Papa Francesco si appresta a festeggiare quattro anni di pontificato. “Accoglienza” la parola d’ordine: verso i poveri e gli ultimi, verso i migranti, verso le famiglie e i giovani, verso i non credenti e i “fratelli” delle altre religioni. Per scongiurare la “terza guerra mondiale a pezzi” e lavorare artigianalmente per la pace.
Scegliendo il nome di Francesco, il nostro Papa Bergoglio ha teso un ponte senza precedenti (i papi, scegliendo il nome, tendono un ponte a un predecessore). Giovanni Paolo II, fedele all’intuizione di Giovanni Paolo I, ha voluto unire nel suo nome i due papi del Concilio: Giovanni XXIII e Paolo VI; Benedetto XVI ha teso la mano a Benedetto XV, che ha definito “profeta della pace”: un Papa poco conosciuto perché ha dovuto governare la Chiesa durante gli anni della prima guerra mondiale.
Francesco, non avendo nel nome un predecessore, getta il ponte in avanti, cercando con lo sguardo coloro che in futuro avranno il compito di continuare la marcia irreversibile della Chiesa in uscita.
Francesco ha preso lo slancio cercando un solido fondamento, non dieci o cento, ma ben ottocento anni fa.
In quel primo quarto del XIII secolo, quando Francesco ha fatto propria la Gioia del Vangelo ed è uscito ad annunciarlo in povertà e semplicità di cuore a tutte le creature. In base alla distanza all’indietro che si è preso per iniziare il suo ministero, si può misurare l’orizzonte verso il quale tendono il suo desiderio e la sua speranza.
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