Questa volta, un attacco terroristico che ricorda quello del 911, cioè dell’11 settembre del 2001 alle Torri gemelle di Manhattan, si è svolto per mano di Hamas a Israele, sull’uscio di casa dell’Europa, la costa meridionale del Mare Nostrum, il Mare Mediterraneo, l’uscio da cui centinaia di migliaia di immigrati, neri e arabi, entrano da decenni nei Paesi europei e vi vengono ospitati. E questo, oltre al compito di fornire aiuti umanitari ai bisognosi, palestinesi o israeliani che essi siano, impone due compiti politici all’Europa, la cui voce in Medio Oriente e Africa non è sempre ascoltata. Il primo è di condannare unanimemente i cosiddetti combattenti di Hamas, che combattenti non sono bensì carnefici, e se necessario di partecipare alla loro caccia, perché essi non rappresentano il mondo palestinese ma solo un suo movimento armato estremista, antiebraico oltre che antisraeliano, così come Al Qaida e l’Isis non rappresentarono il mondo islamico, ma soltanto una sua fanatica frangia antioccidentale e anticristiana. Il secondo compito è di evitare che Israele faccia terra bruciata di Gaza, dove il 40 per cento della popolazione di 2 milioni 300 mila persone ha meno di 14 anni, e di contribuire alla cessazione delle ostilità, perché, come ha detto il grande giornalista americano Thomas Friedman del New York Times, l’obbiettivo di Hamas e del suo sponsor principale, l’Iran, è proprio che Israele si macchi di atrocità e che distrugga la striscia palestinese di circa 49 km per 8 alienandosi i Paesi arabi moderati e l’opinione pubblica mondiale.
E’ noto a tutti che Israele e in particolare il suo premier di lungo corso Netanyahu non sono senza colpe nella semisecolare tragedia dei palestinesi, quel sogno mai realizzato di una Palestina Stato indipendente, sogno condiviso anche dall’Onu e dall’Europa. Ma molti palestinesi, soprattutto alcuni dei loro leaders, ne sono egualmente responsabili, perché votati alla distruzione dello Stato israeliano. E le reciproche accuse che le due parti si sono sempre rivolte e continuano a rivolgersi non hanno fatto e non fanno che aggravare la crisi. Nessuna di esse può negare di avere commesso crimini di guerra, fatalmente inevitabili nei conflitti più feroci. Ma questa volta a Israele Hamas ha volutamente commesso un crimine contro l’umanità, una biblica strage degli innocenti, bambini bruciati o decapitati nelle loro case, adolescenti mitragliati a un gioioso festival nel deserto, donne stuprate prese in ostaggio. Hamas ha suscitato l’orribile ricordo dell’Olocausto compiuto dai nazisti, usandone gli stessi metodi, all’esplicito fine di costringere Israele a una disumana vendetta. Una trappola in cui Netanyahu non deve cadere, perché Hamas può essere eliminato o neutralizzato come lo fu Al Qaida, senza stragi di civili.
La preoccupazione principale del mondo intero dovrebbe essere adesso di salvare vite umane, in prevalenza palestinesi data l’offensiva scatenata da Netanyahu, con i corridoi umanitari da Gaza verso l’Egitto e la Giordania, due Paesi che si sono già mostrati disponibili a ospitare i rifugiati, e di liberare gli ostaggi israeliani e stranieri di Hamas. Dall’Onu al Vaticano le massime istituzioni si stanno adoprando in tal senso, e il premier israeliano, il leader dell’opposizione Benny Gantz e il ministro della Difesa Yoav Gallant, la trojka al comando, sanno che la guerra, la sedicesima in 70 anni, e l’ottava a Gaza in 18 anni, non può degenerare in un massacro di civili né trascinarsi come quella ucraina. Netanyau ha ammonito che ogni membro di Hamas “è un uomo morto”, ma la sua leadership è discussa e in passato Israele ha dimostrato di sapere attendere il momento opportuno per regolare i conti. Due esempi: la cattura e condanna a morte del criminale nazista Eichman nel 1961, e quella dei terroristi islamici che assassinarono gli atleti israeliani alle Olimpiadi del 1972 in Germania. I tempi della vendetta e quelli della giustizia non sono gli stessi e la seconda è sempre preferibile alla prima.
