E’ il 22 febbraio del 1980 e a Lake Placid, nello Stato di New York, si disputa la semifinale di hockey su ghiaccio delle Olimpiadi invernali tra gli Usa, una squadra di dilettanti, e l’Urss, una squadra di grandi professionisti. L’Urss, pluricampione olimpionica e del mondo, è favoritissima, ma gli Usa guidati dall’italo americano Mike Eruzione, proclamato all’istante eroe nazionale, la sconfiggono 4 a 3 e in finale conquistano l’oro contro la Finlandia. A Leningrado, oggi San Pietroburgo, il supertifoso Vladimir Putin, un giovane tenente del Kgb, l’odiata polizia politica sovietica, si dispera. Un giorno, dirà agli amici, ci vendicheremo. E il giorno sta per arrivare: il Presidente americano Donald Trump ha infatti accettato la sua proposta di un torneo di hockey su ghiaccio tra America e Russia. Ma non si tratta soltanto di una rivincita sportiva, anzi si tratta soprattutto di una rivincita politica. Come molti media hanno evidenziato, lo zar gioca la stessa partita che Henry Kissinger, il principe della diplomazia americana, giocò con il Presidente cinese Mao Tse-Tung il 21 febbraio del 1972, otto anni prima ma lo stesso mese e quasi lo stesso giorno, con un torneo di ping pong: la partita della riapertura del dialogo tra le due superpotenze dopo una Guerra fredda, una partita a cui l’Ucraina e l’Unione Europea sono solo spettatori, ma non seduti in tribuna bensì sul ghiaccio medesimo.
Il prezzo della pace
“Miracolo sul ghiaccio” fu il titolo delle cronache del match del 1980. E speriamo che alla fine lo sia anche delle cronache della Guerra ucraina. Ma sarà difficile perché Putin mira a un’Ucraina asservita e dimezzata e a Trump, che comunque ne sfrutterà le terre rare, ciò importa poco o nulla. La minitregua di un mese concordata tra di loro dopo una telefonata di due ore, senza consultare Kiev né Bruxelles, è un passo avanti, e oltre che le infrastrutture energetiche dei due Paesi potrebbe concernere anche il Mar Nero. Ma non è un armistizio, e infatti il conflitto infuria, è un palliativo con scambi di prigionieri, con l’intesa di avviare un negoziato. Sì, Trump ha respinto la richiesta di Putin di un’immediata cessazione delle intelligence e degli aiuti militari stranieri all’Ucraina e ha approvato il riarmo dell’Unione europea a scopi difensivi, ma Putin sta alzando i bombardamenti e minacciando di colpire anche Odessa. E’ ormai palese che più protrae il conflitto e più conquista territori e più assume posizioni di forza per future trattative. Il Presidente ucraino Zelensky afferma che la pace è possibile entro fine anno, ma a che prezzo? Che garanzie avrebbe l’eventuale indipendenza e neutralità dell’Ucraina, dato che verrebbe esclusa dalla Nato e che Putin non accetterebbe forze di controllo di alcun genere al suo interno?
Sulla testa dell’Ucraina
Indubbiamente, la distensione trumpiana tra l’America e la Russia è nell’interesse di noi europei ancor più di quanto lo fu la distensione kissingeriana tra l’America e la Cina, ma non scordiamoci che come la diplomazia del ping pong portò alla scomparsa del Sud Vietnam e alla sua inclusione nel Nord Vietnam nel giro di tre anni così la diplomazia dell’hockey su ghiaccio potrebbe portare alla scomparsa dell’Ucraina e alla sua inclusione nella Russia sia pure in un periodo più lungo. Ciò che importava a Kissinger e al suo mandante, il Presidente Nixon, non era tanto di salvare Saigon quanto di impedire la formazione di un asse Mosca–Pechino negoziando con loro separatamente, la cosiddetta strategia della triangolazione, per stabilire un equilibrio mondiale duraturo. Allo stesso modo, ciò che importa a Trump non è tanto di salvare Kiev quanto di stabilire una collaborazione economica e finanziaria molto stretta con Mosca. A questo scopo, Trump ha già fatto alcuni favori a Putin, dalla chiusura di Radio Liberty, la voce del sostegno occidentale all’opposizione interna in Russia, al rifiuto di accettare la sua incriminazione alla Corte dell’Aia. Non ha torto chi lamenta che Trump stia riabilitando la Russia, uno stato canaglia per Joe Biden, il suo predecessore, e che stia ricompensando Putin per l’invasione dell’Ucraina anziché penalizzarlo.
Negli Usa segnali da Parlamento ed elettorato
Per realizzare un “miracolo sul ghiaccio” ed evitare che l’Ucraina e l’Europa cadano in acque gelide e profonde occorre che Trump sia più risoluto nei confronti di Putin e che Bruxelles adotti al più presto una credibile politica di difesa. Entrambi questi cambiamenti sono possibili. In America, è tradizione che i primi cento giorni di ogni nuovo Presidente costituiscano una sorta di luna di miele con il Congresso e con l’elettorato. Ma non è così per Trump. Al Parlamento a Washington, non tutti i repubblicani, sebbene il Partito sia in prevalenza trumpista, gioiscono del “Donald and Vladimir show” come i democratici hanno battezzato il dialogo tra i due Presidenti. Non solo. Nei sondaggi la popolarità di Trump è in declino soprattutto per la guerra dei dazi da lui sferrata agli alleati e per il conseguente aumento dell’inflazione che sta causando novità paradossali come il contrabbando di uova dal Messico (le uova mancano, e un uovo costa ben più di un dollaro). E le sue violazioni dei diritti civili oltre alle intrusioni nella vita quotidiana del genio miliardario Elon Musk, le cui Tesla vengono ora vandalizzate nelle piazze e nelle strade, hanno suscitato la protesta di vari membri del governo e magistrati. E’ probabile che Trump ricorra a epurazioni come fece nel primo mandato, ma prima o poi dovrà tenere conto del nascosto disagio dei repubblicani moderati e dell’incipiente scontento popolare, nonché delle crescenti pressioni degli alleati.
