L’arrivo del 2024, un anno che tutti speriamo risani le ferite subite da parte dell’umanità nel terribile 2023 appena conclusosi, mi ha indotto a rivisitare gli eventi di mezzo secolo fa, quelli del 1973 e del 1974, e mi ha fatto riscontrare inquietanti analogie tra le situazioni di allora e quelle di adesso. Cosa ancora più triste, mi ha confermato che abbiamo dimenticato le lezioni ricevute in quel turbolento periodo, in Italia chiamato il periodo della strategia della tensione e degli anni di piombo, un periodo in cui il resto del mondo venne dilaniato da guerre e colpi di stato sanguinosi, proprio come oggi. Il detto che la storia insegna è indubbiamente vero, ma purtroppo la memoria della politica è corta. Con le guerre di Gaza e dell’Ucraina e con il terrorismo islamico, noi stiamo affrontando quasi gli stessi problemi di mezzo secolo fa, e stiamo commettendo quasi gli stessi errori. La politica, che nelle democrazie dipende da noi cittadini, se li deve ricordare ed evitarli, affinché il 2024 segni l’inizio di un periodo diverso, di tolleranza e di giustizia in quante più Nazioni possibili.
La fragile pace in Vietnam
Rivisitiamo insieme il 1973 nel resto del mondo. Esso incomincia nel migliore dei modi. A gennaio, gli Stati Uniti e il Vietnam firmano un trattato di pace che frutterà il Premio Nobel al principe della diplomazia americana Henry Kissinger, e l’Inghilterra, l’Irlanda e la Danimarca entrano nel Mercato Comune, che si trasforma nell’Unione Europea, portandone i membri da sei a nove. La guerra fredda tra gli Usa e l’Urss divampa da vent’anni, ma da Washington il presidente Richard Nixon, coadiuvato da Kissinger, promuove di sorpresa la distensione con la Cina e con la Russia visitando Pechino per lo storico incontro con Mao Tze Tung e ricevendo il leader sovietico Leonid Breznev in California, allontanando così il fantasma di un conflitto atomico. L’unico motivo di tensione per gli Stati Uniti e l’Europa sono i crescenti contrasti tra gli israeliani e i palestinesi, che hanno l’appoggio dell’Egitto e della Siria. C’è anche una rivoluzionaria novità nel campo delle comunicazioni: ad aprile entra in funzione il primo telefono cellulare, che cambierà la società, con un anticipo di undici anni sul personal computer.
Autunno di paura
Malauguratamente, l’autunno trasforma il 1973 in un anno di paura. A settembre in Cile il generale Augusto Pinochet compie un golpe che costa la vita al presidente comunista Salvador Allende e instaura una crudele dittatura con l’assenso, se non con la complicità, degli Usa che vogliono fermare il castrismo in Sud America. E a ottobre l’Egitto e la Siria attaccano insieme Israele per restituire ai palestinesi i territori loro sottratti nel 1967. E’ la guerra dello Yom Kippur, il giorno ebraico della penitenza, il più sacro dell’anno, in cui la premier israeliana Golda Meir si dimostra una “dama di ferro”, usando la forza a un punto tale da alienarsi l’intero Medio Oriente. Fortunatamente la guerra è breve perché l’Egitto e la Siria non riescono a raggiungere il loro obbiettivo, ma ha una disastrosa conseguenza economica: gli Usa hanno appoggiato Israele e per rappresaglia molti Paesi arabi impongono un embargo petrolifero. L’Occidente ha riserve di petrolio, ma la benzina scarseggia, nelle case manca il riscaldamento, molti prodotti rincarano. In Italia a Capodanno i locali chiudono e non si circola in strada.
