Per la seconda volta in otto anni, la prima fu nel 2016, l’Europa rischia di avere a che fare nel prossimo quadriennio, e forse ancora più a lungo, con un Presidente americano a essa ostile: Donald Trump, il leader del fu partito Repubblicano (dico del fu perché questo partito rappresenta oggi non il centro destra, come era storicamente nel suo Dna, ma la destra estrema, xenofoba, razzista e isolazionista). Pochi europei se lo sarebbero aspettato, dopo il suo fallito tentativo di golpe del 6 gennaio del 2021 i più avevano sperato che Trump venisse interdetto. E invece Trump è di nuovo il più forte candidato repubblicano alla Presidenza degli Stati Uniti, come dimostrato dai primi dati della campagna elettorale in corso. Un candidato antieuropeista, il primo della storia, in grado di sconfiggere Joe Biden, il Presidente democratico che ha dato buona prova di sé, ma che a 81 anni è fragile non solo fisicamente, e per molti americani è troppo a sinistra.
Il cammino verso il voto
Intendiamoci, da qui alle elezioni americane di novembre può accadere di tutto. Attualmente Trump è sottoposto a quattro processi con decine di capi di imputazione, dalla insurrezione allo stupro, e a 77 anni non appare sempre stabile. Inoltre i repubblicani centristi, che temono che il voto fluttuante, il voto degli indecisi, finisca a Biden come nel 2020, caldeggiano candidati alternativi quali Nikki Haley, la ex ambasciatrice all’Onu ed ex governatrice della Carolina del Sud, di discendenza indù, falsamente accusata da Trump di non essere americana. Ma per ragioni che vedremo è improbabile che i processi pongano fine alla candidatura di Trump alla Presidenza o che una nuova o un nuovo venuto tra i repubblicani gliela sottraggano. Al momento, la prospettiva più plausibile è che a novembre Biden lo affronti daccapo, come nel 2020. E nei sondaggi Biden, che peraltro sostiene di essere l’unico democratico capace di sconfiggerlo, è dietro all’avversario, che lo accusa di essere un traditore, “un non patriota”.
Avversari demonizzati
In Europa riesce incomprensibile ai più che Trump, l’istigatore del traumatico attacco al Palazzo del Congresso a Washington di tre anni fa che costò quattro vite umane, non sia stato radiato dalla politica. Ma in questi tre anni, egli ha convinto non solo i trumpisti bensì anche buona parte degli elettori indecisi di essere vittima di una persecuzione giudiziaria da parte di un regime socialista, affermando che la Costituzione concede l’immunità ai Presidenti per qualsiasi loro iniziativa, le sue in primis. Trump è arrivato a minacciare la Corte Suprema, che è comunque dominata da suoi seguaci, di “seminare il caos” nel Paese se non gli garantirà la rielezione, ed è sottinteso che “caos” stia per guerra civile, visto che molti trumpisti vanno in giro armati. La sua strategia elettorale è la stessa del 2016: demonizzare gli avversari e assicurare che renderà grande l’America (Maga, l’acronimo di Make America Great Again, è il suo slogan) espellendo gli immigrati, rilanciando l’economia, “mettendo al suo posto” la Cina, e via di seguito.
“America first”
E’ altresì difficile per noi europei rendersi conto che in buona parte gli americani hanno priorità diverse dalle nostre, una delle ragioni della sua rinascita politica. Esse sono la libertà personale, il benessere individuale, la preminenza razziale, la sicurezza nazionale, la cieca fede nel leader, la superiorità morale sul resto del mondo, l’isolazionismo, “l’American way of life” insomma, priorità riassunte nel messaggio trumpiano “America first”. Per loro, nonostante i proclami ufficiali in contrario, l’ecologia, l’eguaglianza, la solidarietà, la sanità, il piatto forte dei democratici, sono solo degli ostacoli allo sviluppo della superpotenza. Essi vedono in Trump il paladino delle virtù che li hanno resi forti, e in Biden il portatore di costumi e di istituzioni estranee o addirittura sovversive come quelle europee. Non a caso, il più famoso banchiere d’America, Jamie Dimon, che si professa “lievemente democratico”, ha dichiarato che dopotutto sotto il Presidente Trump l’economia e il prestigio americani crebbero vistosamente e che nel 2016 votarono per lui e non per la sua rivale democratica Hillary Clinton anche dei centristi.
Trump non ci ama
A rimetterci di più da una elezione di Trump a Presidente il prossimo novembre sarebbe comunque l’Europa, non l’America. Trump non ci ama, ci considera mangiapane a tradimento, come si diceva una volta (non è il solo, per molti repubblicani noi siamo un simbolo di decadenza). Una delle prime cose su cui da Presidente martellò i suoi interlocutori europei nel 2017 fu che dovevamo all’America quattrocento miliardi di dollari per le spese da essa sostenuta nella Nato per la nostra difesa. E una delle prime misure che prese nei confronti dell’Unione Europea fu di aumentare dazi e tariffe o di imporne di nuovi. Più che alleati Trump ci ha sempre ritenuto sudditi e più che partner ci ha sempre ritenuto concorrenti. Sebbene sia di estrazione tedesca (il padre appena immigrato a New York fu chiamato alle armi in Germania nella prima Guerra mondiale), diffida del nostro concetto di democrazia e sospetta che siamo un covo di socialisti, per lui equivalenti a comunisti, a differenza di tutti gli altri Presidenti americani.
