Nel 1992, un anno dopo il crollo dell’Impero sovietico, il politologo statunitense Francis Fukuyama pubblicò un saggio divenuto famoso, “La fine della storia”, in cui sostenne che il progresso politico economico e sociale dell’umanità aveva raggiunto l’apice e in cui celebrò il “successo irreversibile” delle democrazie. Una analisi che non poteva essere più errata alla luce delle guerre dell’Ucraina e di Gaza, della nascita dell’Asse Trump-Putin, e delle amare discordie interne della Nato e dell’Ue emerse alla Conferenza sulla sicurezza, o meglio sull’insicurezza, del weekend scorso a Monaco di Baviera. In quella città, nel 1938, su iniziativa di Mussolini, le grandi potenze europee di allora, l’Inghilterra e la Francia, dettero in pratica via libera a Hitler per l’invasione della Cecoslovacchia. Inutilmente Winston Churchill, da vero bulldog inglese, tuonò: “Avevate la scelta tra la guerra e il disonore. Adesso avete il disonore e la guerra”. Fukuyama peccò di ottimismo e forse è scusabile perché nel ’92 nessuno poteva prevedere quello che sarebbe capitato nel quarto di secolo a venire, e soprattutto che ci sarebbe stata un seconda Monaco. Ma oggidì, a quasi novant’anni dalla tragedia del 1938, l’Occidente rischia di commettere lo stesso errore, che se non verrà evitato non condurrà per fortuna alla Terza guerra mondiale ma sostituirà alle democrazie, per molto tempo, la legge dei forti, ossia degli editti, di cui pensavamo di esserci liberati.
Mondo da spartire
Qualcuno riterrà questo monito eccessivo, ma la realtà è che d’improvviso il mondo si trova nelle mani di tre uomini forti, Trump, Putin e Xi Jinping, che hanno tutto l’interesse a spartirselo in pace e a cui non paiono in grado di opporsi da un lato l’Ue, vergognosamente imbelle, e dall’altro i colossi emergenti come l’India, almeno per il momento. Per ben ottant’anni, dalla fine della Seconda guerra mondiale, la troika Washington, Mosca e Pechino ci ha condizionati, però da posizioni conflittuali, cosa che ci ha concesso una certa libertà. Ma se ai tempi della Guerra fredda, quando le ideologie contavano più dei leaders, triangolazione significava contrapposizione, come spiegava il principe della diplomazia americana Henry Kissinger, oggi al contrario significa coordinamento, e purtroppo ciò ci toglie molti margini di manovra. Trump, Putin e Xi non vogliono sfere d’influenza bensì di dominio, e mirano a espandere i propri territori, nel Canada, in Groenlandia, a Panama e a Gaza Trump, in Ucraina, Georgia, nei Baltici Putin, in Taiwan e altrove in Asia Xi. Perché essi non si dovrebbero mettere d’accordo con reciproci “do ut des”? L’Ucraina e Gaza sono sì banchi di prova ma se non glielo impediremo saranno anche il primo passo verso la formazione di tre imperi. E’ inutile sperare che Trump sia una meteora e che dopo di lui l’America torni a essere quella che era. La sua potrebbe essere la presidenza del distacco dall’Ue, una Usexit.
Schiaffo alla Ue e alla Nato
Che Trump, un isolazionista e un protezionista pronto a usare la forza anche contro gli alleati e i partners commerciali costituisse non la continuità ma la rottura della politica estera americana lo sapevamo tutti. Non ci aspettavamo tuttavia che destabilizzasse ulteriormente il Medio Oriente con la decisione di fare di Gaza un possedimento americano e che destabilizzasse ulteriormente l’Ue con quella di negoziare la pace in Ucraina con Putin senza Zelensky. Trump intende deportare milioni di palestinesi in Egitto e in Cisgiordania e consegnare un quarto dell’Ucraina alla Russia, dalla Crimea al Donbas, in cambio di una pace fittizia per i due popoli sconfitti. Come ha detto pubblicamente, ne trarrebbe vantaggio con la costruzione di una “Riviera” a Gaza e con lo sfruttamento delle “terre rare” ucraine, le più ricche di minerali strategici del mondo. Egli considera Putin, un criminale di guerra per l’Europa, un “leader di buonsenso” con cui collaborare strettamente, e la Russia “una nazione da riammettere nel G8”, il club delle potenze industriali di cui fa parte anche l’Italia. Ma la realtà è che la Pax putintrumpiana sarebbe una resa dell’Ucraina e un tremendo schiaffo all’Ue e alla Nato, istituzioni a lui quasi invise, e che legittimerebbe l’operato di Putin. L’Europa, divisa in filoucraini, filorussi e indecisi (la maggioranza) è chiamata a unirsi, e a questo scopo il presidente francese Macron ha indetto un suo vertice.