Il ruolo di Rabin in Israele
Il mondo si augura che il 1974 sia un anno più fortunato, e in parte lo è. Golda Meir, a esempio, è costretta a ritirarsi e a lasciare il governo a un uomo di pace, l’ex generale Yitzhak Rabin, che negli Anni Novanta concluderà gli accordi di Oslo con i palestinesi, poi non rispettati, e li pagherà con la vita (verrà assassinato da un sionista di destra, non da un terrorista islamico). A mio modesto parere sarebbe una fortuna se Israele si ricordasse le lezioni della storia e facesse lo stesso con l’attuale premier israeliano Benjamin Netanyahu, la cui strategia minaccia di trasformare la Guerra di Gaza in una guerra regionale: Israele ha bisogno di un nuovo Rabin, come la Palestina ha bisogno di un leader a lui equivalente. Altri eventi rasserenano il mondo nel 1974, dalla rivoluzione dei garofani in Portogallo, che pone fine a una dittatura semisecolare, alla caduta dell’imperatore Hailè Selassiè in Etiopia, e dalla rivolta contro la giunta militare in Grecia all’elezione in Argentina di un presidente donna, Evita Peron. Ma l’Europa è turbata dall’invasione turca di Cipro, e l’Africa dalla guerra civile in Angola.
Il terrorismo in Italia
E l’Italia nel 1973? l’Italia, già scossa dal terrorismo interno, di estrema destra e di estrema sinistra, e dalle schegge impazzite dei servizi segreti, risente dolorosamente della Guerra dello Yom Kippur e dell’embargo petrolifero. Il 17 dicembre 1973, all’aeroporto di Roma Fiumicino un gruppo di terroristi palestinesi compie una strage che nel 2023 sarà a malapena ricordata, uccidendo 30 persone e prendendo 14 ostaggi a titolo di vendetta dei caduti nel conflitto con Israele. E poco manca che l’embargo petrolifero, che si ripeterà nel 1978, l’anno infausto dell’assassinio di Aldo Moro, la metta economicamente in ginocchio e chiuda il miracolo economico iniziato nei primi Anni Sessanta. E’ un periodo di corruzione e scandali, di costi e sacrifici traumatici per la gente e dovrebbe insegnare alla politica come prevenire altre crisi del genere. Invece per mezzo secolo in Italia la politica ignorerà la lezione. Le crisi energetiche si sono rinnovate e la nostra dipendenza da Paesi come la Russia prima, l’Algeria, e la Francia con le sue centrali atomiche, è aumentata anziché diminuita.
Aria di “compromesso storico”
Per ragioni di lavoro, io trascorsi il 1973 in America e il 1974 in Italia, che avevo lasciato alcuni anni prima. Al mio rimpatrio, trovai una nazione più spaccata in due di quanto temessi, fascisti e comunisti, a malapena tenuta assieme dalla Democrazia cristiana. Stragi come quelle di piazza della Loggia a Brescia a maggio e del treno Italicus presso Bologna ad agosto, di matrice fascista, si mescolavano agli assassinii delle Brigate Rosse, che si autodefinivano “Combattenti comunisti”. Tentativi di golpe, di cui tre resi più tardi pubblici, venivano pianificati velleitariamente da militari e da civili. Non era certo un anno migliore del 1973, sebbene Renato Curcio, il padre fondatore delle Br, fosse stato catturato (evase dal carcere di Casale nel 1975). Ma paradossalmente i seguaci di Moro e quelli del leader comunista Enrico Berlinguer discutevano del “compromesso storico”, cioè di una convivenza pacifica se non una collaborazione tra Dc e Pci. Un modello che i partiti di oggi, radicalizzati e afflitti da personalismi, da Fratelli d’Italia alla Lega e dal Partito democratico ai Cinque Stelle, dovrebbero seguire.
