Ogni anno, da decenni, a ricordare la Banda Tom siamo in molti: la città di Casale, il Monferrato, altri comuni dell’Alessandrino, giovani e famiglie.
Facce consuete e di anno in anno molti visi nuovi, studenti e cittadini che vogliono partecipare.
Negli istituti scolastici si promuovono ricerche, si creano approfondimenti. Il Collettivo Teatrale e il Laboratorio teatrale dell’Istituto Superiore Cesare Balbo di Casale Monferrato hanno elaborato testi e curato rappresentazioni sulla Resistenza; il gruppo musicale YoYo Mundi ha coniato una ballata fortemente simbolica sui tredici della Banda Tom; l’ANPI ci richiama sempre alla memoria storica e attualizzata del fatto; la Chiesa locale da sempre riserva grande cura ai temi resistenziali come la Comunità ebraica assicura testimonianze e cultura appropriate.
Molte le pubblicazioni, i libri, le citazioni, i convegni che hanno incluso questa vicenda drammatica. Ricordiamo gli scritti e le memorie, le interviste di tanti partigiani e loro famigliari, i diari di tanti parroci; i contributi di Pansa, di Cazzullo, di Luzzati, di Gad Lerner, di Sisto, di Cotta, di Borioli, di Scarrone, di monsignor Angrisani, di Ottolenghi, di Carmi, di Ronco, di Guaschino e molti altri.
Nella nostra biblioteca civica è frequente imbattersi con studenti al lavoro per una lettura e ricerca sulla Resistenza nel Monferrato. Sabato 15 gennaio, alla Cittadella, lungo il muro dell’edificio ove vennero uccisi i partigiani della Banda Tom, il gruppo Scout di Casale depose tredici lumini e una frase a ricordo dell’eccidio. Gesto delicato, suggestivo e emblematico. I giovani di oggi che incontrano i partigiani di ieri.
Chiediamoci, perché questa perenne attenzione spontanea e diversificata?
La risposta è una sola: perché è la nostra identità.
Ricordiamo il fatto
Si era ad avvio 1945; gran parte dell’Italia era stata liberata dagli Alleati, a Torino il CLN e le varie divisioni partigiane stavano organizzando la ripresa di primavera per poi giungere agli scioperi nelle fabbriche e poi alla Liberazione.
A Casale, invece, i fascisti locali con l’ausilio dei tedeschi occupanti uccisero tredici giovani partigiani (fra loro vi era anche un aviere inglese prigioniero). Li catturarono tra Ottiglio e Casorzo, offesi ripetutamente, li costrinsero a camminare sulla neve fra le colline e poi lungo le vie della città, con un cartello e la scritta “Ecco i leoni di Tom”. Vennero rinchiusi nelle carceri cittadine, ove vi era pure la mamma di Tom, catturata per convincerla a parlare della banda di partigiani. Vennero fatti sfilare, un drappello di prigionieri sbeffeggiati, irrisi. Gli abitanti costernati, increduli, li osservavano fra le porte e le persiane socchiuse, alcuni erano incatenati. Vennero condotti nel pieno freddo alla Cittadella di Casale, qui fucilati in pochi minuti e lasciati per giorni sulla neve, senza alcun rispetto per i cadaveri.
Con il capo Antonio Olearo (detto Tom) nato ad Ozzano Monferrato ed ex Guardia di Frontiera, vennero uccisi: Augino Giuseppe di Valguarnera (Enna); Boccalatte Alessio di Lu Monferrato; Canterello Aldo di Alessandria; Cassina Luigi (Ginetto) di Casale; Cavoli Giovanni (Dinamite) di Solero; Harboyre Harrj, prigioniero britannico ufficiale della RAF; Peracchio Remo di S. Stefano di Montemagno; Maugeri Giuseppe di Siracusa; Portieris Boris di Genova; Santambrogio Luigi di Cesano Maderno, il più giovane; Serretta Carlo di Genova; Raschio Giuseppe di Alessandria.
