Monsignor Gianni Sacchi è da 5 anni alla guida della Diocesi. Venne consacrato vescovo il 21 ottobre 2017 e fece il suo ingresso a Casale il 29. In un’intervista a La Vita Casalese il Vescovo commenta questo quinquennio e si sofferma sulle sfide che attendono la Chiesa casalese. “Occorreranno scelte pastorali condivise” sottolinea. E, tra l’altro, auspica “la formazione di laici preparati per affidare loro responsabilità nelle nostre comunità e a livello diocesano”.
In merito ai rincari energetici, “la situazione è davvero grave per tutti: per le famiglie, per le istituzioni e per la gestione delle nostre parrocchie – commenta il Vescovo -. La Caritas diocesana e le parrocchie continueranno a sostenere le famiglie in difficoltà con i generi alimentari, ma diventa impossibile pensare ad aiuti economici per le bollette delle utenze. Saranno mesi difficili per tutti, ma ce la faremo perché non siamo soli. In questi cinque anni di episcopato ho potuto constatare che la Provvidenza mai ci abbandonerà”.
Quando ha detto sì alla chiamata per diventare vescovo di Casale si attendeva un impegno come quello di questi cinque anni?
“Quando ho detto ‘sì’ al Nunzio apostolico che mi aveva convocato a Roma, ero ben consapevole di che cosa voleva dire una nomina come questa. Ho condiviso con il mio vescovo Gabriele 15 anni di responsabilità prima come Provicario generale, poi Vicario e quindi vedendo il suo impegno, i tanti problemi pastorali e di governo che gravavano sulle sue spalle, non ero impreparato. Poi certamente, ogni diocesi è diversa, ma alcune dinamiche si ritrovano ovunque. Io ho cercato di immergermi subito nella vita della nostra diocesi e in cinque anni ho potuto rilevare luci e ombre che la caratterizzano”.
La Diocesi è cambiata in questo quinquennio? Come?
“Sono passati cinque anni dal mio ingresso in diocesi, ma non dimentichiamo che purtroppo la metà di questo tempo è stato segnato da quell’evento terribile della pandemia, che ha stravolto la vita di tutti e anche l’aspetto delle nostre comunità parrocchiali. Eravamo già in una situazione difficile dal punto di vista pastorale in seguito ai tanti cambiamenti di questi ultimi anni, ma questo evento ha cambiato la società, le relazioni e ci ha fatto toccare con mano la fragilità di una impostazione pastorale che ormai non è più sostenibile. Già si constatava una diminuzione della partecipazione della gente, e la pandemia ha prodotto un ulteriore calo di presenze alla vita attiva delle comunità cristiane. E questa situazione è sotto i nostri occhi… Non posso dire che la situazione è peggiorata, sicuramente è cambiata e noi siamo chiamati a trovare nuovi percorsi di evangelizzazione come stiamo tentando di fare”.
Pochi sacerdoti, una società sempre più secolarizzata: quali sono le sfide per il futuro?
“Una società sempre più secolarizzata e post-cristiana ci pone molti interrogativi dal punto di vista della nostra azione pastorale e noi comunità cristiana dobbiamo concentrarci a vivere e trasmettere l’originalità del Vangelo e quelle verità che sono state capaci di attraversare il corso dei secoli. Non dobbiamo inventarci nulla; si tratta solo di ritornare all’essenziale, al messaggio di Gesù risorto, che dà senso e significato alla vita di tutti gli uomini e donne del nostro tempo. Ci sono sempre meno sacerdoti, ma anche i laici possono essere testimoni del Vangelo in ogni situazione della vita nelle nostre comunità.