Purtroppo, su questo 7 ottobre di sangue, che resterà nella storia come il 911, gran parte dell’Europa
si sta dividendo in base alle sue due opposte ideologie. Per una certa sinistra, l’attacco terroristico di
Hamas è stato come l’Intifada, la rivolta popolare palestinese della fine degli Anni Ottanta contro la repressione israeliana. Il colpevole sarebbe dunque Israele, a cui l’Occidente dovrebbe imporre di negoziare senza ricorrere alla forza, anche per la salvezza degli ostaggi, in modo che finisca per riconoscere la Palestina come uno Stato Indipendente. Al contrario, per una certa destra l’attacco terroristico di Hamas, che si impadronì di Gaza alle elezioni del 2006, è stata la prima di una serie di operazioni per spodestare l’Autorità Palestinese in Cisgiordania con cui Israele convive sia pure con difficoltà e per provocare uno stato di guerra da estendere ad altri Paesi mediorientali. Sono entrambi giudizi che verranno modificati da eventi che oggi nessuno è in grado di prevedere. E comunque una cosa è sicura: che Israele non verrà abbandonato dall’Occidente, e che durerà molto più a lungo di quanto durerà Hamas, non fosse altro perché Israele è una democrazia mentre Hamas è una dittatura.
Guardare a Gaza in fiamme come a un problema solo israelo-palestinese sarebbe però un errore. Una delle cose più importanti da appurare è come e perché Hamas abbia selvaggiamente colpito Israele proprio questo mese. Un suo dirigente, Ali Bakara, ha detto che i preparativi dell’attacco sono durati due anni, e che quando l’attacco è stato sferrato Hamas ha subito informato l’Iran e il Qatar. Un’ammissione che i due Paesi avevano finanziato e armato il terrorismo a Gaza e che continuano a farlo, ammissione che desta il sospetto che abbiano anche contribuito all’attacco a Israele con lo spionaggio, la logistica e i droni. Quanto al perché della data prescelta, la risposta è semplice. Israele da tempo sta trattando con successo con alcuni Paesi del Golfo Persico, e ha concluso i cosiddetti Accordi di Abramo con gli Emirati Arabi e il Bahrain, dove gli Stati Uniti ormeggiano la loro flotta. Quando al principio di ottobre una delegazione israeliana si è recata a Riad in Arabia Saudita per importanti colloquii, l’Iran, il Qatar e Hamas devono avere deciso di stroncare il riavvicinamento del Golfo Persico a Israele con un bagno di sangue, a monito anche dei Paesi arabi “traditori”.
Naturalmente, non è la prima volta che Stati come l’Iran muovono le pedine più pericolose dello scacchiere mediorientale in nome della jihad, la “Guerra santa islamica” contro gli infedeli. Da anni il radicalismo sciita iraniano alimenta formazioni terroristiche come Hamas, l’Isis e l’Hezbollah in Libano. Ma questa volta le muove in un contesto politico militare ed economico internazionale angosciante. L’Occidente, che già si trova alle prese con due guerre, quella dell’Ucraina e quella di Gaza, potrebbe trovarsi alle prese anche con delle guerre in Libano e in Siria, due Paesi devastati dal terrorismo e dalle guerre civili sia pure in epoche diverse, e potrebbe piombare in una crisi petrolifera ed energica più grave di quella subita di recente. C’è da chiedersi perché gli Stati Uniti e l’Europa abbiano lasciato e lascino tanto spazio in Medio Oriente all’Iran, una teocrazia spietata e militarista, rea di ogni violazione dei diritti umani, a cominciare da quelli delle donne. Nel 2010 il presidente americano Obama diede per imminente una “Primavera araba”, la conversione dei Paesi musulmani alla democrazia. Ma essa non è mai stata così lontana. Semmai il terrorismo islamico potrebbe riesplodere nelle nostre democrazie.