Dei catturati a Casorzo, solo Giovanni Damarco evitò la fucilazione. Fu poi incarcerato a Casale ed Alessandria. Si salvarono anche Pagella Claudio e Giuseppe Sogno, ucciso poi dai tedeschi al castello di Tortona il 27 febbraio 1945 insieme ad altri partigiani, fra cui i casalesi Carlo Angelino (ferito e sopravvissuto alla fucilazione a Ticineto, curato dal prof. Debernardis sotto anonimato, poi catturato ancora da fascisti) e Alfio Zanello della X Garibaldi. Padre Angelo Allara, sacerdote vincenziano, li confessò, ma non riuscì a portare loro la comunione; tentò di far avviare una trattativa per la liberazione fra i tedeschi e il vescovo Giuseppe Angrisani; ma l’esito fu negativo. Tedeschi e fascisti non vollero.
Erano tutti ragazzi e antifascisti, una parte del futuro di Casale, del Monferrato e dell’Alessandrino; vi era l’inserimento di due siciliani, giunti in Piemonte per aiutare la Resistenza, di un aviatore inglese ex prigioniero.
Le salme stettero alcuni giorni sulla neve. Il fotografo Torielli, di nascosto e con acrobazie per evitare il controllo dei fascisti, riuscì ad immortalare quegli attimi e quei cadaveri. Le immagini sono pubblicate, presenti sui siti e sui motori di ricerca. Fanno riflettere molto, come pure altre immagini di partigiani uccisi fra queste colline. Sono sufficienti queste immagini per indignarci contro chi le ha determinate.
Ricordiamo il contesto
Ogni volta che ricerco e scrivo su questi fatti, stento a credere come l’uomo abbia potuto rendersi autore di tali violenze, come il tutto sia avvenuto in un clima remissivo e incapace di contrasto.
C’è lo spiega la storia di un regime, la storia di decenni di dittatura culturale, psicologica e organizzativa; decenni di scuola non libera, di persecuzioni razziali, di cameratismo e privilegi dei forti, di propaganda subdola e capillare ovunque. La gente era annichilita, ma inerme, priva di ogni autonomia.
L’episodio della Banda Tom avvenne sì a gennaio 1945, ma nel pieno svilupparsi di una Resistenza del Monferrato che sorse con l’antifascismo e poi con il CLN e le brigate partigiane.
Ma quali ne sono stati i caratteri distintivi?
La Resistenza nel Monferrato fu:
- a) Difficile e originale
Il Monferrato casalese era già allora geograficamente collocato al centro di un quadrilatero delimitato da grandi vie di comunicazione, viarie e ferroviarie, da città come Alessandria, Casale, Asti, Valenza, Chivasso, Torino, Vercelli.
Le truppe tedesche occuparono con molti presidi e postazioni tutta la zona, controllando tutte le vie d’accesso (strade, ponti, ferrovie). I fascisti durante il Regime, i repubblichini dopo l’8 settembre, assicurarono sempre una presenza organizzata in tutta l’area, con strutture e dirigenti operativi. Il quadrunviro casalese Cesare Maria De Vecchi non solo partecipò e promosse la marcia del ‘22, ma fu fascista-monarchico di riferimento per la presenza italiana in Somalia e nel Dodecanneso, con responsabilità nelle persecuzioni razziali e nella politica violenta e squadristica nelle isole dell’Egeo e in Africa. A Casale la militanza fascista era molto organizzata.
Su queste premesse geografiche e militari, si coglie come fu particolarmente difficile l’esordio della Resistenza. Senza alcun dubbio, fu più semplice organizzare le formazioni partigiane nelle valli delle Prealpi o degli Appennini.
Nel Monferrato casalese, invece, le prime formazioni partigiane ed il primo dissenso esplicito contro l’occupazione tedesca dovettero affrontare rischi significativi. Dovettero contrastare una presenza pervasiva delle forze militari tedesche ed un sostegno sinergico e capillare della RSI.