Mano libera a Putin
Supposto che vinca le elezioni, che cosa dovremmo aspettarci dal Presidente Trump nel 2025 e gli anni successivi? Partiamo dalle due più gravi crisi internazionali d’oggi, la Guerra dell’Ucraina e la Guerra di Gaza. L’andamento della prima verrebbe capovolto, l’America abbandonerebbe l’Ucraina e con il suo assenso la Russia si approprierebbe dei territori ucraini da essa occupati. Lungi dall’entrare nella Unione Europea e nella Nato, Kiev diverrebbe un vassallo di Mosca, con un governo filorusso. Le ragioni: Trump è legato al Presidente russo Putin da interessi finanziari oltre che da amicizia personale e vuole vendicarsi dell’Ucraina che alle elezioni americane del 2020 rifiutò di aiutarlo incriminando il figlio di Joe Biden, là coinvolto in oscure storie di affari. L’Europa non potrebbe farci nulla perché Trump agirebbe senza consultarla, e Bruxelles si troverebbe di fronte a una Russia aggressiva. Sarebbe a rischio anche la Nato, da cui Trump uscirebbe volentieri, una alleanza che il Pentagono vorrebbe però preservare ma a costi inferiori, e quindi con contributi europei molto più alti degli attuali.
Sostegno a Netanyahu
A Gaza, se la guerra continuasse, Trump appoggerebbe Israele senza riserve, all’opposto di Biden. Trump è in sintonia con il premier israeliano Netanyahu e anni fa, durante la propria presidenza, tentò di privare i palestinesi degli aiuti dell’Onu. Attualmente, Netanyahu non sta solo conducendo una guerra, sta conducendo anche una campagna elettorale in cui si presenta come l’unico leader politico che possa salvare Israele, imitando Trump che si è autonominato il salvatore dell’America. Ma anche se Netanyahu fosse sconfitto alle elezioni israeliane, che potrebbero essere indette prima della fine dell’anno, Trump cambierebbe il ruolo dell’America in Medio Oriente e soprattutto nel Golfo Persico. L’America non farebbe più da mediatore ma da gendarme, attaccando Hamas e le altre formazioni terroristiche e se necessario affrontando militarmente l’Iran, il destabilizzatore del mondo dell’Islam. Cercherebbe invece un’intesa con gli avversari storici di quest’ultimo, come l’Arabia Saudita e il Pakistan.
Cina potenziale nemico
E la Cina, la vera sfidante degli Stati Uniti? Una delle promesse di Trump, la stessa di otto anni fa, è di estinguere i focolai di tensione internazionali e di pacificare il mondo. Egli cita il precedente della Corea del Nord, con cui aprì un dialogo, peraltro infruttifero, dopo oltre mezzo secolo di inimicizia. Ma Trump giudica la Cina un potenziale nemico, un concorrente economico sleale che spia sull’America e vuole metterla in ginocchio, e la ha accusata di avere scatenato il Covid contro l’Occidente a questo proposito. Non dimentichiamo che durante il suo mandato egli vietò di sovente l’ingresso in America ai cinesi oltre che ai cittadini di Paesi arabi sospettati di appoggiare il terrorismo, e adottò sanzioni e altre misure contro Pechino. Mentre Biden cerca di stabilire un rapporto costruttivo con la Cina, Trump potrebbe optare per un confronto. Una cosa è certa. Sotto di lui, l’unilateralismo degli Stati Uniti, cresciuto dopo il crollo dell’Urss, raggiungerebbe l’apice. Trump non è infatti disposto a riconoscere l’autorità di nessuna istituzione internazionale, a cominciare dall’Onu, come non lo è a preservare qualsiasi alleanza.
L’America davanti a tutto
“Globalismo” è il termine usato da Trump in senso spregiativo contro i suoi rivali politici, anche repubblicani. Il suo significato è chiaro: se diverrà di nuovo Presidente la sua America perseguirà sempre e soltanto i propri interessi, e tutelerà quei diritti civili e umani che essa, non l’Onu o altre istituzioni, riterrà giusti od opportuni. Per esempio, non riconoscerà come tale l’immigrazione, a cui porrà termine espellendo gli immigrati e chiudendo loro le frontiere. Seguirà una strada diversa da quella dell’Europa anche riguardo al clima, all’intelligenza artificiale, e così via. E all’interno del Paese realizzerà il programma più conservatore e repressivo dall’inizio dello scorso secolo, opponendosi alle riforme sociali più urgenti, ostacolando l’integrazione razziale, e imponendo uno stato di polizia a un’America divisa. Trump non è sicuro di sfuggire alla giustizia e di riconquistare la Casa Bianca. Ma ha già scelto ministri e consiglieri, e forse un vicepresidente, una giovane, Elise Stefanik, deputato alla Camera, un suo clone al femminile, di discendenza cecoslovacca da parte paterna e italiana da parte materna.
Il monito di Prodi
Giorni fa, in un’intervista che ha toccato anche il problema Trump, il nostro ex premier Romano Prodi ha ammonito che “l’Europa deve darsi una svegliata” se Trump viene rieletto, deve cioè ridurre i nazionalismi, unificarsi davvero, darsi nuove politiche, compresa quella di difesa. Prodi è stato cauto, ma non ha lasciato dubbi: Trump, che in pubblico scimmiotta il presidente francese Macron e altri leaders europei, potrebbe abbandonare l’Europa. C’è da chiedersi se Trump si renda conto che il distacco dell’America da noi sarebbe l’inizio della fine per l’Occidente e faciliterebbe l’ascesa della Cina a prima superpotenza al mondo. Ma c’è anche da chiedersi perché a ottanta anni dalla seconda Guerra mondiale l’Europa sia ancora in uno stato di sudditanza dell’America. E’ vero che le dobbiamo eterna gratitudine per averci salvato dal fascismo e dal comunismo. Ma anche se non lasciati soli, è ora che dimostriamo – perdonate l’espressione – di essere una potenza con gli attributi per trattare con politici come Trump, Putin, e Xi Jiping.
Ennio Caretto