Il caso Watergate e la sconfitta in Vietnam
Rivisitando il 1973 e il 1974 mi sono reso conto che furono uno dei periodi più difficili sia della storia degli Stati Uniti sia della storia dell’Italia dello scorso secolo. Nel 1974 a Washington, il presidente Nixon, incriminato dal Congresso (il Parlamento) di spionaggio sul partito avverso, il Partito democratico, dovette dimettersi e lasciare la Casa Bianca al suo vice Gerald Ford, un episodio noto come lo scandalo del Watergate, un Palazzo sul fiume Potomac. Al tempo stesso in Vietnam ricominciò la guerra, in cui la Cina e la Russia minacciarono di intervenire, e l’anno dopo gli Usa si ritirarono sconfitti. Ricordo gli ultimi due mesi a Saigon, marzo e aprile del 1975, e l’ordine degli americani a noi giornalisti italiani, tra cui Oriana Fallaci, di lasciare il Paese su un apposito apparecchio dell’Air France non appena la loro radio avesse trasmesso la canzone “Buon Natale” e “Temperatura 104 gradi Faherenheit in aumento”. La secca disfatta in Vietnam, la prima della loro storia, e la crisi costituzionale fiaccarono gli Usa, i reduci furono malamente accolti in patria e Ford perse le elezioni del 1976.
La ripresa dell’America
Eppure l’America si riprese a poco a poco. Sotto il presidente democratico Jimmy Carter venne umiliata dall’Iran, i cui Ayatollah trasformarono l’ambasciata Usa a Teheran in una prigione dalla quale i diplomatici americani uscirono solo dopo 444 giorni, all’insediamento del repubblicano Ronald Reagan alla Casa Bianca. Ma negli Anni Ottanta l’America tornò a essere la Superpotenza numero uno al mondo. Reagan e Bush padre, il suo successore, uomini che avevano combattuto nella Seconda guerra mondiale, Reagan in Inghilterra Bush padre nel Pacifico, e avevano alle spalle un ventennio di politica, non commisero errori madornali. Avevano imparato le lezioni della storia e restituirono all’America l’orgoglio e la fiducia perduti, rilanciando l’economia, riarmandola, e mettendo in difficoltà l’Urss. Da allora, la Superpotenza ha sempre guardato avanti e mai indietro, proiettandosi nel futuro e non indugiando nel passato. Per questo ritengo che questo secolo sarà ancora un secolo americano come il secolo XX, e non un secolo cinese come vorrebbe Pechino o un secolo russo come vorrebbe il Cremlino.
Usa e Italia a confronto
A mio parere la principale differenza tra l’America e l’Italia è proprio questa. La politica e la cultura statunitensi sono improntate all’ottimismo, basta guardarne le tecnologie, la finanza, i media e il tenore di vita per averne la conferma. Per citare solo due casi, da importatrice l’America è gradualmente diventata esportatrice di petrolio, e ha preso subito posizione a favore dell’Ucraina dopo l’attacco della Russia e di Israele dopo l’attacco di Hamas. Il nostro percorso dagli Anni Settanta in poi è invece stato l’opposto. Sempre per limitarci a due casi, noi cediamo troppo facilmente le nostre industrie a potenze straniere, e comunque viviamo peggio di prima (dal 1990 gli stipendi e i salari italiani sono aumentati dell’1 per cento in termini reali contro il 32 per cento della media europea). Inoltre ci dividiamo sia su ucraini e russi sia su israeliani e palestinesi. E’ perciò facile sentirci in declino e recriminare su piaghe nazionali come la corruzione e la mafia, o sulla mancanza di programmazione e di manutenzione. Eppure siamo più che il “Bel paese”, siamo il Paese che in due millenni ha più dato all’Occidente.
Il popolo più creativo della terra
In America mi sono sentito spesso dire che non sfruttiamo le nostre capacità. In un’intervista, un insigne economista kennediano, John Kenneth Galbraith, mi disse un giorno che siamo il popolo più creativo della Terra ma anche uno dei meno disciplinati, e ci paragonò a “una nave sempre in un mare in tempesta, ma inaffondabile”. “E’ nelle emergenze che vi distinguete”, sostenne. Forse aveva ragione, l’Occidente a esempio ci applaudì quando allo scoppio del Covid cantammo dai balconi, ma poi uscimmo un poco di strada. Morale: adesso che siamo di nuovo in uno stato di emergenza, ricordiamoci delle lezioni della storia.
Ennio Caretto