Dopo l’America, la Cina e la Russia c’è una quarta potenza oggi al mondo, la più sottovalutata ma la più aggressiva e pericolosa, e non è l’India, il nuovo colosso emergente, bensì l’Iran. L’Iran che soprattutto in Medio Oriente e nel Golfo Persico, ma anche in Asia e in Africa dall’Indonesia alla Nigeria, arma e gestisce formazioni terroristiche islamiche di cui noi conosciamo bene soltanto quelle che operano dal Mediterraneo al Mar Rosso e all’Oceano Indiano, come Hamas, Hezbollah, Houthi. Una teocrazia, o dittatura religiosa, con ambizioni nucleari, votata alla eliminazione dello Stato di Israele, che sogna di creare un impero sciita e quindi antisunnita e antioccidentale che si estenda sino ai confini dell’Europa, vale dire su una buona parte di due continenti. E che considera l’Arabia Saudita e l’America i massimi ostacoli al proprio disegno, la prima perché sunnita e madre de La Mecca, la seconda perché “colonialista” e portatrice di tutto ciò da cui aborre, dalla libertà di parola e di religione alla democrazia e alla pace. Oltre che con il terrorismo, l’Iran le combatte con la politica, con la diplomazia e con il fideismo, nella speranza di sottomettere l’una ed espellere l’altra dai territori dell’Islam.
L’obbiettivo degli Ayatollah
Probabilmente l’obbiettivo dell’Iran, o meglio degli Ayatollah che lo comandano, è irraggiungibile: gli sciiti sono circa il 15 per cento degli islamici mentre i sunniti, spesso meno ostili all’Occidente, sono circa l’85 per cento. L’America inoltre contiene il terrorismo su ogni fronte con l’appoggio dell’Europa. Ma gli Ayatollah non si fermeranno se non verranno isolati totalmente e l’opposizione interna non verrà aiutata dall’esterno. E al momento non si verifica nessuna delle due condizioni. L’Iran, anzi, ha trovato due alleati nella Russia e nella Cina, con cui ha organizzato inquietanti manovre navali al largo dell’Oman, e con i quali sta trasformando il mondo degli emergenti o Brics, (l’acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) nel più potente avversario dell’Occidente. All’interno, per di più, la repressione del dissenso da parte degli Ayatollah si è fatta atroce. Ciò indica che è suo intento non solo di continuare a destabilizzare il Medio Oriente e il Golfo Persico tramite Hamas e Hezbollah ma anche di impedire la libera navigazione nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden e nell’Oceano Indiano tramite Houthi, i cosiddetti “Partigiani di Dio”, il terrorismo yemenita, per fiaccare l’economia euroamericana.
Partita a scacchi a quattro
Onde evitare scontri armati o addirittura un conflitto con Israele e con l’America, sinora l’Iran, forse in attesa di avere l’atomica, non si è esposto troppo. Al contrario, ha imbrigliato Hezbollah che si preparava a intervenire a Gaza in aiuto ad Hamas contro Israele. Ma dietro le quinte ha contribuito alla nascita di nuove formazioni terroristiche sciite in Siria e in Iraq, e ha dotato gli Houthi, che controllano il Nord dello Yemen, dell’equivalente dei siluri della Seconda guerra mondiale, ossia di motoscafi leggeri, carichi di esplosivi e radiocomandati ad alta velocità per attacchi a sciami ai mercantili occidentali. Attacchi a cui queste enormi navi non possono sfuggire e che soltanto la marina militare americana può neutralizzare. Sul piano politico l’Iran ha proposto un dialogo, forse fittizio, all’Arabia Saudita, ma anche qui l’America ha reagito prontamente, premendo su Israele, che con l’Arabia Saudita aveva dialogato davvero sino alla guerra di Gaza, affinché riprenda i negoziati con essa. Di fatto, in Medio Oriente e nel Golfo Persico è in corso una partita a scacchi a quattro, o cinque se si include l’Europa, dal cui esito dipende non solo un nuovo ordine regionale ma anche un nuovo ordine mondiale.
Il 7 ottobre prologo di un piano di destabilizzazione
Indubbiamente, la strage degli israeliani a Gaza commessa da Hamas il 7 ottobre scorso è stata il prologo di un più vasto piano iraniano di demolizione degli equilibri esistenti nel mondo dell’Islam che adesso include anche i bombardamenti e gli attacchi alle basi americane. Hamas non sarebbe riuscita a fare tutto ciò che ha fatto senza il sostegno militare, tecnologico e logistico di Hezbollah e dell’Iran, e l’Iran aveva bisogno di un evento traumatico e una giustificazione ideologica, la tragedia palestinese, per aprire nuovi fronti contro i regimi sunniti e l’America. Resta da vedere se la Russia e la Cina siano pronte a formare con esso un’autentica alleanza, alleanza che comunque sarebbe limitata al Medio Oriente e al Golfo Persico. Le loro posizioni infatti non coincidono. Mentre è nell’interesse economico della Cina mantenere buoni rapporti con l’America che nel 2023, per la prima volta dopo vent’anni, ha importato più dal Messico che da essa, è nell’interesse politico della Russia mettere l’America sempre più in difficoltà, in maniera che si disimpegni gradualmente dall’Ucraina. Più che Pechino, è Mosca che ritiene di avere un conto da regolare con Washington nel Golfo Persico e in Medio Oriente.
