Almeno per il momento, quanto accaduto la settimana scorsa tra Israele e l’Iran ha allontanato lo spettro di una guerra tra le due superpotenze regionali negli interi Medio Oriente e Golfo Persico, una guerra che avrebbe avuto drammatiche ripercussioni globali. L’Iran ha attaccato Israele con 300 missili e droni, in rappresaglia per la distruzione della sua ambasciata a Damasco, ma senza causare gravi danni grazie anche all’intervento delle antiaeree americane e inglese, spacciando poi il fiasco per una vittoria. E in ritorsione, una volta tanto in ossequio alle istanze dell’America e dell’Europa, Israele si è limitato a colpire il cosiddetto “Bunker fine del mondo” dei Pasdaran, la base militare e il Centro di ricerca nucleare nel cuore dell’Iran a Isfahan, “a scopo dimostrativo” ha dichiarato, non si sa con quali effetti, visto che gli Ayatollah hanno asserito che i siti “sono in totale sicurezza e non pianifichiamo una risposta immediata”. In apparenza sono segnali di de-escalation, da parte dell’Iran perché si è reso conto che in caso di guerra verrebbe sconfitto data la sua inferiorità tecnologica e bellica, e da parte di Israele perché in questo modo ha ottenuto nuovi aiuti dal Congresso Usa. Ma non si tratta di una pace fredda, che rimane lontanissima. Israele e l’Iran combattono una guerra occulta da oltre quarant’anni, e non per colpa di Israele.
Le radici della crisi
Per seguire che cosa succede nel Golfo Persico e in Medio Oriente, dove la tragedia palestinese ha sconvolto il mondo più ancora della strage degli israeliani a Gaza che ne fu il movente, occorre chiedersi a chi giovi questa crisi e quale ne sia la matrice. Concentrarsi sull’aspetto militare di essa, il più feroce dalla crisi dei Balcani trent’anni fa, più feroce della Guerra dell’Ucraina, e trascurarne l’aspetto politico è un errore che ostacola sia un armistizio sia un negoziato di pace che pongano fine al disastro umanitario in corso. E la prima constatazione da fare è questa: tutta la regione è in fiamme non tanto per i contrasti tra Israele e alcuni Paesi arabi su un futuro Stato della Palestina, ma perché l’Iran ha creato una rete terroristica per eliminare Israele e per abbattere i governi arabi moderati sunniti, innanzitutto quello dell’Arabia Saudita, la sua tradizionale rivale. L’Iran sciita si è posto anche un terzo obbiettivo: estromettere l’Occidente dalla regione tramite una coalizione che potrebbe comprendere persino la Russia e la Cina, il cosiddetto “Asse della resistenza”. Esso vuole un Medio Oriente e un Golfo Persico islamici estremisti, una sorta di impero dove persino la Mecca e Gerusalemme sarebbero sciite.
Il ruolo dell’Iran
Su che cosa si basa questa constatazione? In primo luogo, come accennato, sul fatto che l’Iran ha finanziato, armato e addestrato Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza, gli Houthi nello Yemen, la Jihad in molti altri Paesi anche in Africa e in Asia, e che continua a farlo, lasciando intendere che può scatenare, volendo, un’ondata di attentati in Europa e in America. In secondo luogo, sul fatto che l’Iran ha contribuito alla strage degli israeliani a Gaza per bloccare i negoziati in corso tra Israele e gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita, negoziati che hanno prodotto il patto segreto “Middle East Air defence” o Difesa Aerea Mediorientale. In base al patto, i Paesi arabi moderati condividono dati sensibili e usano persino l’antiaerea insieme con le potenze occidentali, come si è visto durante la pioggia di centinaia di missili e di droni iraniani a Israele, contro cui sono intervenuti appunto la Giordania, gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita. In terzo luogo, con l’aiuto della Corea del Nord e della Russia a cui fornisce droni per la guerra dell’Ucraina, l’Iran ha appena riattivato il programma nucleare e missilistico sospeso nel 2015, quando rinunciò al 97 per cento del suo uranio, chiudendo la porta alle ispezioni dei suoi impianti.
Destabilizzare i mercati petroliferi
Tutto questo, tuttavia, è insufficiente ad alterare gli attuali, precari equilibri mediorientali. Per tale motivo, l’Iran sta cercando di bloccare alcune rotte marittime nel Golfo Persico e con l’appoggio degli Houti nell’Oceano Indiano e nel Mar Rosso, e sta cercando di formare alleanze indopacifiche a suo favore e contro l’Occidente e i sunniti. Il suo scopo è di destabilizzare i mercati petroliferi e di altre cruciali materie prime, di ridurre o stroncare i commerci, di creare forti tensioni economiche e sociali nei Paesi nemici, insomma di mandare in tilt la globalizzazione, una politica gradita alla Russia, che si aspetta un calo degli aiuti Nato all’Ucraina, e alla Cina, che mira a un nuovo ordine mondiale. Naturalmente l’Occidente ha già’ preso contromisure. L’America ha formato la coalizione “Prosperity Guardian”, Guardiano della Prosperità, con altre 13 Nazioni dall’Inghilterra al Bahrein e all’Australia, e l’Italia, la Grecia, la Germania la Francia e il Belgio hanno formato il gruppo Aspides per neutralizzare le manovre iraniane. Ma intanto il traffico commerciale nel Mar Rosso è sceso del 72 per cento, e le esportazioni dal porto di Genova, per citare un caso italiano, sono diminuite del 60 per cento.
