell’uomo e ci inducono a riflettere su chi siamo e su come ci comportiamo. La società, i cittadini devono richiamare la politica ad adempiere al suo mandato, che è la realizzazione del bene comune. La politica non può avere due facce opposte contemporaneamente, una costruttiva l’altra distruttiva, una proiettata verso un futuro pieno di speranza, l’altra in ritirata verso un passato colmo di tragedie. Dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi, l’umanità ha compiuto un percorso stupefacente in quasi tutti i campi, tranne che in quello dei rapporti umani. Il razzismo, gli estremismi, gli odi atavici, le disparità sono rimasti anche nelle democrazie, sia pure in misura minore che in altri sistemi politici. I nuovi investimenti nello spazio vanno accompagnati da nuovi investimenti nei diritti civili e nell’eguaglianza sociale ed economica, a carico sia degli Stati sia delle grandi imprese private. La sfida cosmica, il cui secondo, spettacolare capitolo si è appena aperto, non releghi in secondo piano la sfida umanitaria, che è più urgente e doverosa. Non sappiamo che cosa ci riservi la conquista dello spazio, ma sappiamo che cosa ci riservino le guerre. Auguriamoci che il 2024 venga ricordato più che come l’anno della Luna come l’anno della pace e della coesistenza.
Ennio Caretto