“Vade retro Europa!”. Così sono stati interpretati, e non torto, i risultati del voto in Francia e in Germania alle elezioni europee, che hanno premiato rispettivamente la destra spinta di Marine Le Pen a Parigi e, peggio ancora, i neo nazisti a Berlino. Due forze ostili all’Unione Europea, di cui la più destabilizzante pare al momento la prima, che in seguito alla decisione del Presidente Macron di indire le elezioni parlamentari a luglio potrebbe salire al governo, cosa però non certa (la seconda, pur avendolo scavalcato, non è in grado di spodestare il partito socialdemocratico del cancelliere Scholz, il quale ha reso chiaro che non si dimetterà). La loro ascesa è il prodotto di quel vento di conservazione che da qualche anno soffia in Europa, vento definito in genere fascista dalla sinistra, soprattutto in Italia, ma che lo è solo in parte e che non si cheterà presto, e le cui origini e ragioni meritano una riflessione.
Europa da rafforzare
Sorprendentemente, all’allarme suscitato da Marine Le Pen e dai neonazisti sta facendo seguito tra i media e i politici europei la sciocca persuasione che “non cambierà niente”, in quanto l’Europarlamento rimarrebbe comunque nelle mani dei popolari e la Commissione in quelle di Ursula von der Leyen. Sciocca, perché a Bruxelles l’organo decisionale, il più potente, è il Consiglio Europeo, costituito dai Premier degli Stati membri, tra i quali la scossa elettorale potrebbe aggravare i contrasti già esistenti. E perché con i compromessi e con i rinvii non si può esorcizzare il vento di destra, come non poterono essere esorcizzati la Brexit, l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione, e i no global. C’è bisogno di una revisione urgente degli obbiettivi dell’Europa e delle politiche con cui raggiungerli ma per rafforzarla, non indebolirla. Indietreggiare sulla strada dell’integrazione significa ridurla all’irrilevanza, a danno di noi tutti.
Prevenire il ritorno dei nazionalismi
La vittoria elettorale della Le Pen, il capo del Rassemblement National, nella terra del Generale De Gaulle, il capo della resistenza al nazismo che sognava una “Europa delle patrie dall’Atlantico agli Urali”, è stata un trauma. Lo è stato anche il sorpasso del partito socialdemocratico più forte e più antico d’Europa, quello di Scholz, da parte dei neonazisti tedeschi. Che cosa succederebbe se i loro rappresentanti sedessero al Consiglio Europeo, dove sovranisti come l’ungherese Orban fanno quasi di continuo la fronda con l’appoggio di Salvini? Gli basterebbe indebolire l’Unione? Capirebbero che molti Stati europei sono oggi semi dipendenti l’uno dall’altro? L’Europarlamento riuscirebbe a neutralizzare almeno in parte le loro decisioni? E’ arrivato il momento che i partiti europeisti si coordinino per assicurarsi il potere all’interno dei propri Paesi e prevenire il ritorno dell’Europa ai disastrosi nazionalismi di un secolo fa.
Un vento di protesta
La prima cosa di cui prendere atto è che il vento di destra che soffia sull’Unione è un vento di protesta, in particolare giovanile, come lo fu il vento di sinistra del decennio passato che lanciò il Movimento Cinque Stelle in Italia e Podemos in Spagna. Lo hanno generato l’incapacità di molti governi di soddisfare le istanze degli elettori, e il risentimento e la ribellione popolari all’eccessivo burocratismo e dirigismo di Bruxelles che spesso interferisce nella vita quotidiana. Un altro punto di cui tenere conto è che la protesta delle destre estreme è distruttiva, mentre quella delle destre moderate no, può diventare costruttiva. Le destre estreme, per definizione una violenta minoranza, vanno emarginate, le destre moderate, una maggioranza tendenzialmente centrista, vanno condotte al dialogo. Naturalmente, occorre che le seconde rinneghino le prime, non ci deve essere spazio per il neonazismo e neofascismo.
Un sano pragmatismo
E’ anche importante realizzare che problemi come quello dei migranti o della transizione verde ed energetica verranno risolti solo se gli Stati membri dell’Ue saranno solidali. Il ricorso della nostra premier Meloni all’Albania sull’immigrazione e la sua insistenza su un cambiamento della politica ambientale sono controversi? Si discuta allora di alternative concrete e condivise accantonando per una volta le ideologie e abbracciando un sano pragmatismo, in Italia e fuori. Allo stesso modo, si ponga fine alle divisioni sulle forniture militari all’Ucraina e sulla sua difesa a oltranza. Politici come Conte, il capo dei grillini, un altro grande sconfitto alle elezioni, dovrebbero sapere che non proteggere l’Ucraina sarebbe fare il gioco di Putin. Le minacce di Putin all’Ue non verranno attuate solo se essa si dimostrerà forte e monolitica. In caso contrario, il presidente russo tenterà di separarla dagli Usa e invadere altri suoi territori.
