Anche il popolo russo paga a caro prezzo l’invasione dell’Ucraina. Più la guerra prosegue, più Putin ne riduce i diritti umani e civili. Mentre migliaia di ucraini, bambini e donne inclusi, muoiono sotto i missili e le bombe dello zar, centinaia di russi dissidenti vengono incarcerati, alcuni assassinati, altri fatti sparire. Con Putin in Russia stanno tornando lo stalinismo, la polizia politica, la delazione, il terrore, le purghe dei militari e il gulag, la rete dei campi di concentramento. La “disinformatio” del Cremlino, come a Mosca chiamano la propaganda, dipinge l’invasione dell’Ucraina come una guerra patriottica antinazista e quanti la contestano e invocano la pace come traditori. Al potere da un quarto di secolo, poco meno di quanto vi rimase Stalin, Putin fu inizialmente considerato uno statista, “gli ho letto nel cuore” disse il presidente americano Bush Jr. Ma oggi è una minaccia per la propria nazione, per quelle circostanti e per l’intera Europa. A differenza del primo Putin, che sembrava amico dell’America, è impossibile conoscere le mire del secondo. Ma è un obbligo anche morale contenere il putinismo come lo fu contenere lo stalinismo, visto che tra questa Russia e l’impero sovietico c’è sempre meno differenza.
Una lunga serie di uccisioni
Il recente assassinio in Siberia di Alexei Navalny, il suo avversario politico più forte, e quello in Spagna di Maxim Kuzminov, un militare che si era consegnato agli ucraini, oltre a quello, l’anno scorso, di Evgenij Prigozhin, l’ex capo dei mercenari della Wagner, dovrebbero aprire gli occhi anche ai nostri filoputiniani. E’ dal 2003, quando fu ucciso il leader liberale Sergei Yushenkov, che i nemici di Putin vengono sistematicamente eliminati. Toccò alla giornalista Anna Politovskaya nel 2006, all’ex agente dei servizi segreti Aleksandr Litvinenko rifugiatosi a Londra quello stesso anno, alla fautrice dei diritti umani Natalya Estemirova nel 2009, all’ex vicepremier Boris Nemtsov nel 2015, e ad altri dissidenti meno noti. Qualcuno sopravvisse agli attentati ma finì in carcere come Vladimir Kara – Muzza, che difficilmente durerà i 25 anni di detenzione inflittigli, come il leader marxista Sergei Udaltsov (Putin non distingue tra i partiti), come Ilya Yashin, il fondatore di “Solidarnost” insieme con Nemtsov, come le “Pussy riot”, le irriverenti ragazze divenute troppo popolari con le satire politiche. Soltanto i dissidenti più fortunati sono riusciti a emigrare, quali lo scacchista Garry Kasparov e lo scrittore Boris Akumin.
Più potente che mai
Il Putin due non pare avvertire lo sdegno suscitato dall’uccisione di Alexei non solo nell’Unione Europea, che ha condannato all’unanimità il suo regime, e in America, che ha annunciato nuove sanzioni contro la Russia, ma nel mondo intero. Dà la caccia al fratello di Navalny, Oleg, manda a processo altri dissidenti, intensifica l’offensiva in Ucraina e tenta di dividere l’Occidente in due, i suoi oppositori da una parte i suoi fautori dall’altra. L’Italia, dove questi ultimi non mancano e dove egli dice di “sentirsi a casa” perché “è sempre stata vicina alla Russia”, costituisce il suo bersaglio preferito. Il suo continuo sorriso e la sua assidua presenza in pubblico, dopo due anni di rare e tetre apparizioni, segnalano che le cose vanno come vuole. Dato per malato e quasi per spacciato un anno fa, adesso Putin sembra più potente che mai. Lo animano un senso di rivalsa e di vendetta per quello che ritiene un tradimento subito dalla Nato, come vedremo tra poco, uno spietato esercizio del potere e una feroce volontà di passare alla storia come il padre di una nuova Russia. In un certo senso, oltre che l’erede degli zar, pur non essendo comunista Putin è anche l’erede di Lenin, un altro despota innamorato dell’Italia.
Un “muro” di Stati cuscinetto
Intervenire negli affari interni di un altro Paese non è lecito, ma isolarne il dittatore e fermarne l’espansionismo sì. Se l’America e l’Europa gli permettessero di vincere la Guerra dell’Ucraina, Putin potrebbe scatenarne altre, per occupare a esempio parte dei Baltici se non della Polonia. Uno dei suoi probabili obbiettivi è di erigere un Muro di Berlino tra la Russia e la Nato, ossia una catena di Stati cuscinetto a lui alleati, come oggi lo è la Bielorussia. In questa maniera, Putin garantirebbe la massima sicurezza al proprio regime e la Russia recupererebbe il perduto ruolo di superpotenza. Non a caso, la sua produzione bellica e le sue sfide sono in massiccio aumento, favorite entrambe dalla debolezza dell’Unione Europea e dalle incertezze delle elezioni presidenziali americane del prossimo novembre. Vi è chi teme, anche a causa del conflitto a Gaza, che siamo all’inizio di una Terza guerra mondiale, ma in realtà siamo da tempo in una Seconda guerra fredda, ignorata o mascherata fino all’invasione dell’Ucraina. E come nella prima, sarà la Nato che dovrà gestirla da una posizione di forza, cosa certa se a Washington verrà rieletto presidente Biden, ma incerta se verrà eletto presidente Trump.