Fin dal primo avvio, fu una Resistenza originale, perchè sorse dall’integrazione fra il mondo contadino della collina e le realtà operaie e borghesi della città, con immediata spontaneità.
Così nacquero la banda di Guaschino-Venier a Gabiano, la banda Fox di Ronco a Mombello, la banda Lenti a Camagna, la banda Tom fra Ottiglio-Casorzo e la Valle Ghenza, le bande autonome dei fratelli Gabriele e Sergio Cotta fra Robella, Brusasco e Cavagnolo; la banda del Tek Tek a Grana, la banda di Beccuti a Calliano, la banda del Giusto Dellavalle a Moncalvo.
Fra le colline, la Resistenza si affermò spontaneamente e solo più tardi, a fine ’44 ed inizio’ 45, conobbe un’organizzazione strutturata.
Il dissenso, il contrasto alla rinascita del fascismo nella RSI e la chiara lotta di liberazione nei confronti dei tedeschi occupanti dovettero subito fare i conti con un nemico tangibile e determinato, la cui presenza sul territorio era diffusa e ramificata.
I recenti fonogrammi tedeschi (alcuni con la firma autografa del maggiore Meyer, responsabile della fucilazione della banda Lenti, dell’eccidio di Villadeati, della fucilazione della banda Tom) trovati in una soffitta ad Alfiano Natta documentano come le truppe tedesche controllassero ogni movimento, con l’ausilio sistematico dei fascisti.
Le prime formazioni partigiane sorsero per autogenesi, grazie ad un forte radicamento e sostegno della popolazione locale, con caratterizzazioni e dinamiche differenti. Al loro sorgere, le formazioni furono aiutate in modo rilevante dalla presenza di ex militari, ex alpini, ex carabinieri, ex avieri.
- b) Corale e pluralista
Fin dal suo esordio, la Resistenza si caratterizzò per un’evidente coralità delle matrici ideali-culturali che l’ispirarono. Vi fu la componente comunista, radicata già nel territorio e interpretata da episodi di chiaro antifascismo durante il ventennio di Regime, ora rappresentata all’interno del mondo operaio; vi fu la componente cattolica, espressa nelle figure del Vescovo di Casale Monsignor Giuseppe Angrisani e di molti parroci, fra i quali non si può scordare il sacrificio di don Ernesto Camurati (originario di San Salvatore Monferrato) ucciso dai tedeschi a Villadeati, con altri nove capi famiglia; dei quadri dell’Azione Cattolica e di molti volontari già operanti nelle organizzazioni sociali cattoliche, delle staffette partigiane coraggiose come Ernestina Valterza; vi fu la componente socialista, legata alle esperienze operaie e cooperativistiche; vi fu la componente liberale ed azionista, ancorata alla storia culturale del Piemonte; vi fu la componente badogliana, ispirata da una visione patriottica di uno Stato unitario forte.
Tutte queste diverse matrici ideali-culturali si mescolarono, in un’alleanza ideale proiettata verso una nuova fase storica. Nel Monferrato operarono le Brigate Garibaldi, le Matteotti; la Divisione Patria, la Divisione Autonoma Monferrato, alcune formazioni di Giustizia e Libertà.
La Resistenza fu corale e pluralista anche per la partecipazione sociale che la caratterizzò.
Al movimento partigiano ed alla lotta di Liberazione, nel suo insieme, diedero contributi significativi tutte le componenti sociali di allora: dai giovani studenti liceali ed universitari ai militari, avieri ed alpini, carabinieri; dalle famiglie contadine agli operai ed artigiani della città, alle popolazioni rurali della collina; dagli insegnanti delle scuole superiori ad alcuni professionisti ed imprenditori; dal clero alle organizzazioni sociali cattoliche.
Questa coralità, anche sociale, di impegno contro l’occupante tedesco ha necessariamente interagito con la presenza a Casale e Moncalvo della comunità ebraica; la comunità era parte attiva da secoli della vita economica e pubblica del Monferrato.