L’Unione e la democrazia
I sovranisti o nazionalisti, comunque si vogliano chiamare, sono altresì un pericolo per il futuro della democrazia, perché l’Ue ne è la massima espressione. Più ancora dell’America, l’Europa poggia sui valori democratici, dai diritti umani e civili alla giustizia sociale e alla pace universale. Sarebbe un errore irrimediabile indebolirla o demolirla mentre Putin la ricatta, come appena detto, mentre l’Iran, il promotore della Guerra di Gaza, tenta di estrometterla dal Medio Oriente, mentre Trump, favorito dai sondaggi nella corsa alla Presidenza americana, dichiara che non la sosterrà ulteriormente, e mentre la Cina mira a sottometterla economicamente. Per quanto ci riguarda l’Ue è il collante del nostro continente, prima dilaniato da due guerre mondiali, ma per quanto riguarda il mondo, e soprattutto i Paesi terzi, è un importante punto di riferimento, un modello da seguire, di cui i migranti sono una tragica prova.
In Italia, la vittoria del governo Meloni, l’unico dei governi europei a ottenere una netta conferma elettorale, ha causato qualche equivoco o illusione. I suoi sostenitori parlano di una “centralità” del nostro Paese nel processo di revisione dell’Ue che prima o poi dovrà iniziare. E’ vero che il peso del governo Meloni, un governo cautamente filo europeo e filo americano, sarà maggiore di quello dei governi che l’hanno preceduto da dieci-quindici anni a questa parte, e che potrà fare da ago della bilancia in vari casi, ma la sua autorevolezza è inficiata dal nostro enorme debito, dall’opposizione interna di Salvini, e dall’astio del centrosinistra che lo accusa di continuo di “fascismo”. E’ probabile che Giorgia Meloni strappi all’Europa un maggiore riconoscimento e una maggiore tutela degli interessi dell’Italia, a patto che disconosca i sovranisti, ma non lo è che possa assumere il posto della Germania e della Francia.
Salvare l’Ue
Tutti ricordiamo il film “Salvate il soldato Ryan” con l’attore Tom Hanks, una drammatica missione affidata a un pattuglia nella Seconda guerra mondiale. Forse il paragone è assurdo, ma oggi si tratta effettivamente di salvare l’Ue. E affinché l’Italia riesca a dare il suo contributo occorre che al suo interno la lotta politica diventi più civile. Giorgia Meloni può essere ambigua, stare a destra in politica interna e stare al centro in politica estera. Ma risse vergognose come quella a Montecitorio quando in Puglia si svolgeva il G7, e polemiche false e stupide sulla Puglia mafiosa fanno il male dell’Italia, non soltanto ne ledono la immagine, ne rendono anche velenoso il clima. Giorgia Meloni e Elly Schlein hanno saputo congratularsi a vicenda per i loro successi elettorali, richiamino ora assieme a Conte le loro “sturmtruppen” all’osservanza del rispetto e del buonsenso, e quando e dove possibile alla convergenza.
Il silenzio sui giovani
Un tema cruciale, su cui alle elezioni europee politici e media hanno tenuto un silenzio assordante, è quello dei giovani. Le dimostrazioni a favore dei palestinesi, e purtroppo di Hamas, nella Guerra di Gaza avevano dato l’impressione che la gioventù europea si stesse orientando a sinistra. Il voto in Francia e in Germania ha dimostrato il contrario. Potrebbe essere accaduto anche in Italia, sebbene il cantautore Ultimo abbia proclamato di non conoscere “giovani che vadano in Chiesa o vadano a votare”, una dichiarazione sconsolante. Che la rabbia giovanile contro la politica cresca è ormai chiaro a tutti, la ha avvertita anche Conte, che ne è diventato il bersaglio non appena ha proposto che il Movimento Cinque Stelle permetta tre, non solo più due mandati ai suoi parlamentari. Ma nella nostra campagna elettorale pochi leaders hanno affrontato i problemi delle ultime generazioni, da cui dipende il destino dell’Italia.
La fuga all’estero
Per la prima volta, alle Europee ha votato meno di metà degli italiani, e tra gli astensionisti ci sono stati molti giovani, specialmente quelli sotto i 25 anni. E’ nel loro interesse e in quello della nostra Nazione che si avvicinino alla politica. L’Italia perde il suo capitale umano più prezioso a causa della fuga dei cervelli, il trasferimento negli altri Paesi dell’Ue, e talvolta al di là dei mari, dei ragazzi più brillanti in cerca di un lavoro gratificante e ben pagato. L’Italia potrebbe porvi parzialmente rimedio con progetti a loro favore e con investimenti mirati dei milioni che riceve da Bruxelles e che talora restano utilizzati. Ma sinora ciò non è stato fatto o è stato fatto male. L’Europa è così diventata una sorta di rete di sicurezza per le ultime generazioni di tutte le nazionalità che ne fanno parte. I giovani che si misurano in essa diventano quasi tutti europeisti. Senza l’Ue, molti di essi non avrebbero un futuro.
Al lavoro per un’Europa migliore
Nei sondaggi europei, tra i Paesi fondatori della Comunità europea il più scettico nei confronti di Bruxelles è il nostro. Discutere di dove va o dovrebbe andare l’Europa risulta se non inutile per lo meno noioso, discutere dell’America, del Medio Oriente, della Russia e della Cina no. Eppure c’è una differenza sostanziale: che noi possiamo incidere sul percorso dell’Ue, non su quello delle superpotenze. Il voto dell’inizio del mese ci ha dato una lezione. Non scordiamola e mettiamoci al lavoro per un’Europa migliore.
Ennio Caretto