È un compito importante quello che ogni battezzato può assumersi per sostenere la vita cristiana nelle famiglie e nelle parrocchie. Quando penso al futuro così incerto e difficile come ci viene prospettato in seguito anche al vistoso calo dei sacerdoti, non posso dimenticare che gli apostoli mandati da Gesù in tutto il mondo erano soli, di fronte al mare vasto di terre con popolazioni sconosciute e pagane; eppure, forti della promessa del Maestro che non li avrebbe lasciati mai da soli, sono partiti sospinti dallo Spirito e hanno portato il Vangelo generando alla fede tutti coloro che lo hanno accolto. Oggi le nostre sfide sono tante: la crisi vocazionale e la pastorale giovanile in grado di proporre alle nuove generazioni proposte concrete di formazione; le parrocchie che diventano sempre più piccole a causa della forte denatalità e spopolamento e il numero dei preti che si riduce con la conseguente impossibilità di garantire ovunque le messe domenicali. Occorrerà fare delle scelte pastorali condivise. La difficoltà di raggiungere chi ormai è lontano e indifferente alla Chiesa e alla fede. La formazione di laici preparati per affidare loro responsabilità nelle nostre comunità e a livello diocesano”.
Che prospettive stanno emergendo dalla sua visita pastorale?
“La visita pastorale alle Unità mi fatto toccare con mano il divario che esiste tra gli obiettivi della loro istituzione ufficiale nel 2015 con il mio predecessore il vescovo Alceste e la effettiva attuazione delle finalità per cui sono state pensate. Siamo molto lontani da un discorso di lavoro pastorale svolto insieme dalle parrocchie e di condivisione di alcuni cammini pastorali all’interno delle UP.
Occorre seriamente ripartire da quel documento e insieme ai sacerdoti e a tutti i laici è necessario ricominciare a creare la consapevolezza che non possiamo lasciarci trovare impreparati di fronte a ciò che succederà nelle nostre parrocchie tra pochi anni. Ci occorre veramente una conversione pastorale prima a livello personale tra preti e poi a livello di comunità, che seriamente pensano al futuro abbandonando il ‘Si è sempre fatto così’ per aprirsi a nuovi cammini che tengano conto della reale situazione e non solo di idealità”.
Che cosa si attende da questa fase sinodale?
“Da questa fase sinodale mi attendo che il clima positivo che si è creato nei mesi scorsi tra chi ha vissuto l’esperienza di ascolto e di confronto, continui e si estenda al maggior numero di persone, affinché tutti provino a vivere e sperimentare il volto di una Chiesa capace di riflettere sul suo cammino di fede e attenta ai segni dei tempi. Così dovrebbero essere sempre le dinamiche all’interno delle nostre Comunità e tra gli uffici pastorali”.
Siamo entrati in una nuova emergenza, quella del caro energia: ci sono delle iniziative della Chiesa locale per sostenere chi è più in difficoltà?
“Nella interminabile pandemia, che già aveva generato non pochi problemi alla nostra vita, si è aggiunta l’assurda guerra in Ucraina che ha creato, almeno in Europa, un’economia di guerra con aumenti ingiustificati e speculativi di tutte le fonti di energia e anche dei generi di prima necessità e alimentari. La situazione è davvero grave per tutti: per le famiglie, per le istituzioni e per la gestione delle nostre parrocchie. La Caritas diocesana e le parrocchie continueranno a sostenere le famiglie in difficoltà con i generi alimentari, ma diventa impossibile pensare ad aiuti economici per le bollette delle utenze, perché non abbiamo altre risorse se non quelle ordinarie che arrivano ogni anno per sostenere l’azione caritativa, soprattutto in ambito alimentare. In città a Casale la nostra Caritas sta realizzando la nuova mensa più grande per aiutare le famiglie e le persone che sono nel bisogno. Per fine anno dovrebbe entrare pienamente in funzione. Oltre a questo aspetto, non dimentichiamo che dobbiamo provvedere anche all’aiuto di diverse famiglie ucraine ospitate dalla nostra diocesi. La straordinarietà della risposta generosa di tanti all’indomani dello scoppio della guerra ha lasciato il posto all’ordinarietà in cui dobbiamo aiutare a questi profughi in tanti aspetti e in modo particolare nei prossimi mesi invernali con tutto ciò che questo comporta. Saranno mesi difficili per tutti, ma ce la faremo perché non siamo soli. In questi cinque anni di episcopato ho potuto constatare che la Provvidenza mai ci abbandonerà”.