Le leggi razziali, la violenza della RSI distrussero la comunità, ma a pari tempo fecero emergere una solidarietà nascosta e diffusa della gente comune, dei parroci verso gli ebrei.
Fra le colline si scrissero pagine singolari di soccorso vicendevole, di grande rispetto per l’autentica libertà di fede e di opzione ideologica. Un ruolo significativo, in parte ancora da esplorare completamente, venne svolto da alcune missioni anglo-americane o inglesi paracadutate nel Monferrato. Le missioni, al comando del maggiore inglese Leach, nei mesi precedenti la Liberazione assicurarono armi, munizioni, mezzi ed istruttori per sabotaggi, alimenti, vestiario, radio trasmittenti.
Le formazioni partigiane percepirono, quindi, come la lotta di Resistenza ai tedeschi occupanti fosse condivisa anche da altri popoli, da sempre liberi.
Si ricordano le missioni Morristown, Youngstown, Bet, Edison, Lana 2; le missioni erano correlate con il SIM italiano, con il SOE inglese e con il OSS americano.
- c) Aperta e collaborativa
La Resistenza non fu espressione chiusa di gruppi militari o di cerchie ristrette di ribelli. Alcuni antifascisti casalesi operarono in formazioni partigiane nel Canavese e in Val di Susa, nel Varesotto e nel Pavese. Comandarono bande locali, con gesti di eroismo e furono vittime dei tedeschi.
Nelle formazioni partigiane, di contro, operarono giovani ed ex militari provenienti dalla Val di Lanzo, dalla Val Susa, dal paese di Mathi e dalla Val d’Ossola. Ci fu una mutualità tra le formazioni partigiane e il resto della Resistenza in Piemonte. Ne sono testimonianza le figure di Italo Rossi e Sergio Morello, comandanti partigiani uccisi in Val di Lanzo e nel Canavese; la figura di Francesco Alfieri Greppi ucciso ad Usseglio nel settembre ’44; in Monferrato, sono testimonianza le figure di Angelo Bordino e Nicola Marchis, di origine canavesana e componenti della banda Lenti, uccisi a Valenza e a Vignale, di Miracapillo Bruno Savino, ucciso a Cantavenna; di Maugeri Giuseppe, ucciso con la banda Tom a Casale.
Bizzarro partì con una sessantina di altri giovani, in una domenica di fine ottobre ’44 dalla piazza dell’Addolorata di Casale, alla volta di Arcesa in Valle d’Aosta. Qui organizzarono le prime formazioni partigiane locali; dopo la morte del compagno Carrera, ucciso dai tedeschi e fascisti di Aosta, Bizzarro ritornò a Casale per le esequie, ma venne catturato. Incarcerato e poi ucciso a Madonnina di Crea.
- d) Crudele e violenta
L’esperienza resistenziale vissuta fra queste colline fu pesante, in termini di prezzo pagato alla vita. La vicenda della banda Lenti, formazione partigiana simbolo della lotta coraggiosa per la libertà, arrestata al completo e immediatamente fucilata a Valenza; la vicenda della banda Tom, anche qui catturata ed eliminata a Casale nel gennaio ’45, mentre mezza Italia era già libera; l’eccidio di Villadeati, con il parroco don Camurati e nove capifamiglia uccisi in piazza; Arduino Bizzarro, per ben otto mesi in carcere, poi ucciso in uno scontro a fuoco con i fascisti, senza pietà; molti altri partigiani uccisi fra le colline e sulle rive del Po, catturati in scontri diretti e talvolta con delazioni ripetute, come Mario Talice, Livio Cover, Lazzaro Neno Lazzarini, Alfredo Piacibello, Pietro Pagliolico, Italo Rossi e Oreste Rossi, Innocenzo Rossi, Silvio Bondesan; i civili e partigiani uccisi a Ticineto (Grassi Pierino Lorenzo, Rossini Aimo, Zemide Giovanni, Rota Silvio, Scagliotti Edoardo, Rotelli Augusto), a Valenza ed a Castelletto Monferrato nel giorno della Liberazione; i partigiani casalesi Alfio Zanello e Carlo Angelino fucilati a Tortona al Castello, dopo essere stati prelevati con Giuseppe Sogno dal carcere di Casale; le violenze subite dalla popolazione civile, come gli attacchi e rastrellamenti, la battaglia di Cantavenna, gli scontri di Gabiano; i rastrellamenti, i saccheggi e incendi a Rosignano Monferrato; le vittime inconsapevoli e molte volte ingenue registrate tra le file della nuova Repubblica di Salò o fra le formazioni collaboranti; ebbene, tutte queste vite sacrificate connotano ancora oggi la Resistenza nel Monferrato e nel Valenzano come un’esperienza crudele e violenta. Il Monferrato pagò un prezzo molto alto per voltare pagina, per superare un passato nefasto e creare condizioni nuove di libertà.