Non si può restare inerti
Alle trattative russo americane in corso da lunedì a Riad, in Arabia Saudita, la delegazione di Trump dovrebbe scoprire le carte del Presidente. Nella sua telefonata a Zelensky, a cui ricordò brutalmente che di carte Kiev non ne ha nessuna, Trump ha promesso di adoprarsi per la sicurezza dell’Ucraina con una costante anche se bizzarra presenza, per esempio come gestore delle sue centrali nucleari e infrastrutture energetiche oltre che delle sue terre rare. Ma al massimo ciò impedirebbe alla Russia di annettersi l’Ucraina subito, non di governarla nascostamente o di trattarla come suddita. Le carte vincenti non sono nelle mani di Trump, sono in quelle di Putin, un ex giocatore di hockey capace di colpi a sorpresa sul ghiaccio più scivoloso. Per questo l’Unione Europea non può restare inerte ad aspettare che cosa decideranno Mosca e Washington. Se Bruxelles incominciasse ad adottare misure concrete per la propria difesa, Trump sarebbe costretto ad ascoltarla almeno in parte per quello che concerne l’Ucraina e a rivedere la propria posizione sulla Nato. E’ nell’interesse dell’America, che dalla Nato ha tratto enormi benefici, dal suo impiego nelle aree più calde del mondo alla vendita di costosi armamenti all’Europa, che il nostro riarmo abbia luogo al suo interno. Non a caso l’America ha sempre boicottato i progetti di una difesa europea separata o peggio indipendente.
Gli obiettivi di Mosca
Quali siano gli obbiettivi di Putin è abbastanza chiaro. Lo zar ha già ottenuto il riconoscimento che desiderava per la Gran madre Russia, quello di una superpotenza eguale all’America e alla Cina, e rivendica il possesso della Crimea e delle cinque province ucraine da lui occupate, che chiama “La Nuova Russia” come Trump chiama “Il Golfo dell’America” il Golfo del Messico. Ma ciò non gli basta, Putin vuole anche recuperare gran parte della sfera d’influenza degli zar e dell’Urss in Europa e circondare la Russia di Stati cuscinetto dai Baltici al Mar Nero, da cui la Nato dovrebbe ritirare le sue truppe e i suoi missili. A suo parere ciò sarebbe compatibile con la permanenza di questi Stati nell’Unione Europea, il mercato più avanzato del mondo, con mezzo miliardo di persone, che gli fa gola e di cui ha bisogno per il rilancio dell’economia russa. A Bruxelles si teme che Putin intenda raggiungere tali obbiettivi con le armi, invadendo i Baltici o la Romania o la Polonia o compiendo golpe al loro interno. E’ significativo che da qualche giorno Mosca identifichi come nemico soltanto “l’Europa collettivo” per il suo sostegno all’Ucraina e non più l’intero “Occidente collettivo” che includeva anche l’America. Se Putin riuscisse a scindere gli Usa dall’Ue, una svolta da lui perseguita da un decennio, ci troveremmo in grossi guai, non possiamo lasciarci cogliere impreparati.
Il ruolo dell’Europa
Può darsi che l’Ucraina non sia il tassello di un mosaico imperiale russo, in cui l’Europa figurerebbe come una provincia o una colonia, tassello che nessun altro Presidente americano consegnerebbe a Putin. Ma Kissinger sospettava che Putin fosse un panslavista, sdegnoso delle altre culture europee, e che sognasse di estendere il panslavismo fino ai Balcani. Inoltre Trump sta sovvertendo l’ordine internazionale sorto dalla Seconda guerra mondiale e non si sa che cosa stia davvero negoziando con lo zar. C’è da augurarsi che non gli conceda mano libera in Europa per avere in cambio mano libera in Medio Oriente e nel Golfo Persico, e potere così fare di Gaza la riviera del Mediterraneo e abbattere gli Ayatollah in Iran come ha annunciato. Ma il modo con cui la dogana americana tratta i visitatori europei e i loro arresti e le loro incarcerazioni immotivati sollevano seri dubbi e fanno paura. L’Unione Europea deve accertarsi che la diplomazia dell’hockey su ghiaccio non sfoci in un ritiro dell’America oltre Atlantico, ma che come la diplomazia del ping pong faciliti i rapporti e le intese tra le superpotenze. Come Benigni ci ha magistralmente rammentato alla Tv, nonostante i nostri contrasti interni e le nostre imperfezioni anche noi siamo una superpotenza e impersoniamo il sogno di tutti i popoli di libertà, di democrazia e di pace.
Ennio Caretto