Con questo articolo il giornalista Ennio Caretto, storico inviato negli Stati Uniti per i maggiori quotidiani italiani, ha cominciato la sua collaborazione con La Vita Casalese. E’ il primo di tre articoli (pubblicati sulle edizioni cartacee del 24, 31 agosto, 6 settembre) dedicati all’analisi della situazione che ha portato all’invasione dell’Ucraina e ai rapporti fra Stati Uniti e Russia.
E’ il 16 giugno del 2001. In Slovenia, al Castello di Brdo, poco a Nord di Lubiana, i due uomini più potenti della terra tengono il loro primo vertice. Sono il presidente russo Vladimir Putin, in carica da un anno e mezzo, e il presidente americano George Bush Jr., in carica da cinque mesi. Mancano meno di novanta giorni al più traumatico e inimmaginabile evento dell’anno, la distruzione delle Torri gemelle di Manhattan ad opera di Al Qaeda. Sul tappeto c’è sì anche il messianico terrorismo di Bin Laden, ma a Putin e a Bush preme innanzitutto risanare i rapporti tra Mosca e Washington, incrinatisi dopo la fine del sogno dell’ultimo leader sovietico Mickail Gorbaciov di “una stanza russa nella comune casa europea” e dopo l’estensione della Nato a Est, quasi ai confini con la Russia. Una Nato che da alleanza difensiva europea è diventata il braccio armato dell’America nel mondo, cosa sgraditissima a Mosca.
Secondo i leader sloveni, che hanno propiziato il vertice, la iniziale stretta di mano tra Putin e Bush è fredda. Non solo i due non si conoscono, i rispettivi servizi segreti li hanno anche esortati a non fidarsi l’uno dell’altro. Ma quando si affacciano sul parco del Castello dopo un guardingo colloquio di un’ora, la sorprendente impressione che noi giornalisti al seguito di Bush Jr. abbiamo è che si trovino entrambi a proprio agio. Il loro “body language” il loro atteggiamento mentre passeggiano è quasi amichevole, un tocco sulle spalle, una risata, uno sguardo ammirato al paesaggio. Ricordano il comportamento di Gorbaciov e di Ronald Reagan, i due presidenti che negli anni Ottanta tentarono invano di eliminare gli armamenti atomici, la cosiddetta opzione zero, ma che riuscirono a porre fine alla Guerra fredda.
Apprendiamo più tardi che l’inattesa sintonia tra Putin e Bush è merito del primo. Il presidente russo ha interpretato il vertice come un’opera di seduzione del presidente americano. Sapendo che Bush Jr. è un “Cristiano rinato”, cioè che ha ritrovato la fede dopo una turbolenta giovinezza, gli si è presentato con un crocefisso al collo, e gli ha raccontato di avere restituito alla Russia la religione ortodossa toltale dal comunismo. Ha inoltre giocato la carta dell’amore paterno: “Abbiamo entrambi due figlie a cui abbiamo dato i nomi delle nonne, come si fa nelle buone famiglie, e dobbiamo lasciare loro un mondo migliore”. Addirittura, ha parlato di sport, la lotta giapponese lui, il ciclismo Bush Jr., una passione giovanile comune. E ha sepolto il marxismo leninismo e le altre ideologie: se si è veri patrioti, ha commentato, è più facile intendersi.
Bush, un conservatore badiamo, prende per buone le dichiarazioni di Putin, e probabilmente esse lo sono. Non accenna ai temi discussi, tra cui non figura comunque l’Ucraina, ancora lontana dal trasformarsi nell’odierna tragedia del mondo occidentale. Afferma solo di avere trovato “franco e affidabile” il suo interlocutore, di credere di potere avere con lui “rapporti costruttivi”, e di averlo invitato negli Stati Uniti per un vertice più impegnativo. Rimarrà celebre la sua osservazione: “Lo ho guardato negli occhi e penso di avere letto nel suo cuore” (letteralmente: di avere colto il senso della sua anima). E’ il contrario di ciò che pensava il suo predecessore, il presidente democratico Bill Clinton, che aveva conosciuto Putin come capo della sicurezza russa durante una visita a San Pietroburgo nel 1996, e che nel 1999 e nel 2000 aveva negoziato con lui sulla Nato senza raggiungere alcun accordo.
La condotta di Putin nell’attuale guerra dell’Ucraina, da lui scatenata nel 2021, non lascia dubbi sulla personalità di quello che oggi è chiamato lo zar. Putin è un dittatore che si è macchiato e continua a macchiarsi di crimini contro l’umanità non solo in Ucraina. Ma inizialmente nessuno lo avrebbe creduto capace di tali atrocità, nonostante i suoi trascorsi di dirigente del Kgb, la polizia segreta sovietica (Putin aveva trascorso quattro anni a Dresda nella Germania comunista) e la sua sanguinosa repressione delle rivolta islamica in Cecenia, una regione della Russia. In una telefonata del 2000 al premier inglese Tony Blair, il proprio più stretto alleato, lo stesso Clinton aveva definito Putin “un leader dal grande potenziale, intelligente e preparato, con cui potremo fare parecchie cose”, pur lamentando che “non sia ancora uscito allo scoperto su alcuni problemi internazionali” e che “la sua posizione sulla democrazia sia ambigua”.