La Resistenza nel Monferrato casalese fu un fenomeno complesso, articolato, a più voci: non è corretta una sua interpretazione manichea e semplificatrice, in chiave contrappositiva. Leggere, conoscere, incontrare in queste pagine mille fatti, volti, vicende, ideali e talvolta anche sogni, ci deve condurre dalla nuova coscienza civile di allora ad una consapevolezza storica comune di oggi.
- e) autonomamente protagonista
La Resistenza consolidò, proprio per la sua specificazione e poi per il suo manifestarsi organizzato, una precisa autonomia di area forte da sempre assunta dal Monferrato.
Fu proprio così. Anche la Resistenza confermò il ruolo protagonista del Monferrato nella storia di questo pezzo di Piemonte. Già a fine ‘800 e nell’avvio del ‘900, il Monferrato visse una storia protagonista, esprimendo figure decisive nella politica, nella cultura, nell’economia, nell’arte, nell’agricoltura e nella socialità.
Il Monferrato non visse mai la propria storia in maniera residuale e marginale, ma seppe guidare i processi di cambiamento.
Anche nella Resistenza non mancò questo ruolo protagonista. Si pensi, ad esempio, alla figura di Giuseppe Brusasca, militante nel Partito Popolare di Sturzo e sostenitore delle prime formazioni partigiane, amico di alcune famiglie ebree casalesi, divenne vice-presidente del CNLAI, primo Presidente della Provincia dopo la Liberazione, poi sottosegretario di Stato.
Si pensi ad Eusebio Giambone, nato a Camagna, militante comunista, carcerato più volte dai fascisti, rifugiato in Francia, divenne elemento di spicco dell’antifascismo piemontese e membro del Comando Militare Regionale Piemontese. Venne fucilato al Martinetto a Torino il 5 aprile ‘ 44.
L’esperienza resistenziale fortemente partecipata da apporti diretti, autorevoli e convinti, contribuì a consolidare una precisa singolarità di area, distintiva rispetto al resto del Piemonte.
Fu una Resistenza coraggiosa, originale, ma soprattutto fondativa della nuova coscienza civile che, mese dopo mese, stava sorgendo fra le colline.
La nostra identità
I nostri tredici partigiani uccisi da fascisti e tedeschi il 15 gennaio 1945 sono ancora presenti oggi, qui, perché alimentano i nostri ricordi, sono parte delle nostre certezze valoriali, perché sono la nostra identità.
La Banda Tom, non da sola, ma unita alle altre drammatiche vicende resistenziali del Monferrato non è stata affatto un incidente di percorso e neppure solo il risultato di una guerra civile.
Persero la vita alla vigilia della Liberazione perché qualcuno, inebriato di arroganza e violenza, volle impedire lo sviluppo naturale della vita, del bene comune, della libera convivenza di una comunità.
Qualcuno impedì che si operasse una svolta di libertà.