Le radici dell’ostilità
In genere, si pensa che l’ostilità tra l’America e l’Iran risalga al 1978, alla deposizione dello Scia’ Reza Palhavi, e al 1979, all’ascesa al potere dell’Ayatollah Komeini, il fondatore dell’attuale regime, che tenne ostaggi i diplomatici americani a Teheran per 444 giorni. In realtà risale a 25 anni prima, al 1953, quando l’Mi6 e la Cia, gli spionaggi inglese e americano, organizzarono un golpe contro Mohammad Mosaddegh, il leader repubblicano che aveva rovesciato la monarchia e nazionalizzato la Anglo Iranian Oil Company. Mosaddegh aveva liberato l’Iran dalla condizione semicoloniale in cui si era trovato rispetto all’Inghilterra, e l’America temeva che lo portasse nella sfera d’influenza russa e cinese. Con l’aiuto del capo della Cia a Teheran, Kermit Roosevelt, nipote del vincitore della Seconda guerra mondiale, il presidente Franklin Roosevelt, Palhavi si riprese il trono e fece dell’Iran il più fido alleato dell’America nel Golfo Persico. I sostenitori di Mosaddegh tra cui anche Khomeini andarono in esilio, organizzarono la resistenza e nel 1979 conquistarono il potere con l’occulto appoggio della Russia, che sperava di avere accesso al Golfo, e che alla fine di dicembre di quell’anno invase l’Afganistan.
L’Operazione Consenso
E’ altresì poco noto che per un decennio, a cominciare dalla Seconda guerra mondiale, l’America e l’Inghilterra da un lato e l’Urss dall’altro si contesero il controllo se non anche il territorio dell’Iran, allora occupato dai tedeschi. Inizialmente, unendo le forze nella “Operazione Consenso”, il premier inglese Winston Churchill e il dittatore sovietico Jospeh Stalin scacciarono i nazisti. Ma puntando sulla minoranza azera là residente, Stalin, già in possesso della vicina repubblica dell’Azerbaigian, tentò poi di appropriarsi dell’Iran del Nord. Dovette rinunciarvi a causa del conflitto mondiale e della resistenza iraniana, ma ritornò alla carica alla fine degli Anni quaranta. Secondo i documenti della Casa Bianca a Washington, il presidente americano Harry Truman, subentrato a Roosevelt nel 1945, lo dissuase ricordandogli che “l’America possiede l’atomica e difenderà l’Iran”, che nel frattempo era diventato uno stato membro dell’Onu. Lo spionaggio sovietico aveva appena messo le mani sui segreti nucleari americani, ma non possedeva ancora un arsenale sufficiente a sfidare Truman, e Stalin rinunciò all’accesso al Golfo Persico. L’Urss si sarebbe rivalsa stringendo legami con altri Paesi islamici nella regione.
Il ruolo della Cina
Alla luce di questi precedenti un’alleanza tra la Russia e l’Iran è possibile. L’Iran darebbe a Mosca, sia pure parzialmente, l’ambito sbocco sul Golfo Persico e ne rafforzerebbe la presenza economica e militare in Medio Oriente. Presenza cruciale perché Mosca vuole impedire la trasformazione del Mediterraneo da “mare nostrum”, europeo e italiano soprattutto, in “mare della Nato”. Il premier russo Vladimir Putin, che comunque vi manda regolarmente uno squadrone navale, si propone non solo di tenere le basi russe che ha in Siria ma di ottenerne altre in altri Paesi arabi. Aumenterebbe così la propria influenza e quella dell’Iran nell’intero Medio Oriente, rendendo più rischioso il confronto con l’America. La Cina non si opporrebbe a sviluppi del genere ma probabilmente non vi prenderebbe parte. Il presidente cinese Xi Jinping ha già grossi problemi in Africa, dove i suoi finanziamenti non hanno dato i frutti sperati, e i rapporti della Cina con l’America sono già tesi a causa di Taiwan. A differenza di Putin, Xi aspira a un mondo stabile, dove le superpotenze possano convivere. Non è però disposto a premere sulla Russia e sull’Iran perché contribuiscano a risolvere le crisi in corso.
Strategia condivisa
Per fermare l’Iran non basterà porre fine alla Guerra di Gaza e negoziare la nascita di uno Stato della Palestina, imprese che comportano lo scioglimento o almeno la emarginazione di Hamas, di Hezbollah e di Houthi come accadde alla loro progenitrice Al Qaida, nonché l’elezione di un nuovo governo a Israele. Occorrerà anche che, con il contributo di potenze locali quale la Turchia, l’Europa e l’America si adoprino per un accordo tra Israele stesso e l’Arabia Saudita, accordo in fieri il 7 ottobre scorso, ripeto, uno dei motivi nascosti delle stragi commesse da Hamas. Esso sarebbe il primo, cruciale passo verso il riconoscimento dello Stato di Israele da parte dei Paesi arabi moderati e verso l’isolamento dell’Iran, un passo che andrebbe accompagnato da una politica più costruttiva dell’Occidente nell’intera regione, basata sul sostegno delle riforme e sulla mediazione tra Stati in contrasto tra di loro. Al tempo stesso, l’Europa e l’America saranno chiamate a dispiegare più forze nelle acque e nei cieli del Golfo Persico per stroncare il terrorismo, e a intensificare il proprio impegno alla protezione dei diritti umani e civili, innanzitutto i diritti delle donne, calpestati in Iran nel nome di Allah.
L’ “asse della resistenza”
L’Iran ha battezzato la sua alleanza con il terrorismo e i Paesi che lo proteggono o tollerano “l’asse della resistenza” contro gli infedeli, cioè i non sciiti, e contro il Grande Satana, cioè l’America e la sua suddita, l’Europa. Ma il vero “asse della resistenza” è quello che l’Occidente e l’Islam pacifista dovranno formare perché l’Iran torni a essere la grande civiltà della storia antica, a beneficio, non a danno del resto del mondo.
Ennio Caretto