Vi sono dei momenti nei quali si avrebbe voglia di tacere per meglio riflettere, capire, pregare…. Eppure, proprio in questi momenti, non mi è consentito di tacere; la ragione, il cuore mi dicono che devo parlare per esprimere la mia vicinanza e condivisione con la mia amata città di Casale, con le famiglie che ancora una volta vengono costrette a rivivere il dolore degli atroci distacchi che la morte per amianto ha arrecato. Sono con voi, o carissimi; sono addolorato, deluso, frustrato, indignato. Nei giorni delle sentenze avevamo rinnovato la nostra fiducia nella giustizia, ora veniamo a sapere – noi poveri ingenui – che il diritto non ha nulla a che fare con la giustizia! Allora avevano ragione i latini quando dicevano summum jus summa iniuria; allora il diritto è solamente un insieme di regole che funziona in maniera autoreferenziale…, e io che credevo fosse una prassi relazionale rivolta al cittadino, ogni cittadino, tutti i cittadini… Mi torna alla mente la riflessione di uno dei più grandi giuristi italiani Francesco Carnelutti. Afferma: “…anche se si potesse conoscere il diritto senza avere un’idea della giustizia, questa sarebbe tuttavia necessaria per fare del diritto, sicché se si ammette che il diritto, scienza pratica per definizione, è un mezzo e la giustizia un fine, ne consegue che non si può fare diritto senza sapere qual sia il fine di quel fare. Per questo un giurista il quale non sappia, o almeno non cerchi di sapere cos’è la giustizia, è come una che cammina con gli occhi bendati…”. E ricordo anche una frase di S. Agostino che papa Benedetto XVI° citò davanti al Parlamento tedesco: “Remota iustitia (tolta di mezzo la giustizia) cosa sono gli Stati se non società di ladroni?”. Vale a dire che è necessario che il diritto si conformi alla giustizia. Se poi queste riflessioni non piacciono perché fatte da cristiani, eccone una che viene da Gustavo Zagrebelsky: “…una volta che la dimensione della giustizia penetri nella definizione del diritto occorre che, con questa, la legge positiva faccia debitamente i conti…”.
Ancora una volta siamo chiamati ad essere solidali, comunità solidale che condivide e si impegna e non permette che l’unione venga incrinata; ancora una volta ci stringiamo a quanti hanno vissuto e vivono il tremendo mistero della sofferenza; ancora una volta tutti invito ad una preghiera unanime e corale.
+ Alceste Catella, vescovo