Su queste vicende, su questi contributi di giovani si è fondata la nostra Costituzione e oggi si fonda il nostro vivere quotidiano, o meglio si dovrebbe fondare il nostro presente.
Non tutto è infatti scontato.
Qui si alimenta la nostra cultura, la nostra identità di cittadini dialoganti e costruttivi.
Non servono affatto convegni, eventi, propagande per portare qui da altri contesti e luoghi pseudo identità. Non siamo terre da conquistare, ma comunità con la nostra storia e con la nostra cultura, con la nostra dedizione democratica.
Preoccupano, invece, alcune iniziative propagandistiche promosse in questi mesi anche con soldi pubblici, iniziative che vorrebbero caratterizzarsi come culturali, ma che fanno trapelare le subdole e grottesche intenzioni di affermare un’altra storia, un’altra identità, un altro paradigma di riferimenti rispetto a quelli che hanno fondato la Costituzione e la nostra democrazia partecipata.
Da studioso di Fenoglio, mi giunge spontaneo un parallelismo. In Ur partigiano Johnny, la missione inglese del maggiore Leach e alcuni partigiani entrano in Fubine.
Fenoglio scrisse il romanzo tutto in inglese, ma una libera traduzione ci consegna alcuni tratti molto belli. Johnny-Fenoglio arriva a Fubine con i partigiani di Tek Tek; nel paese un silenzio inspiegabile, strade deserte: “…l’unico suono era il rombo squillante con alti e bassi alternati di un motore elettrico in una segheria”.. Le donne erano chiuse in casa, “affinestrate occhieggianti dall’ombra dei battenti…”. Incontrano un vecchio, lo interpellano sul silenzio irreale. In paese vi sono inglesi, vestiti come Johnny. Il riferimento al rumore della segheria non è solo un dettaglio narrativo, ma un preciso ricordo. Allora, nel ’45, al fondo della strada verso Quargnento, vi era la segheria e falegnameria della famiglia Maggiora. Ma il paese aveva il terrore dei tedeschi e fascisti che ancora dominavano la zona e ritornavano spesso in paese. I tedeschi avevano collocato nel triangolo Felizzano, Quargnento, Fubine, alcuni distaccamenti, depositi e batterie contraeree. A Quargnento era stata creata una polveriera. Si dovevano controllare il movimento sulla ferrovia Alessandria-Asti e gli approdi al fiume. Fenoglio parla dell’arrivo di un grosso reparto repubblichino con avanguardia tedesca. Ancora gente terrorizzata, inerme.
Così a Casale, il 15 gennaio la gente non potè fare altro che osservare, fra le persiane e le porte socchiuse per terrore, avanzare i fascisti che conducevano i partigiani della banda Tom incatenati sulla neve verso la fucilazione. A Fubine, inglesi e partigiani che entrano in paese ancora terrorizzato da fascisti e tedeschi; a Casale, partigiani catturati camminano in una città sempre nel terrore di fascisti e tedeschi.
Vennero catturati e uccisi per punire la Resistenza del Monferrato, non all’esito di un conflitto a fuoco.
Erano un gruppo di giovani, con le rispettive famiglie a contorno; interpretavano il senso popolare della rivolta al regime fascista rinato con la RSI. Fascisti e tedeschi non tardarono a colpire.
Il significato per l’oggi è uno solo: la storia vissuta non è pagina a capo, non deve essere oblio; ma pagina avanti ancora, perchè è la nostra storia, la storia del coraggio dei nostri genitori e nonni, del nostro territorio, della nostra comunità di oggi.
La nostra identità, la nostra appartenenza, la nostra cultura discendono tutte dai due anni di lotta che in Italia si fece contro la violenza personale e culturale del Fascio e della RSI, contro la permanente propaganda del regime, contro il blocco economico e sociale derivato da scelte belliche e imperiali deleterie.
Ricordare i tredici della Banda Tom ci aiuta a ridare alimento a queste convinzioni positive.
Avv. Sergio Favretto