Radunate oceaniche, milioni di persone nelle strade e nelle piazze in lutto (secondo il regime sciita), gli uomini con i turbanti neri dei discendenti dei profeti e quelli bianchi dei seguaci, le donne velate e coperte sino ai piedi da una parte, le bare verdi rosse e bianche come le bandiere sollevate in alto a mano, le grida e i pianti. Queste scene da Teheran le abbiamo viste la scorsa settimana alle esequie di cinque giorni del presidente Ebrahim Raisi e del seguito, morti nella caduta del loro elicottero al ritorno dall’Azerbaijan. Scene che ci hanno ricordato le radunate oceaniche di Hitler a Berlino e di Stalin a Mosca il secolo scorso, da un lato spontanee, di un esercito di fanatici, dall’altro forzate, di un pubblico schiavo di un potere spietato. Scene che hanno sollevato angosciosi interrogativi: chi sarà il nuovo Presidente, chi sarà il successore del leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei ormai ottantacinquenne, e soprattutto che ne sarà dell’Iran, chiamato a votare tra meno di cinquanta giorni. Interrogativi a cui per ora non si possono dare risposte.
Dittatura religiosa
Si stima che il regime, la Repubblica Islamica come è chiamata, abbia al massimo l’appoggio del venti, venticinque per cento degli elettori. Esso non rappresenta l’Iran, è una dittatura religiosa di stampo medioevale che non consente opposizione. Gli oppositori vengono imprigionati, torturati, condannati a morte. Ebrahim Raisi ne era il simbolo, nell’88-’89 diresse l’atroce Commissione che eliminò circa 30 mila dissidenti, meritandosi il titolo di “macellaio di Teheran”. Lo consideravano il successore naturale di Khamenei, ma proprio questo potrebbe essergli costato la vita. Sulla caduta del suo elicottero, un velivolo datato e difettoso, gravano infatti sospetti, e in Iran la gente discute di un complotto, non di un incidente. Parte dei complottisti ritiene che Khamenei lo abbia fatto abbattere per consegnare il potere al proprio secondogenito Mojtaba, parte invece che gli azeri e gli israeliani lo abbiano colpito con un drone. Va ricordato che gli azeri sono in debito con Israele, che li armò nella guerra con l’Armenia per il Nagorno Karabakh.
Un estremista come Presidente
Al momento, il facente funzione di Presidente a Teheran è Mohammad Mokber, legato a Khamenei e ai Pasdaran, la Guardia rivoluzionaria. Potrebbe essere lui il successore di Raisi. I riformisti e i moderati come l’ex Presidente Hassan Rohuani, l’ex capo della Camera Mohammed Ghalifad e il capo attuale Ali Larjani, che riscuotono un maggiore consenso popolare, rimarranno emarginati. Alle esequie di Raisi, Khamenei è stato chiaro: “Oh Allah, non abbiamo visto altro che bene da lui!”, ha recitato in arabo, la lingua del Corano. Il leader supremo, al comando della Repubblica Islamica dall’89, quando subentrò al suo fondatore Khomeini, vuole e avrà come Presidente un altro estremista. L’Occidente e il Medio Oriente devono rendersi conto che la situazione in Iran e nella sua sfera di influenza, che si estende dallo Yemen a Gaza, non migliorerà finché le pressioni esterne, sinora pressoché inesistenti, non faranno implodere il regime. Khamenei combatte una guerra di religione che è più che regionale.
Terroristi alle esequie
Alle esequie di Raisi non c’erano soltanto i più alti dignitari del mondo dell’Islam né delle grandi potenze alleate come la Russia (Putin ha celebrato il defunto come “un uomo straordinario”). Si vedevano anche leaders di Hamas, di Hezbollah, degli Houthi e di altre formazioni terroristiche mediorientali. Le esequie sono state un convegno delle forze più destabilizzanti dell’odierno ordine mondiale, e l’Europa ha sbagliato a manifestare, in nome del dialogo col regime, oltre al cordoglio per la morte di Raisi anche la solidarietà ai cittadini, che in stragrande maggioranza Raisi lo hanno temuto e odiato. Meglio ha fatto l’America, che ha ribadito il suo sostegno al “Popolo dell’Iran e alla sua lotta per i diritti umani e le libertà fondamentali”. Diritti e libertà quotidianamente calpestati, come ben sa la popolazione femminile, le giovani in particolari, sebbene la relativa commissione Onu sia affidata all’Iran per una di quelle inspiegabili follie politiche che caratterizzano il nostro tempo e che potremmo pagare a caro prezzo.
Il ruolo dell’Europa
Ai morti si deve rispetto e i canali di comunicazione con Teheran non debbono venire troncati, sono indispensabili come ha dimostrato l’esito pacifico della Guerra fredda tra gli Usa e l’Urss. Ma il loro utilizzo deve cambiare. L’Iran è il nemico di Israele e dell’America, entrambi “il Grande Satana”, i due alleati storici dell’Europa, e intende distruggerli tramite il terrorismo, ed è compito dell’Europa non di astenersi dalle critiche o dalle misure contro di esso ma di indurlo al riconoscimento dei diritti umani e civili, e del Diritto internazionale. Su questi punti, le istituzioni europee sono venute meno ai loro obblighi più di una volta. O hanno scelto il “lasciamo perdere” per ottenerne vantaggi economici o addirittura negli scontri tra l’Iran e l’America si sono schierati per il primo, come fecero le Corti dell’Aja nel 2012 e nel 2018. Quante altre sofferenze verranno inflitte al popolo iraniano prima che l’Occidente unito, assieme al Medio Oriente, prenda posizione contro il regime, che tra l’altro aiuta la Russia nella Guerra dell’Ucraina?