Le riserve di Clinton nascevano dalle obiezioni, fondate a dire il vero, che Putin aveva mosso alla politica di Washington verso la Russia nei loro due incontri a Mosca un decennio dopo il crollo dell’Urss. Nel 1999, quando era ancora primo ministro sotto il suo mentore, il presidente Boris Eltsin, Putin aveva accusato Clinton di avere distrutto l’economia di stato russa premendo perché fosse privatizzata. E nel 2000 gli aveva rimproverato l’allargamento della Nato all’Europa dell’Est con l’inclusione della Polonia, della Ungheria e della Repubblica ceca, allargamento che Gorbaciov e Bush Sr. avevano escluso dopo lo scioglimento dell’equivalente sovietico dell’Alleanza atlantica, il Patto di Varsavia. Nel 2000 Putin aveva sorpreso Clinton chiedendogli se un giorno la Nato avrebbe aperto le porte anche alla Russia, e auspicando che il suo successore adottasse una politica più rassicurante per la Russia.
Tempo fa, Henry Kissinger, l’architetto della distensione tra gli Usa e l’Urss negli anni Settanta, raccontò di avere incontrato e discusso con Putin diciassette volte e di averlo considerato fino dal principio un politico capace, un nazionalista con una concezione “quasi mistica” della Russia e della sua grandezza, che stava adottando riforme interne come la riabilitazione della minoranza ebraica perseguitata da Stalin, e che cercava “relazioni paritarie” con l’America, un leader con cui era possibile e conveniva trattare. Per Putin, disse Kissinger, la Russia è una potenza europea, e noi commetteremmo un enorme errore se lo respingessimo, inducendolo ad allearsi con la nostra futura rivale, la Cina. A noi giornalisti accreditati alla Casa Bianca sembrò che Bush Jr. volesse fare tesoro di questo giudizio, sollecitato tra l’altro dal proprio padre, l’ex presidente Bush Sr., che era stato legato a Gorbaciov da una sincera amicizia.
E’ la strage delle Torri gemelle dell’11 settembre del 2001 a rendere Putin “un partner affidabile” agli occhi di Bush Jr. Il presidente russo, riferisce quel giorno il presidente americano, “è stato il primo leader straniero a chiamarmi mentre ero in volo su Air Force One, subito dopo l’attentato a Manhattan” (l’Air Force One è il Jumbo presidenziale, una fortezza elettronica volante). La Cia ha già avvisato Bush Jr. che Mosca non ha nulla a che fare con Al Qaeda e Bin Laden, e Putin lo ribadisce. Le sue parole: “So che hai ordinato la massima allerta, e un tempo noi avremmo reagito ordinandola a nostra volta, ma adesso non lo faremo perché siamo al vostro fianco, vogliamo la sicurezza degli Stati Uniti”. Washington e Mosca, opina il presidente americano, combatteranno insieme il nemico comune, il terrorismo. E in privato va oltre, confidando ai suoi ministri che “Putin è un riformatore che lavorerà con noi e che pacificherà il mondo”.
E’ una profezia che oggi suscita sarcasmo. Ma si potrebbe dire che una volta c’era un altro Putin, uno statista e non un criminale di guerra, un politico che mirava a stabilizzare l’Europa con due sfere d’influenza, una americana e una russa, in collaborazione tra di loro. Lo dimostra il vertice del novembre 2001 al ranch di Bush Jr. a Crawford nel Texas a cui partecipa anche il premier italiano Silvio Berlusconi. Il presidente russo definisce “un piacere” negoziare con il presidente americano “un uomo che fa ciò che dice” e promette che “se voi collaborerete con la Russia, la Russia collaborerà con voi”. Insieme otterremo importanti risultati, conclude Putin. Di nuovo, non sono soltanto parole. Nei mesi successivi, quando gli Stati Uniti attaccheranno l’Afganistan, il covo di Al Qaeda e di Bin Laden, Mosca aprirà i suoi cieli ai loro caccia e bombardieri, e i suoi servizi segreti aiuteranno quelli americani (la Russia conosce bene l’Afganistan: lo sottomise ai tempi dell’Urss ma dovette poi ritirarsi sconfitta).
