All’Angelus di domenica 6 settembre abbiamo ascoltato il nuovo appello di Papa Francesco, che ci sollecita ad aprire le porte del nostro cuore e delle nostre case a persone in fuga dai loro paesi devastati dalla guerra e dalla povertà.
Da sempre la Chiesa ha sentito il dovere di accogliere le persone in difficoltà e soprattutto quelle alla ricerca di una casa e di un lavoro, di assistenza sanitaria e di ogni altra concreta necessità. I centri di ascolto della Caritas in ogni diocesi e parrocchia rispondono, grazie a un esercito di volontari a tutte queste necessità e lo fanno senza discriminare nessuno, italiano o non, della nostra fede o di altre, perché in ogni persona riconosciamo il Signore. Lo abbiamo appreso dal Vangelo, dove con chiarezza risuonano le parole di Gesù stesso: Ero forestiero e mi avete ospitato: venite benedetti del Padre mio. Ero forestiero e non mi avete ospitato: via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno. Lo ha proposto nei secoli l’insegnamento di una vita cristiana che ha sempre tenuto in grande considerazione le opere di misericordia corporale e spirituale. In questi tempi di emergenza abbiamo cercato di agire in modo coerente, spesso sfidando la contrarietà di quanti si lasciano condizionare dall’emotività, dalla paura dello sconosciuto, quando non anche da atteggiamenti di razzismo.
Ora l’intervento del Santo Padre ci ha provocati ulteriormente, costringendoci a prendere consapevolezza di alcuni elementi di novità:
- la drammaticità e la progressiva urgenza di una richiesta, che non è più solo ricerca di una vita migliore, ma è fuga disperata da situazioni di guerra;
- la dimensione del fenomeno, che sfida non più soltanto la possibilità delle nazioni più vicine all’Africa, ma giunge a mette in difficoltà lo stesso continente europeo;
Papa Francesco ha evidenziato due concetti importanti
- la possibilità per le comunità cristiane di dare concreta risposta a questo scenario, semplicemente responsabilizzando ogni fedele, ogni comunità e ogni struttura ad accogliere un numero limitato e quindi possibile di profughi;
- l’opportunità di impostare l’accoglienza a misura di famiglia, rendendo così possibile una strategia di accoglienza diffusa sui territori e quindi libera da quella emotività che nasceva spontanea di fronte a masse di individui sconosciuti e, proprio perché soli, difficili da integrare nei nostri territori.
Considerati questi fatti nuovi, i Vescovi del Piemonte e Valle d’Aosta desiderano ringraziare per l’ottimo lavoro fin qui svolto dalle Caritas, da Migrantes e dalle organizzazioni che hanno già donato il loro prezioso apporto in questa situazione di emergenza. Inoltre accolgono e fanno proprio l’invito a tutte le nostre parrocchie, famiglie, comunità religiose, per un supplemento di impegno e per rendersi disponibili a dare una risposta concreta a quanto Papa Francesco ci chiede. Non sarà difficile reperire soluzioni abitative. Forse sarà più impegnativo, ma necessario, creare reti di accoglienza e di accompagnamento, che pretendono unicamente la disponibilità dei credenti a sentirsi responsabili del proprio fratello.
Fra qualche settimana saremo chiamati ad aprire le porte dell’imminente Giubileo. Ma suonerebbe falso se, aprendo una porta simbolica, prima non fossimo stati capaci di aprire le porte della nostra accoglienza.
I Vescovi del Piemonte e Valle d’Aosta