Nel nome della religione e del patriottismo
Sarebbe ingenuo pensare che la morte di Navalny e le atrocità russe in Ucraina possano rovesciare Putin entro qualche anno. Per molti motivi, a Mosca sono impossibili tanto un golpe quanto una insurrezione popolare. Putin, un ex colonnello del Kgb, lo spionaggio sovietico, sorveglia e purga i generali, i politici e gli oligarchi che potrebbero insidiarlo, e riscuote pubblici consensi con la sua visione di una Grande Russia, con una sfera d’influenza che si estenda dall’Europa al Medio Oriente e all’Asia, come a dire una versione aggiornata dell’Urss. Sfrutta inoltre a proprio favore la religione e il patriottismo, le due virtù nazionali, e storpia la storia russa ed europea per giustificare il proprio operato. Demonizza l’Occidente, che a suo giudizio domina il mondo per sete di ricchezza e potere, facendone un nemico anche per i giganti emergenti come la Cina e l’India. Lo aiuta la mancanza di una tradizione democratica: salvo che nel primo quindicennio postsovietico, la Russia ha conosciuto solo dittature. Per dialogare e trattare con un simile avversario, che ha creato un sistema pressoché impenetrabile, è necessario che la Nato cresca, e che l’Europea si riarmi. Come l’Urss si dissolse, così il disegno di Putin verrà sventato.
La svolta del 2011
E’ arduo stabilire quando la nuova Guerra fredda sia cominciata. In genere la si data al 2011, quando Russia Unita, il partito di Putin, vinse elezioni “truccate”, come denuncio’ l’allora Segretario diStato americano Hillary Clinton. In piazza Bolotnaya a Mosca i russi inscenarono dimostrazioni di protesta al significativo grido di “No al 1937”, l’anno delle sanguinarie purghe staliniane, ma gli organizzatori vennero arrestati, e la repressione si accentuò. La passività dell’Europa e degli Stati Uniti, ansiosi di risanare i rapporti con il Cremlino, consentì a Putin di disfarsi dell’opposizione interna e di preparare per il 2014 due invasioni propedutiche a quella dell’Ucraina: l’invasione della Crimea, che in un referendum con una maggioranza staliniana, il 95 per cento, decise di fare parte della Russia, e l’invasione del Donbas, in territorio ucraino, per rappresaglia della rivolta di piazza Maidan a Kiev contro il presidente fantoccio Viktor Yanukovich, un suo alleato. Se alle elezioni del 2016 in America fosse stata eletta presidente, Hillary Clinton avrebbe rafforzato la Nato e messo Putin sulla difensiva, ma fu eletto Trump che criticò l’Alleanza Atlantica e si professò ammiratore del Presidente russo.
Il 2007 anno cruciale
Noi europei e americani avremmo dovuto capire fin dal 2007 che con il passare del tempo Putin ci sarebbe stato ostile. Nei primi anni della Presidenza, dal 2000 al 2003, il Putin uno aveva lavorato con noi al punto da proporre che la Russia si associasse alla Nato. Ma di fatto se ne era dissociato nel 2004-2005, dopo l’invasione americana dell’Iraq, dove aveva interessi militari ed economici come in Siria, e dopo l’elezione a Presidente dell’Ucraina di Viktor Yushchenko, che aveva chiesto l’ingresso del proprio Paese nell’Alleanza Atlantica. Nel 2007, alla Conferenza sulla sicurezza a Monaco, Putin era uscito allo scoperto accusando la Nato di essersi estesa all’Est europeo sebbene al crollo dell’Urss si fosse impegnata a non farlo, e accusando l’America di “ricorrere alla forza nei rapporti internazionali” per imporsi a tutti. “Dove sono le garanzie che ci avete dato – tuonò Putin -? Contro chi è destinata questa espansione della Nato?”. E aggiunse che l’unilateralismo americano lo avrebbe costretto a prendere contromisure. Era chiaro che Putin non voleva essere estromesso dal Medio Oriente, che intendeva mantenere l’Ucraina nella sua sfera d’influenza e si sentiva insultato e minacciato dalla Nato.
Risentimento crescente
Può essere comprensibile che nel corso di quasi due decenni il risentimento di Putin sia ingigantito. La Guerra fredda era terminata perché l’Urss era implosa, non perché l’America l’aveva sconfitta. L’esperimento democratico di Eltsin, il suo predecessore e mentore, era fallito perché Washington aveva spinto Mosca a passare di colpo dallo statalismo al capitalismo. E malgrado il suo enorme arsenale atomico, la Russia, temuta come superpotenza, veniva trattata da potenza secondaria. Ma la reazione di Putin a tutto ciò è stata ed è incomprensibile. Non era necessario che per fare valere le proprie ragioni si appropriasse della Crimea e del Donbas, invadesse l’Ucraina, creasse focolai di crisi in altri continenti e soffocasse la libertà e la giustizia in Russia sacrificando un tragico numero di vite umane. Putin avrebbe dovuto e potuto negoziare un nuovo ordine con l’America e l’Europa e avviare daccapo verso la democrazia la propria Nazione che insieme con gli alleati aveva sconfitto il nazismo e il fascismo. Da Kruscev a Breznev a Gorbaciov, e parliamo di un periodo di quaranta anni in cui si sfiorò anche una guerra nucleare, i successori di Stalin furono più cauti, equilibrati e prevedibili di lui.
Il Putin due ama definirsi un cultore della Storia. Se lo fosse davvero, saprebbe che dall’inizio dell’età moderna le dittature, e i dittatori innanzitutto, durano meno delle democrazie e dei loro leader. Democrazia è forza perché è partecipazione e consenso, dittatura è debolezza perché é sopruso e isolamento. Ma il giorno che se ne renderà conto sarà troppo tardi, non potrà tornare indietro al Putin uno.
Ennio Caretto