Riceviamo e pubblichiamo:
Nell’acceso dibattito innescato dall’incorporazione di Camagna in Casale M.to, più volte l’Unione Betlemme è stata chiamata in causa. Se l’iniziativa intrapresa dai due sindaci è sicuramente legittima, è però inconveniente addossare responsabilità all’Unione su tale operazione. L’Unione negli anni è stata una realtà capace di portar avanti una politica territoriale, ma soprattutto un’azione amministrativa di supporto ai comuni, offrendo servizi fondamentali e permettendo a questi una sostanziale indipendenza ed autonomia nonché un risparmio oggettivo rispetto a quanto i quattro enti avrebbero dovuto spendere qualora avessero aderito a convenzioni con centri urbani più grandi.
Dire che l’Unione non abbia saputo dare risposte ai bisogni dei quattro comuni è sostanzialmente falso nonché scarsamente rispettoso dell’attività dei lavoratori. Basti pensare che uno dei servizi fondamentali al cittadino, quello dell’ufficio tecnico, per il comune di Camagna per oltre un decennio è stato offerto dal personale dell’Unione e questo servizio è svolto ancora al presente. Nel 2015 tutti i comuni hanno mantenuto la loro operatività, mettendo in rete personale e risorse. A tal riguardo le richieste fatte ancora nell’autunno dell’anno scorso dall’amministrazione camagnese hanno trovato da parte degli altri sindaci accoglimento e pressoché immediata messa in atto. Per tale ragione affermare che l’Unione, quindi i sindaci e le amministrazioni comunali di Cuccaro M.to, Conzano e Lu, non abbiano voluto dar risposte o non abbiano dato risposte ai bisogni di Camagna è falso. Rispettiamo la scelta dell’Amministrazione di Camagna seppure non la reputiamo percorribile e opportuna per le nostre comunità. Non sia detto, però, che questa è responsabilità nostra, degli amministratori dell’Unione, dei sindaci di Conzano, Cuccaro M.to e Lu. La scelta dell’incorporazione è una scelta dell’Amministrazione di Camagna che ha deciso un particolare futuro per il proprio comune, siamo convinti avendo valutato le necessità della propria popolazione. Altrettanto siamo convinti che nel prendere tale decisione si siano scarsamente considerati i bisogni delle altre tre comunità e le ripercussioni che la scelta politica potrebbe avere su queste. Nei prossimi mesi la scelta dell’incorporazione verrà messa al vaglio degli abitanti dei due comuni. Attendendo il risultato del referendum, noi continueremo a guardare al bisogno delle nostre comunità, lavorando per dare loro risposte, sapendo che la scelta che comunque ci è stata imposta ci impone riflessioni e apre diversi orizzonti.
Michele F. Fontefrancesco, Presidente dell’Unione e sindaco di Lu; Emanuele Demaria, sindaco di Conzano; Fabio Bellinaso, sindaco di Cuccaro.
Riceviamo e pubblichiamo…
La recente decisione del Consiglio Comunale di Camagna, orientata a far incorporare il piccolo comune monferrino nel comune di Casale Monferrato, sta animando il dibattito degli addetti ai lavori (Politici, Sindaci, Assessori Consiglieri), con vivace riscontro sui giornali locali. Stimolato dall’argomento e dagli interventi citati, chiedo al Direttore ospitalità per esprimere sull’argomento alcune riflessioni che, mi auguro, apportino un contributo alla discussione.
Preliminarmente mi preme rilevare che il mio intervento non ha alcuna intenzione di esprimere un giudizio di valore sulla scelta che si accinge a fare il Comune di Camagna. Sono consapevole delle difficoltà che attanagliano i piccoli comuni, conosco personalmente e stimo il sindaco di Camagna, circostanze che mi autorizzano a ritenere che la scelta abbia fondati motivi e ampi margini di plausibilità.
La fusione di un Comune all’interno di un altro è disciplinata dalla Legge n. 56 del 7 aprile 2014, nota come Riforma Delrio, il cui comma 139 è dedicato a questa procedura. Capoverso che non riporto per brevità, ma molto utile da leggere per capire i limiti e le implicazioni sull’argomento che stiamo trattando. La ratio della norma, introdotta dalla legge Delrio, (che non riguarda soltanto i comuni, ma anche provincie e città metropolitane) persegue l’obiettivo per nuovi assetti istituzionali finalizzati a realizzare risparmi e forme più efficaci ed efficienti per l’azione amministrativa. Il contrappeso politico a questa intenzione si realizza, per esempio, nell’abrogazione dell’elezione diretta degli organi rappresentativi dell’Ente intermedio come la provincia, oggi indicato, suggestivamente, Ente di Area Vasta. La stessa logica è perseguita nel caso d’incorporazione di un comune in un altro. Infatti, il comma appena citato prevede che alle comunità del comune cessato siano assicurate adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi. Tradotta in termini più semplici, questa buona intenzione, significa l’eliminazione dei delegati eletti direttamente dai cittadini e sostituiti con nominati indicati dal ceto politico del comune incorporante.
