Da vent’anni ogni 10 febbraio si celebra, purtroppo tra polemiche, il Giorno del ricordo delle stragi delle foibe nella Venezia Giulia, che fecero da quattromila a cinquemila vittime tra gli italiani, e dell’esodo degli italiani stessi, oltre trecentomila persone, dall’Istria, dalla Croazia e dalla Dalmazia tra il 1943 e il 1947, durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale. Fino al 2004, questi crimini contro l’umanità, commessi dai partigiani comunisti del Maresciallo Tito, detti titini, anche in altre aeree della ex Jugoslavia e anche contro sloveni, croati, montenegrini ecc., furono ignorati, sminuiti o negati in Italia dalla maggioranza del Partito comunista e da vari storici e mezzi d’informazione. Ci volle una decisione (tardiva) del nostro governo e del nostro Parlamento affinché la tragedia delle foibe, profonde cavità dove le vittime furono gettate, molte ancora in vita, dopo feroci torture, non venisse dimenticata e la memoria di quegli sventurati venisse onorata. Sebbene ancora oggi insigni personalità e media restino riduzionisti o negazionisti al riguardo, come purtroppo capita anche per l’immane tragedia della Shoah, “l’orrore delle foibe colpisce le coscienze”, come ha commentato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Pulizia etnica e politica
E’ indubbio che le stragi delle foibe furono una operazione di “pulizia etnica” a danno degli italiani, in parte per rappresaglia contro i crimini e le deportazioni commessi in precedenza dai fascisti. Ma furono una operazione anche di “pulizia politica”, a danno di quanti non erano comunisti o non abbastanza antifascisti, o erano membri sgraditi del Pc di Tito. Se non uccisi, vennero imprigionati e torturati civili innocenti, compresi donne e bambini, di qualsiasi nazionalità fossero, che non dimostrassero totale adesione al comunismo. Non mancarono vendette personali o regolamenti di conti atavici, e le atrocità continuarono per almeno due anni dopo l’armistizio. E’ vero che i titini combatterono una guerra di liberazione dal fascismo e dal nazismo, ma l’obbiettivo occulto di Tito e del suo alleato, il dittatore sovietico Stalin, era di conquistare e comunistizzare oltre alla Jugoslavia altresì Trieste e parte del Veneto, una importante zona industriale. A vergogna dell’Italia, i profughi dall’Istria, dalla Croazia e dalla Dalmazia, che rifiutarono di sottomettersi, furono osteggiati come “fascisti” quando cercarono rifugio in patria anziché all’estero.
Il superamento dell’odio
E’ occorso oltre mezzo secolo perché gli odi etnici e politici scatenati dalla Prima e dalla Seconda guerra mondiale su quelle frontiere incominciassero a spegnersi, anche se non completamente. Oggi, i rapporti tra l’Italia, la Slovenia e la Croazia sono buoni, e nel Giorno del ricordo i rispettivi governi e parlamenti commemorano talora insieme i loro caduti. Alla ricerca delle responsabilità e delle colpe delle stragi delle foibe è subentrata la ricerca del perdono e della tolleranza, anche se i figli e i nipoti delle vittime non dimenticano. Nei Balcani, un territorio in perenne conflitto, basti pensare alla Serbia e al Kosovo, l’Italia, la Slovenia e la Croazia sono adesso di buon esempio. Parte del merito è della Unione Europea che spinge gli Stati membri a collaborare tra di loro, parte è dei leader politici che promuovono la democrazia come baluardo contro le dittature. Ma in Italia, ripeto, le polemiche sulle foibe si riaccendono periodicamente. Per le sinistre, rievocarle è un tentativo di riabilitare il fascismo, per le destre sminuirle è un tentativo di riabilitare il comunismo. Di certo c’è chi volutamente fa di esse una questione di partito e ideologia. Ma le foibe sono una realtà storica su cui non si può equivocare.
Documenti desecretati
Come corrispondente de il “Corriere della Sera” da Washington, attorno al 2004 passai in rassegna una grande quantità di documenti americani appena desecretati sulle foibe e sul quinquennio del 1943-1947, e constatai che su di esse era subito scesa una cortina di silenzio. Una cortina di silenzio simile alla cortina di ferro che Stalin aveva calato sull’Europa dell’Est, ma diversamente da essa frutto non solo di un disegno comunista ma anche di un senso di colpa degli alleati inglesi, americani, canadesi, neozelandesi e sudafricani e persino del nostro governo per non avere difeso a sufficienza gli italiani in quella tragedia. Le stragi delle foibe, occultate dai titini, vennero giudicate una questione secondaria rispetto all’andamento della guerra in Jugoslavia, soprattutto dopo che nel settembre del 1943 le nostre truppe si schierarono contro quelle tedesche. I comandi inglesi in particolare, che avevano puntato tutto su Tito, anche perché infiltrati e condizionati da spie e agenti sovietici, tennero a volte atteggiamenti anti-italiani, come dimostrato dai 40 giorni del giugno 1945 in cui i titini terrorizzarono Trieste.
Lager, foibe e “fake news”
Una delle “fake news” o false informazioni sulle disumane vicende della Shoah è che gli alleati non ne seppero niente fino al 1943, e che i campi di concentramento nazisti non furono bombardati per risparmiare le vite dei detenuti. La verità è un’altra. Dai documenti americani poi desecretati risulta infatti che essa fu denunciata nell’autunno del 1941 da un diplomatico cileno in Europa Orientale, ma che la denuncia venne ignorata. E risulta che gli alleati ritennero più importante colpire gli impianti bellici e industriali tedeschi che non i campi di concentramento e le ferrovie che portavano a essi. Analogamente, è falso che gli orrori delle foibe rimasero nascosti o che furono sottovalutati fino al giugno 1945. All’inizio del 1944, un messaggio dell’agente americano Vincent Scamporino a Earl Brennan, il capo della Special Intelligence, lo spionaggio statunitense in Italia, avvertì che “i comunisti hanno massacrato centinaia di persone nelle foibe del Carso solo perché italiani”, che “a Trieste hanno compilato liste di proscrizione con migliaia di nomi” e che “Tito ha ordinato di eliminare chi era militare sotto il fascismo”.
