Il 21 dicembre, al-Shabaab, formazione islamista e cellula somala di al-Qaeda, ha teso un’imboscata a un autobus che si stava dirigendo a Mandera, città nel nord-est del Kenya. Col volto coperto, armati, in tuta mimetica, i militanti hanno fatto scendere i passeggeri e cominciato la loro caratteristica conta mortale. I musulmani da una parte, i cristiani dall’altra, due gruppi separati per ucciderne uno solo, in nome della sharia. Ma questa volta i passeggeri musulmani si sono rifiutati di collaborare.
“Gli abbiamo chiesto di ucciderci tutti o di lasciarci andare” ha raccontato Salah Farah al Daily Nation dopo l’attacco. Anche lui si trovava sul bus. “Appena abbiamo parlato hanno sparato a un ragazzo, e a me”.
Il 18 gennaio, Farah, dopo un mese trascorso al Kenyatta National Hospital di Nairobi, è morto per le ferite riportate. La polizia ha scortato il suo corpo a Mandera, dove viveva e lavorava come vice preside in una scuola locale.
“E’ un vero eroe” ha detto di lui il capo della polizia keniota, Joseph Boinnet, “è morto per proteggere innocenti”.
Farah era musulmano, prima di morire ha fatto in tempo a raccontare che si era rifiutato di sacrificare i passeggeri cristiani perché credeva fermamente nella convivenza pacifica tra musulmani e non musulmani. E quel giorno sull’autobus non è rimasto solo, altri passeggeri musulmani a bordo lo hanno affiancato, dando i loro veli ai cristiani perché si confondessero, perché non fossero riconoscibili.
“Siamo fratelli”, ha detto Farah a Voice of America all’inizio di questo mese. “E’ la religione a fare la differenza, quindi chiedo ai miei fratelli musulmani di prendersi cura dei cristiani in modo che i cristiani possono prendersi cura di noi”.