È interessante rilevare come questo frenetico processo innovativo permea tutta la materia delle riforme istituzionali in cantiere. Dai piccoli comuni, (fusioni, associazioni forzate, incorporazioni) alle provincie, fino ad arrivare alla riforma del Senato, il denominatore comune è quello di estromettere dal gioco democratico i cittadini. In altri termini, sembra essere in atto un passaggio da un sistema verticistico temperato con rappresentanze elette democraticamente dai cittadini, a un sistema iper-verticistico aggravato con rappresentanze nominate dalla classe politica dominante, dove i cittadini non avranno più la possibilità di indicare i propri delegati. Tutto questo è immolato sull’altare dell’efficientamento della macchina pubblica.
A questo punto sorgono spontanee alcune domande. Ma siamo sicuri che sia sufficiente eliminare qualche poltrona di rappresentanza politica (tra l’altro irrilevante sotto il profilo dei costi) per portare efficienza nella Pubblica Amministrazione? E ancora. Le riforme istituzionali avviate hanno la visione politica di immaginarsi un paese capace di collegare le buone intenzioni alle responsabilità per costruire un degno futuro alle prossime generazioni? Sono domande impegnative che richiedono ben altre riflessioni e spazi più importanti per dare risposte adeguate. Tuttavia, limitandoci alla sola questione dell’efficientamento della macchina pubblica, personalmente ritengo che siano molti gli ambiti d’intervento che possono restituire più snellezza e più competitività al nostro Paese nel panorama globale.
Per prima cosa occorre intercettare nuovi modelli organizzativi per l’espletamento dei servizi. Modelli che devono intervenire sui processi di lavoro e orientati ai risultati. È in questa logica che va riportata la razionalizzazione gestionale dei piccoli comuni. In quest’ambito ci sono ampi margini di risparmio che potranno essere conseguiti attraverso il criterio della gestione associata dei servizi, senza mortificare il valore identitario delle piccole comunità, che determina, tra l’altro, forti contributi di lavoro volontario tra gli amministratori e i cittadini.
Ai nuovi modelli organizzativi deve corrispondere una drastica riduzione dei centri di spesa, attraverso l’utilizzo di soggetti aggregatori e l’individuazione di prezzi di riferimento estensibili a tutto il comparto pubblico, comprese le società partecipate pubbliche. Significativa, a tal riguardo, è la recente proposta di legge che si propone di sopprimere tutti i comuni sotto i 5000 abitanti, cancellando in un sol colpo storie millenarie identitarie di civiltà e di vicinanza ai bisogni dei cittadini. Proposta di legge che, se fosse attuata, ridurrebbe gli oltre ottomila Comuni attuali a circa tremila, trascurando invece, colpevolmente, le oltre diecimila società partecipate che in questi ultimi anni sono nate e prolificate all’ombra dei campanili. Ben due commissari per la “Spendig Review”, in un breve periodo si sono avvicendati, ed entrambi sono pervenuti alle stesse conclusioni: razionalizzazione del sistema attraverso una drastica riduzione delle partecipate pubbliche, unitamente ad un miglioramento della trasparenza. Al momento nulla è stato fatto, tranne la rottamazione dei Commissari (Cottarelli Prima e Perotti più recentemente).
Ci sono tanti altri campi d’intervento per ridurre la spesa pubblica, come il capitolo della semplificazione vera, cioè quella che mira alla riduzione dei processi amministrativi e semplifica gli adempimenti di back-office. Un altro intervento auspicabile riguarda l’innovazione tecnologica coerente, cioè quella che partendo dalle infrastrutture tecnologiche, come le reti a banda larga, implementi, poi, soluzioni applicative innovative e performanti.
Per finire mi sembra interessante invocare Max Weber, che nel gennaio del 1919, in una famosa conferenza sulla “Politica come professione”, invocava il sacrosanto principio che l’etica delle intenzioni non può essere disgiunta dall’etica della responsabilità. Principio che, tradotto in termini semplici, significa che al vero politico non si chiede soltanto la capacità di gestire l’immanente ma anche la capacità di immaginarsi, responsabilmente, un futuro delle sue decisioni. Sotto questo profilo oggi siamo, purtroppo, un po’ poveri.
Giovanni Bellistri, Sindaco di Terruggia