Le Corti internazionali
A proposito delle Corti dell’Aja, vale la pena di notare la diversità di due iniziative sulla Guerra di Gaza, una presa dalla Corte Internazionale di giustizia, l’altra dalla Corte Penale Internazionale, entrambe connesse alle Nazioni Unite. La prima ha condannato tutte le azioni che possono portare alla “distruzione fisica della popolazione palestinese” e ha ordinato l’apertura del valico di Rafah all’assistenza sanitaria. La seconda ha chiesto tramite Karim Ahmad Khan, il suo procuratore capo, l’incriminazione per crimini di guerra e contro l’umanità di Benjamin Netanyahu e di Yoa Gallant, il premier e il ministro della Difesa israeliani, oltre che dei tre leaders di Hamas, Yahya Sinwar, Ismail Haniyeh e Mohammed Deif. Ma tale richiesta è discutibile: Netanyahu e Gallant non hanno voluto la guerra, anzi ne stati colti impreparati. Sinwar, Haniyeh e Deif invece la hanno pianificata per anni e la hanno aperta con “la strage degli ebrei” del 7 ottobre, così la festeggiano, compiendo atrocità non più viste dalle infamie dell’Olocausto.
Pesi e misure diversi
Senza dubbio, il premier e il ministro della Difesa israeliani dovranno rispondere degli orrori della guerra ai loro elettori e ai consessi internazionali. Ma più colpevoli di loro sono i leaders di Hamas che dopo essersi impossessati del potere con la violenza e la ferocia hanno annullato i diritti e le libertà dei palestinesi sul modello di Teheran, al punto da relegare in secondo piano l’oppressione esercitata su di essi da Israele. E comunque, nel sentenziare sulla tragedia di Gaza, il procuratore capo Khan avrebbe dovuto tenere conto del ruolo dell’Iran, che ha armato, finanziato e aiutato Hamas e che continua a farlo. Khan impiegò un anno e mezzo a incriminare Putin della Guerra dell’Ucraina da lui scatenata, ma non incriminò il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu, la cui condotta non fu certamente migliore di quella di Gallant a Gaza. Significativamente, appena due mesi fa, Javail Rehman, ispettore speciale dell’Onu per l’Iran, aveva invano sollecitato l’intervento della Corte di Khan per i crimini iraniani.
Teheran e la Corte
E’ come se Teheran si sentisse immune, tanto che nel 2023 ha riconosciuto l’autorità della Corte Penale internazionale, disconosciuta invece da Israele, l’America la Russia e altri. Un segno che Khamenei è riuscito a farsi identificare da molti anche in Europa come un portatore della religione e della cultura islamiche mentre è solo l’espressione di un crudele estremismo con mire imperiali.
Guerra di religione
All’inizio degli anni Novanta, il famoso politologo Samuel Huntington profetizzò uno “Scontro di civiltà” tra l’Occidente e l’Oriente, analogo alla Guerra fredda tra gli Usa e l’Urss. Ma oggi siamo alle prese con una sanguinaria guerra di religione. L’islamismo dell’Iran è una religione di conquista e di eliminazione degli “infedeli”, di vendetta per il loro passato coloniale e il loro presunto degrado morale, non è l’islamismo non di rado conciliante dei Paesi arabi moderati. Il cristianesimo è una religione di pace e di perdono, come papa Francesco non si stanca di ripetere, che si adopra per la fine dei conflitti e per il dialogo tra le fedi.
Le Università occupate
E’ vero che storicamente il mondo cristiano si macchiò di gravi colpe, a cominciare dalle Crociate in Medio Oriente. Ma non per questo, dall’America all’Europa, esso deve porgere l’altra guancia agli Ayatollah. Al contrario, li deve isolare insieme con le sue emanazioni, Hamas, Hezbollah, Houthi e via dicendo. E’ aberrante che all’università di Torino, occupata dagli studenti filopalestinesi, l’Imam Brahim Baya possa denunciare Israele come il male ed esaltare Hamas come il bene giustificando la Jihad, la Guerra santa islamica, e quindi anche la strage del 7 ottobre. E c’e da chiedersi per quale motivo gli studenti lo ascoltino. Per sottomettersi ed espiare le colpe dell’Occidente del passato? Per mondarsi di essere cristiani e bianchi? Per abbracciare un misticismo che esige conversione dagli sconfitti e lascia loro un’unica alternativa, quella della morte? Accusare Israele di genocidio come fanno l’Iran e Hamas, ha giustamente ammonito la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto, “è una bestemmia”.
Incitamento all’odio
Certo, molti giovani italiani possono avvertire come un obbligo morale schierarsi per la Palestina e i palestinesi contro l’apartheid e la oppressione israeliane. Ma non si rendono conto che gli Ayatollah insegnano loro l’odio, non la riconciliazione, e che tentano di ottenere il loro appoggio alla Jihad? Il compito dei giovani è di migliorare il mondo, non di peggiorarlo, e il compito della politica è di aiutarli a farlo. Ma in Italia, un Paese spaccato in due tra una destra che dopo decenni cerca una rivalsa e una sinistra che si considera predestinata a governare, i giovani vengono spesso trascurati, come evidenziato dalle loro difficoltà nel trovare un lavoro, un ruolo e una identità, e come confermato dalla storia. E’ un vuoto che li spinge all’estremismo, non alla moderazione, e che ha giovato e gioverà solo a tiranni come Khamenei.
Ennio Caretto