Noi che eravamo presenti non abbiamo mai dimenticato quel vertice. Gli uomini dei due presidenti ne fecero uno spettacolo tra amici, lo “Vladimir and George show”, a cui Berlusconi contribuì con probabilità dietro le quinte, grazie alla sua famigliarità con Putin. Venne mobilitato persino il liceo locale, affinché Putin e Bush Jr. potessero raccontare agli studenti, naturalmente in diretta alla tv, che cosa avessero mangiato in quei giorni, come si fossero divertiti ad andare a pesca e a cavallo, che cosa pensassero l’uno dell’altro. Putin descrisse Bush Jr. come “un autentico texano” e aggiunse che “il Texas è forse il vostro stato più importante”, ma si corresse ridendo: “O forse no. Forse è l’Alaska, che noi russi vi vendemmo oltre un secolo fa”. Fu chiaro a tutti che Washington e Mosca avevano riaperto positivamente il difficile dialogo interrotto dalle dimissioni di Boris Eltsin alla fine del 1999 e dalla diffidenza di Putin verso Clinton.
Retrospettivamente, bisogna ammettere che quella “luna di miele” tra Washington e Mosca, come venne chiamata la concordia ostentata da Putin e da Bush, fu ingannevole. Dai documenti desecretati dalla Cia, risulta che meno di venti anni prima, nel 1983 per l’esattezza, Washington e Mosca avevano sfiorato il conflitto nucleare, la Terza e ultima guerra mondiale se avesse avuto luogo. A Londra, la regina Elisabetta aveva preparato in segreto un drammatico discorso alla nazione, fortunatamente mai pronunciato, ma ancora adesso reperibile su internet. Sarebbe stato un miracolo se Putin e Bush Jr., così diversi, avessero davvero sepolto il passato e fossero pronti a superare ogni contrasto. Eppure gran parte del mondo credette che nell’età del terrorismo islamico le cose stessero cambiando in Europa e che il Terzo Millennio avrebbe segnato una svolta storica nei rapporti tra le superpotenze. Sembrò confermarlo un anno più tardi la Dichiarazione di Pratica di Mare, presso Roma, di cui Berlusconi avrebbe rivendicato la paternità.
A Pratica di Mare nel maggio del 2002 “l’altro Putin” firmò un documento cruciale. La Russia fu autorizzata a trattare alla pari con ciascun stato membro della Nato anziché solo con il segretario dell’Alleanza come stabilito nel 1997. Venne inoltre costituito un Consiglio a venti con la sua partecipazione, in sostituzione del Consiglio Nato – Russia formato cinque anni prima per lo scambio di informazioni tra le due parti. All’atto pratico, si trattò di un primo passo verso una possibile associazione della Russia all’Alleanza, su cui si rinviarono però sondaggi e discussioni. Berlusconi non esitò a descrivere l’Italia come il ponte tra Mosca e Washington e a pronosticare un loro ulteriore riavvicinamento, vista anche la collaborazione tra le due Superpotenze nella lotta al terrorismo islamico e per la stabilità del Medio Oriente.
In realtà, la “luna di miele” di Crawford incominciò a guastarsi nello stesso 2002, quando un mese dopo la Dichiarazione di Pratica di mare Bush Jr. denunciò unilateralmente il trattato Abm contro la produzione di missili antimissili e decise di rinnovare l’arsenale atomico americano. “L’altro Putin” si sentì ingannato e umiliato, lo accusò di alterare l’equilibrio delle forze tra i due Paesi, e prese pesanti contromisure. E’ impossibile che Bush Jr. non si rendesse conto di avere violato con la denuncia dell’Abm quella teorica parità politica e militare delle due superpotenze a cui il presidente russo tanto aspirava. Ma anziché rafforzare il dialogo con Putin, Bush Jr. se lo inimicò ulteriormente nel 2003 con l’invasione dell’Iraq, dove la Russia aveva grossi interessi petroliferi, adducendo false motivazioni: che il dittatore iracheno Saddam Hussein appoggiasse il terrorismo islamico e stesse per produrre l’atomica.
Noi che fummo testimoni di quegli eventi avvertimmo presto il gelo crescente tra Putin e Bush Jr. A dodici anni dal crollo dell’Urss, la collaborazione tra l’America e la Russia voluta da Gorbaciov e da Reagan diminuiva invece di aumentare. Questa svolta venne tenuta nascosta da Washington e Mosca e ignorata dall’Occidente per un paio d’anni, ma condusse a una Nuova guerra fredda di cui il dramma dell’Ucraina è adesso il prodotto più disumano. La speranza nutrita nel 2001 e 2002 che l’America e la Russia potessero impostare insieme un nuovo ordine mondiale si rivelò una illusione. Se l’Occidente, Europa in testa, ne avesse preso atto e avesse tentato di rimediarvi, centinaia di migliaia di vite sarebbero state salvate. Non lo ha fatto e adesso è chiamato a porre fine alla guerra dell’Ucraina e a spingere Washington e Mosca a dialogare se non a collaborare.
Ennio Caretto