Rapporto circostanziato
Un successivo rapporto della Special intelligence è più circostanziato. “A Pisino” dice “centinaia di italiani furono picchiati, imprigionati in celle sovraffollate con scarso cibo e molta sporcizia. Ogni notte, alcuni di loro furono portati via. Di recente, nelle foibe fu scoperto un mucchio di cadaveri nudi legati l’uno all’altro. Ci viene riferito che i partigiani jugoslavi vi hanno gettato dentro centinaia di persone”. Il rapporto descrive anche il dramma dei soldati italiani in Jugoslavia: “Su circa 40 mila, adesso 8 mila combattono con i partigiani jugoslavi, mentre il resto è ai lavori forzati. In media scompaiono due di loro al giorno, mandati a morte certa. Le forze di Tito ci impediscono di interferire perché si coordinano solo con i sovietici”. Il rapporto non accenna a Pola, ma termina con un riferimento alla Dalmazia dove i titini “hanno commesso molti abusi contro gli italiani, a Spalato ne hanno uccisi trecento, devastando le loro case e i negozi”. E’ impossibile che il Governo Bonomi a Roma sia all’oscuro di questi crimini di guerra ma è impotente, si limita a chiedere agli Alleati “assistenza ai soldati italiani che in Jugoslavia hanno ricevuto gli elogi dei vostri comandi per il coraggio da essi dimostrato contro i nazisti”.
Occasione perduta
Poco noto è che gli alleati avrebbero posto fine alle stragi delle foibe nell’autunno del 1944 se avessero approvato la proposta inglese di uno sbarco in Dalmazia, sul modello del “D day”, lo sbarco in Normandia del 4 giugno precedente. Foster Dulles, il capo dei Servizi in Europa e futuro segretario di Stato, li aveva ammoniti che “le bande di Tito potrebbero raggiungere la valle del Po e imporre il comunismo nel Nord Est dell’Italia”. Lo sbarco appoggiato dall’aeronautica lo avrebbe impedito, perché con sei divisioni gli alleati avrebbero assunto il controllo della costa adriatica da Zara a Trieste, e l’avrebbero amministrata fino alla convocazione di libere elezioni in Istria e in Dalmazia. La proposta fu però bocciata dal generale inglese Henry Wilson, il comandante delle operazioni in Italia, a cui premeva di più liberare dai tedeschi dopo Bologna anche Milano. Mark Clark, il generale americano che prese il suo posto, ne deprecò la decisione: “Lo sbarco si doveva fare, se lo avessimo fatto avremmo raggiunto Vienna e Budapest prima dei sovietici e cambiato le sorti di una parte dell’Europa”.
Rievocazione istruttiva
Rievocare eventi come questi non significa strumentalizzarli. Se il motivo non è pretestuoso né propagandistico, se si tratta di un invito ad analizare i fatti, la rievocazione è anzi utile e istruttiva, e il Giorno del ricordo lo sta dimostrando. In qualsiasi guerra, e la Seconda guerra mondiale, iniziata nel settembre del 1939, fu tra le più lunghe e spietate, i combattenti di entrambe le parti possono commettere quelli che dopo la pace verranno condannati come crimini. Ma nel caso della Shoah, il nazismo si macchiò non di crimini di guerra bensì del più orrendo crimine contro l’umanità, il genocidio, l’eliminazione sistematica di una razza e di un popolo disarmati e indifesi, che con la guerra non avrebbero avuto alcunché a che vedere non fosse stato per l’odio e la crudeltà di Hitler. Mentre non è possibile paragonare le stragi delle foibe all’Olocausto degli ebrei, farle passare per crimini di guerra è un falso ideologico. E giustificarle o “capirle” in quanto reazione a sofferenze patite è immorale. Fare giustizia comporta non violare i diritti umani. Gli alleati non trattarono così i gerarchi di Hitler né i carnefici dei campi di concentramento. Li arrestarono, processarono e condannarono al carcere o alla morte.
Il parallelo con Gaza
Quanto successe a Gaza il 7 ottobre e quanto succede ancora adesso è un orrore che colpisce le coscienze, come direbbe Mattarella. Il 7 ottobre Hamas non fece un’azione militare, fece una operazione di pulizia etnica analoga a quella delle foibe, o peggio ancora alle operazioni naziste di sterminio degli ebrei, e chi lo nega o non lo vuole intendere ne è intellettualmente complice. Ma la rappresaglia di Israele è stata sproporzionata e non è giustificabile. I terribili eventi dei Balcani nella Seconda guerra mondiale, eventi che si ripeterono all’inizio degli Anni novanta in Bosnia Herzegovina e nel Kosovo, dovrebbero essere di lezione ai palestinesi e agli israeliani. Né gli uni né gli altri devono essere ridotti a senzapatria o a malaccetti profughi, lo Stato di Israele può e deve coesistere con uno Stato della Palestina. Ma a questo scopo occorre che Hamas venga sciolto, che il governo israeliano cambi e che le due parti negozino senza pregiudizi fideistici o ideologici. Ci vorranno tempo, tolleranza e perdono ma alla fine sarà pace, come tra l’Italia, la Slovenia e la Croazia, nel reciproco rispetto del Giorno del ricordo.
Ennio Caretto