Il crollo dell’Urss il Natale del 1991 segnò la fine della sua Guerra fredda con gli Stati Uniti, ma non dello “Scontro di civiltà” come fece notare pochi anni dopo il politologo americano Samuel Hungtinton nel suo famoso libro. E a ragione, perché il nuovo scontro, in cui l’Europa è daccapo coinvolta, è quello tra le democrazie occidentali, governate dalla politica, e le teocrazie orientali, governate dalla religione. Attualmente, in queste ultime l’unica alternativa al radicale potere degli Ayatollah e degli Imam, che vedono dei nemici nei seguaci di qualsiasi altra fede, è il potere delle forze armate, come ha dimostrato il generale e presidente Al Sisi in Egitto imprigionando i leaders dei Fratelli musulmani. Ma un golpe o una rivolta popolare in Iran appaiono improbabili se non impossibili. Come appare improbabile, ma è pur sempre possibile, che il mondo islamico incominci a denunciare la Jihad, la Guerra Santa. Sarebbe il suo dovere morale, glielo ricordò il presidente Bush Jr. dopo il 911, quando dichiarò di ritenere colpevoli e punibili non solo i terroristi ma anche gli Stati che li sostenevano o li appoggiavano. Dispiegando una flotta con due portaerei nel Mediterraneo, il presidente Biden lo ha ribadito. La misura è per ora preventiva, un monito a Paesi all’improvviso filo Hamas come l’Algeria.
L’Occidente, che seppe dialogare con l’Urss, deve sapere dialogare anche con le teocrazie, ma da una posizione di forza non di debolezza. Per farlo, ha bisogno dell’appoggio non solo dei Paesi arabi moderati ma anche della Turchia e delle altre due superpotenze che hanno una notevole influenza sul Medio Oriente, la Russia e la Cina, tutte ostili a Israele. Il dialogo non può limitarsi ai rapporti tra israeliani e palestinesi, deve estendersi allo “Scontro di civiltà”, come ai tempi della Guerra Fredda le trattative Usa-Urss investirono spesso lontani focolai di crisi quali il Vietnam o le due Coree. L’obbiettivo deve essere la stabilizzazione del Medio Oriente innanzitutto, ma anche un più vasto ordine mondiale. Senza un dialogo, i focolai di crisi si moltiplicherebbero, e nuovi fronti si aprirebbero dopo quelli dell’Ucraina e di Gaza, i fronti della Corea del Nord e di Taiwan a esempio. Non è un caso che l’inferno di Hamas sia stato preceduto da colpi di stato e attentati terroristici in Africa. Almeno una Superpotenza, la Russia, che soffia sul fuoco, ha tutto l’interesse a mettere sempre più in difficoltà l’America e l’Europa, ma per fortuna l’altra, la Cina, a causa anche della crisi economica, ha bisogno di un mondo in pace.
A proposito della Russia: una delle conseguenze più dannose dell’8 ottobre potrebbe essere la riduzione degli aiuti militari e dei finanziamenti europei e americani all’Ucraina, allo scopo di aumentare quelli a Israele. Sarebbe un errore. Non bisogna dimenticare che, quando invase l’Ucraina, la Russia si comportò come Hamas, e va penalizzata. E bisogna prendere atto che essa si avvantaggerà del caos politico e militare e della crisi petrolifera che si sta delineando in Medio Oriente, e che porrebbe accrescere il conflitto in Ucraina, un Paese europeo che ha diritto alla piena indipendenza. Come l’Iran, la Russia deve capire che ci sono limiti al suo operato all’estero e che l’Occidente risponderà unito alle sue sfide. Il demone oggi non è l’imperialismo americano né l’ossequio europeo a esso. L’America può non piacerci, l’Unione Europea può deluderci. Ma sono il terreno dove da secoli, talora a prezzi spaventosi come le due Guerre mondiali, la democrazia avanza con i suoi diritti civili e la sua libertà di religione.
Ennio Caretto