Con gli altri nostri compagni avevamo passato insieme tutto l’anno, ma per me Alberto era soprattutto un amico, con cui si condivideva già da qualche anno un pezzetto di chiesa viva che si chiama Comunione e Liberazione, avvenuto grazie all’incontro con don Francesco, allora parroco di Solonghello. Era il 18 giugno 1993, e con lui avevamo appena fatto l’esame di greco alla facoltà di Alessandria, e cosi appena usciti entrammo in un negozio sportivo e comprammo un cappellino: lunedì saremmo andati in val d’Isere per un campo estivo con un gruppo di ragazzi. Alle 21,00 dello stesso giorno era previsto un incontro del vescovo Cavalla con i giovani in Duomo, anche noi seminaristi andammo. Durante la serata prese la parola il vescovo di Trnava mons. Sokol, il quale intono un inno religioso nella sua lingua: per qualche istante ci fu lo smarrimento… “ma cosa fa?”, mentre la voglia di ridere prese molti. Ma improvvisamente il brusio si placò, la figura di quell’uomo imponente che esprimeva il proprio atto di fede incurante della diversità della lingua prese il sopravvento, e il riso si trasformò prima in stupore e poi in ammirazione. Strana serata.
Finita la funzione il duomo si spense di tutto il suo splendore, e poco davanti al crocifisso ci trovammo io, Alberto e altri due nostri compagni….. “cosa fai tu domani?” gli chiesi, “vado su a Crea a piedi”. Cercai di dissuaderlo… “lascia perdere, siamo stanchi”. Oltretutto alla sera avevamo con don Francesco una cena con gli animatori del campo a Verreys in val d’Aosta. Lui imperterrito… stavo quasi per dirgli “basta, piuttosto che tu vada da solo vengo con te!”, ma all’Addolorata iniziavano i centri estivi, e io ero lì per dare una mano: questo pensiero mi allontanò dal quel pellegrinaggio di fine anno scolastico. In realtà Alberto ci andava per ringraziare, poco sotto alla Tenuta Gamberello abitava con i suoi, per cui il tragitto per casa era breve. Alberto partì sabato mattina, credo per le sei circa. Io mi alzai per le sette meno un quarto, mi vestii e andai giu in cerca di qualcuno: il nostro refettorio era deserto, entrai in quello dei superiori, ed in fondo verso la finestra c’era mons. Sokol con in mano il giornale. Mi vide, mi venne incontro e senza dire niente mi fece un segno di croce sulla fronte, e si allontanò. In quei minuti al Chiabotto una macchina proveniente da Ozzano per evitare un gatto sbandò contro il muro della farmacia e prese in pieno Alberto, che morì sul colpo. Era senza documenti, pantaloncini corti e maglietta…. e noi non sapevamo niente. Passò qualche ora e suo fratello Carlo mi telefonò “sai qualcosa di mio fratello?”, “so che andava a Crea, si sarà fermato da qualcuno…”. Passarono le ore ed un’altra telefonata di Carlo, e io mi dicevo “ma guarda quello che stupido, almeno si facesse vivo con i suoi!”.
Alla sera in pizzeria Alberto non c’era, così dopo aver mangiato qualcuno di noi provò ad andare al pronto soccorso: vent’anni son passati, ma ho presente come fosse adesso la sagoma di don Palena, rettore del Seminario, in fondo al corridoi, seduto con il capo tra le mani. Improvvisamente calò su di noi il buio della morte, e nessuno di noi aveva gli anticorpi. Ma come era possibile che un ragazzo scopre la propria vocazione, e dopo un anno giusto muore? Con il bisogno che c’era, e che c’è, di preti giovani che amino i giovani, ed Alberto era proprio così. Lo sanno molto bene i ragazzi di allora di Cerrina: quanto tempo ha passato con voi, e quanto vi è stato vicino… sono cose che non si dimenticano. La morte di Alberto fu un autentico fulmine a ciel sereno, una botta tremenda che nessuno ha potuto evitare: per quanto riguarda me, era come se il pavimento su cui poggiavo avesse ceduto di schianto, alcuni pensieri che si erano formati in me crollarono, e l’idea di Dio come mistero, come tremendo mistero, iniziò a fare capolino nella mia vita di apprendista prete. La notizia di questo giovane seminarista morto mentre andava a Crea si diffuse in brevissimo tempo, oltretutto Alberto era molto conosciuto ed aveva molti amici. Come non bastasse in quei giorni si stava svolgendo il convegno eucaristico, e noi seminaristi dovemmo servire il pontificale con mons. Sodano…. solo Dio sa la pena che portai in quella domenica pomeriggio, avrei voluto essere lontano mille miglia. Ci fu una amica che prima della messa venne letteralmente a cercarmi… ricordo ancora il suo coraggio per essermi venuta incontro quando ben immaginava come era straziato: fu un gesto di vero cuore. Anche i miei compagni credo provarono qualcosa di simile, eravamo troppo impreparati ad una simile prova. Ci fu in quei giorni drammatici la notizia, poi infondata, che mons. Cavalla forse non avrebbe presieduto le esequie: quando lo seppi andai diretto in vescovado, il Vescovo mi accolse paterno e mi rassicurò sulla sua presenza, e aggiunse “dovrai vivere il tuo sacerdozio anche per lui”. Il funerale fu un dolore immenso per tutti. Portammo Alberto sulle spalle noi seminaristi, piangendo come bambini, troppo grande questa vicenda, anche da inquadrare.
Mercoledì 18 giugno alle ore 21 con una santa messa presso il Santuario di Crea desideriamo ricordarlo, stringendoci ai suoi genitori e a suo fratello… per non dimenticare, e per vivere con più coscienza il valore della vita.
don Marco Pivetta