TORINO – Ancora una volta presi in giro dalla Giustizia. Si stenta a credere che i familiari delle vittime, le associazioni, i casalesi tutti, abbiano ancora un briciolo di fiducia nel nostro sistema giudiziario. E hanno ragione a non averne. Non sarà facile superare l’ennesima beffa, l’ennesima umiliazione. Ormai è ufficiale: chi ha il potere, chi ha il “grano”, vince sempre. Non importa se è considerato da tutti un mostro, non importa se con la sua condotta ha cagionato migliaia di vittime. Non importa se lo stillicidio continua e continuerà ancora per decenni. Non importa se continua imperterrito ad avvelenare il mondo.
Lo si era capito già quando la Corte di Cassazione cancellò in un meno di un pomeriggio una battaglia giudiziaria durata anni. Lo si era capito quando, sbigottiti. si era appreso che era stato lo stesso Procuratore Generale della Cassazione a chiedere l’annullamento del Processo. Lo si è capito quando il Gup, Federica Bompieri, chiamata a giudicare sul rinvio a giudizio dell’ormai noto Eternit-bis, ha messo in stallo il processo rinviando alla Corte Costituzionale l’eccezione della difesa sul Ne bis in idem. E una piccola vittoria, che aveva dato un po’ di speranza, era stata proprio la decisione della Corte che non solo considerava legittimo il processo, ma che addirittura riapriva la porta ai casi annullati nel primo processo. Ma è stata solo un’illusione. Perché nel sistema giudiziario, soprattutto in quello italiano, il miglior modo per affossare un processo e sommergerlo di carta. Incastrarlo tra Procure e uffici giudiziari. E’ quello che accaduto nell’udienza preliminare del processo Eternit bis che martedì pomeriggio ha visto il suo ultimo atto. Come tristemente previsto si è optato per una decisione salomonica. Rinvio a giudizio sì, ma derubricando l’omicidio da doloso a colposo, spacchettando il processo su quattro diversi tribunali, facendo cadere molti di questi sotto la scure della prescrizione. Per ora solo tre dei cinque casi che gestirà per competenza territoriale il tribunale di Torino. I nomi delle altre vittime che resteranno senza giustizia, lo decideranno gli altri tribunali. Le altre tre Procure che riceveranno le copie delle centinaia di faldoni relativi agli altri 263 omicidi, saranno quelle di Reggio Reggio Emilia per 2 vittime di Rubiera dell’Emilia, a Napoli per 8 morti di Bagnoli e tutti gli altri 253 alla procura di Vercelli per i decessi registrati nel comprensorio casalese. Migliaia di documenti, altre tre udienze preliminari, altre tre richieste di rinvio a giudizio. Quattro nuovi processi che da una parte hanno reso vani gli sforzi fatti fino ad ora, dall’altra che riaccendono la speranza che un nuovo magistrato rivaluti diversamente la questione, considerando doloso l’omicidio e quindi, perlomeno, evitandoci anche l’ennesima beffa sulla prescrizione. «Sono sconcertata per la soluzione prospettata dal giudice ma comunque soddisfatta per la decisione di rinviare a giudizio Schmidheiny, seppur preoccupata per lo “spacchettamento” in diverse sedi del processo – ha commentato il sindaco Titti Palazzetti – Continueremo a lottare per avere giustizia in particolare al Tribunale di Vercelli, dove ci saranno i casi del nostro territorio. Lotteremo non solo per rispetto delle vittime di questa tragedia ma anche per il futuro nostro e dei giovani, affinché sia chiaro che inquinare l’ambiente e trascurare la salute dei cittadini per profitto è un gravissimo delitto che pregiudica la vita delle generazioni a venire». «Due anni di attesa per questo risultato; dire che la montagna ha partorito il topolino pare riduttivo – dicono da Afeva – Dopo udienze su udienze, discussioni, un’interruzione (a dir poco evitabile) di un anno in attesa della decisione della Consulta, altre discussioni, sei ore di Camera di Consiglio siamo giunti a questo: il giudice che sembrava non voler mai decidere alla fine ha spezzettato il processo Eternit-bis per le varie Procure d’Italia. Sono molti i motivi per i quali questa decisione lascia un profondo senso di insoddisfazione. Anzitutto, perché è stata derubricata a ‘colposa’ una condotta dolosa di sconcertante gravità. Tutti gli atti d’indagine, tutti i testimoni del primo processo ne avevano dato prova; è ormai chiaro a chiunque (meno che a questo Giudice, purtroppo) che Stephan Schmidheiny, malgrado fosse pienamente a conoscenza (grazie ai centri di ricerca dell’Eternit) delle morti che la lavorazione dell’amianto avrebbe causato, ha continuato come se nulla fosse. La morte di centinaia, migliaia di persone è stata cioè trattata dal proprietario di Eternit un “costo necessario” in nome del profitto; questo si chiama, in qualsiasi cultura e tradizione giuridica, dolo di omicidio».
Dario Calemme
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