Tanti interrogativi
In un contesto del genere, come si può credere che l’Iran sia il grande difensore dei palestinesi che dice di essere, o che, quando si sentirà più forte, non entrerà in guerra con Israele? Il suo attacco a Gerusalemme, essenzialmente uno “show” o spettacolo, è la prova che strumentalizza la guerra di Gaza per i propri fini. L’attacco ha danneggiato i palestinesi, intaccando i consensi internazionali e arabi alla loro causa e rischiando di relegare in secondo piano il progetto dello Stato della Palestina. Israele viene ora criticata di meno e la sua difesa cresce d’importanza almeno per parte dei sunniti e dell’Occidente. Il ministro degli Esteri iraniano ha minacciato di usare “un’arma mai usata prima” in caso di guerra con Israele (l’atomica?) ma l’asse dei moderati ha visto quanto l’Iran sia inferiore militarmente e scientificamente all’avversario. E chi lo spalleggerebbe? La Russia, che è bloccata in Ucraina? La Cina, che ha enormi problemi economici? La lontana Corea del Nord? C’è inoltre da chiedersi se l’Iran non abbia lanciato i missili e i droni anche per ragioni interne, per dimostrare cioè agli iraniani di essere in una superpotenza e per scoraggiare l’opposizione. I suoi proclami di vittoria sono sintomatici di una dittatura.
Regime più repressivo
E infatti ultimamente il regime è diventato ancora più repressivo. Ne è un esempio la “Operazione luce” lanciata per perseguire “le donne senza velo in strada”, come Mahra Amini, assassinata nel 2022. Il suo leader Khamenei sta seguendo l’esempio di Putin, che in ha ripristinato lo stalinismo, e che alimenta il nazionalismo e la religione ortodossa per giustificare la guerra all’Ucraina. Politici così diversi come il presidente francese Macron e il leader centrista israeliano Benny Gantz, il probabile successore di Netanyahu (ma quando?), insistono che l’Iran deve venire isolato, “anche per separare il regime dal suo popolo”. Entrambi propongono di formare una Alleanza globale, nella convinzione che Teheran non rappresenti un pericolo solo per l’Occidente, il Medio Oriente e il Golfo Persico ma anche per l’Africa e l’Asia là dove l’islamismo è radicato. Un armistizio nella guerra di Gaza e l’avvio di negoziati su uno Stato della Palestina faciliterebbero la nascita di questa Alleanza globale specialmente tra i sunniti, che sono oltre l’85 per cento degli islamici, e formano la stragrande maggioranza dei Paesi moderati, mentre gli sciiti ne sono meno del 15 per cento, e dominano solo in Iran, Libano, Yemen, Siria e Pakistan.
Una guerra nell’islamismo
Ma sotto Netanyahu una svolta simile è molto difficile, perché il premier sembra agire più per rimanere al potere fino alle elezioni del 2026 che per stabilizzare la regione. Ora che i sunniti, l’Europa e l’America hanno impartito all’Iran una dura lezione, ossia che Israele non scomparirà dalla faccia della Terra, un altro leader israeliano prenderebbe la strada della pace. Netanyahu no. Ma prima o poi ciò non impedirà la nascita di una Alleanza globale contro l’Islam. Il G7, il Gruppo delle sette potenze industriali tra cui l’Italia, sta già operando in questo senso con la diplomazia e le sanzioni economiche, e a Washington il Congresso ha varato una legge punitiva della Cina per le sue importazioni di petrolio iraniano. Può darsi che per qualcuno in Italia denunciare l’operato dell’Iran equivalga a demonizzarlo e che per qualcun altro sia addirittura un invito a provocare quello “scontro di civiltà” tra l’islamismo e il cristianesimo preconizzato dal grande politologo Samuel Huntington oltre trent’anni fa. Ma se c’è una guerra di religione in corso essa è tra gli sciiti, i sostenitori di Alì, il genero di Maometto, e i sunniti, i seguaci delle tradizioni di Maometto stesso, non tra islamismo e il cristianesimo.
Perché si tace su Khamenei
La realtà è un’altra. Rifacciamoci al secolo scorso, quando il Grande destabilizzatore fu l’Urss, che per quasi cinquant’anni attentò alla pace e alla prosperità dell’Occidente, del Medio Oriente e del Golfo Persico per ragioni ideologiche e imperialistiche, e ricordiamoci che allora la frontiera più incendiaria tra i due blocchi si collocò nell’Europa centrale, in Germania e nel suo circondario. E guardiamo all’Iran per quello che è da oltre trent’anni, cioè dall’ascesa degli Ayatollah al potere, il Grande destabilizzatore delle stesse regioni per motivi fideistici ed espansionistici, prendendo atto che la frontiera più incendiaria tra i due blocchi si colloca adesso nel Mediterraneo, a Israele e in Palestina. La storia dell’Iran, la Persia esaltata dalle letterature mondiali, è una storia antica e gloriosa, ma è stata stravolta dal 1979 dall’oscurantismo di una figura medioevalistica quale il padre della rivoluzione islamica Khomeini. Con l’Iran si può negoziare solo da una posizione di forza, come avvenne con l’Urss, e si può solo adottare una politica che faccia implodere il regime, come implose il Cremlino. I palestinesi non sono l’unico popolo musulmano che deve essere liberato da un giogo, quello israeliano, lo sono anche gli iraniani, che devono essere liberati dal giogo degli Ayatollah. Perché chi dimostra contro Netanyahu non dimostra anche contro Khamenei?
Ennio Caretto