Atteggiamento sprezzante
Con il suo brutale avvertimento a Monaco, “c’è un nuovo sceriffo a Washington”, e il rimprovero all’Ue di coltivare “valori sovietici”, quasi fossimo la teppa dell’Occidente, il vice di Trump, Vance, si è messo al livello della portavoce degli Esteri russa Zakharova, che nello stesso giorno ha accusato il nostro Capo dello Stato Mattarella di “invenzioni blasfeme”. Si tratta di una coincidenza? Affatto. I trumpisti e i putiniani, la cui luna di miele potrebbe tuttavia cessare presto, usano il medesimo linguaggio sprezzante nei confronti di noi europei perché ci considerano i depositari delle social democrazie, “nemiche” per definizione degli imperi. E’ impossibile che Trump e Putin abbiano già pianificato il nostro futuro, ma conviene chiederci se si propongano di dividersi le Nazioni europee come i tre “uomini forti” del loro tempo Roosevelt, Stalin e Churchill fecero a Yalta nel febbraio del 1945, ancora prima che la Seconda guerra mondiale terminasse. Di certo tornerebbe comodo a Putin distaccare l’Ue dagli Usa, il “decoupling” da lui sempre perseguito, e rendere così obsoleta la Nato. Come ci ha ricordato Mattarella suscitando la rabbia del Cremlino, siamo in una congiuntura simile a quella degli anni Venti del secolo scorso quando il revanscismo e il protezionismo silurarono la Lega delle Nazioni. E se non faremo qualcosa, sarà non “la fine della storia” di Fukuyama ma la fine delle social democrazie, non più alleate ma suddite.
Una sfida epocale
Fare che cosa? Intanto renderci conto che la sfida degli imperi è epocale e che non si esaurirà con il secondo mandato di Trump perché nel 2028 l’America potrebbe eleggere presidente Vance e perché i successori di Putin e Xi potrebbero essere peggiori di loro. E poi comportarci da grande potenza in quanto in realtà lo siamo, con o senza l’Inghilterra, ormai pentita della Brexit. L’Ue non è un’armata Brancaleone, è una entità politica, economica, tecnologica, culturale che i Paesi terzi più avanzati prendono a modello, con un ruolo internazionale cruciale, e può trattare con Washington, Mosca e Pechino da pari a pari. Il suo tallone d’Achille non è tanto il sovranismo, una dolorosa spina nel suo fianco, quanto la mancanza di un deterrente e di una difesa comuni, mancanza che sfortunatamente consente a Trump di esigere un contributo del 5 per cento del suo Pil alla Nato. Ma tale mancanza non è solto colpa nostra perché l’America ha boicottato la formazione di un’industria bellica e di una massiccia forza armata europee allo scopo di venderci armi, mezzi e nuove tecnologie a caro prezzo. A noi conviene creare una difesa comune e ridurre la nostra dipendenza dal Pentagono. La risposta dell’Ue alla sfida di Trump e Putin avrà qualche effetto se consisterà di chiare misure al riguardo, di una mediazione a Gaza e di un appoggio incondizionato a Zelensky, dato che l’Ucraina è un problema europeo prima che americano.
Aprire un confronto
Aprire un confronto tra l’Ue e gli Usa non sarebbe una battaglia contro i mulini a vento alla Don Chisciotte. Trump, bisogna riconoscerlo, vuole davvero la pace a Gaza e in Ucraina e sa che Putin e Xi possono aiutarlo a raggiungerla. Ma non ha certezze sul come, dove e quando tanto che le sue dichiarazioni cambiano a seconda di quello che gli dicono i suoi “fidi” che stanno negoziando ora in segreto ora in pubblico. Inoltre è consapevole che Putin è capace di ingannarlo o voltargli le spalle e che l’America non può fare a meno dell’Ue, perché esse sono interdipendenti: nessuna delle due può perdere il mercato dell’altra, o abbandonare unilateralmente la Nato. Infine realizza che presso il mondo islamico e i giganti emergenti la credibilità americana è minore di quella europea e che la nostra partecipazione alle trattative può essere utile. Trump insiste che non fornirà soldati americani a contingenti a presidio di Gaza o dell’Ucraina nell’ambito di garanzie internazionali, ma potrebbe contribuire alla preservazione della pace da lontano. L’Europa è chiamata pertanto a battersi per una pace “giusta” per i palestinesi e per gli ucraini. Se Putin, legittimato da Trump ripetiamo, l’avesse vinta che cosa succederebbe a un’Ucraina semidistrutta e isolata? Ciò che successe al Sud Vietnam che due anni dopo la pace del 1973 fu invaso e annesso dal Nord Vietnam senza che l’America intervenisse? Verrebbe fagocitata dalla Russia?
Iniziativa sui dazi
Un confronto Europa–America è necessario anche nel settore commerciale dopo la dichiarazione di guerra di Trump e la sua raffica di dazi. Assommati all’ingordigia degli oligarchi alla Elon Musk, che non vedono l’ora di colonizzare l’Europa, e all’intrusione dell’Intelligenza artificiale, un’arma di cui Vance rivendica il monopolio, i dazi sono per noi un pericolo grave. In un articolo sul Financial Times, Mario Draghi ha rilevato che l’economia europea si nutre delle esportazioni ma le ostacola già da sola con una burocrazia che spesso ne ritarda la crescita. I dazi sono un problema che va risolto a livello globale, non bilaterale. Bruxelles si deve muovere su due fronti, quello interno e quello internazionale, e assumere l’iniziativa di una Conferenza per abbassarli, non alzarli.
Ennio Caretto