L’11 marzo il “Corriere della Sera” ha pubblicato un editoriale dello storico Ernesto Galli della Loggia su cui tutti noi occidentali, e in particolare le élite istituzionali, politiche, economiche, tecnologiche, scientifiche, culturali e mediatiche che nelle nostre socialdemocrazie ci governano e amministrano e che condizionano le nostre esistenze, dovremmo profondamente riflettere. Nel suo editoriale, Galli della Loggia, un maestro del pensiero del centro sinistra storico italiano, ha accusato le élite di avere abbandonato negli ultimi due o tre decenni i nostri valori e principi e di avere abbracciato in nome del progresso quello che battezza “il nuovismo”, ossia “ogni novità, ogni rottura dei costumi, ogni abiura delle tradizioni”. La loro sfida ai modelli che ci hanno guidati per mezzo secolo, dalla fine della Seconda guerra mondiale a quasi il 2000, e che avrebbero dovuto difendere, ha ammonito lo storico, “ha mutato radicalmente il volto ideologico e culturale delle nostre società”. Oggi le masse si sentono “escluse dalle scelte unilaterali e arroganti delle élite e vittime delle loro mode e dei loro tic” e cominciano a ribellarsi. In America, ha concluso Galli della Loggia, esse hanno eletto Trump presidente perché si è presentato come il loro vendicatore, e qualcosa di analogo potrebbe accadere anche in Europa.
Accecati dall’ideologia
Sospetto che nelle nostre élite i leaders più a sinistra rimproverino allo storico di essersi schierato con il vicepresidente americano Vance, ferocemente ostile al “nuovismo”, che il mese scorso in Germania ci ha accusato di avere tradito i valori occidentali. Ma se lo fanno, è perché interpretano la loro ideologia non come una dottrina politica e in quanto tale fallibile, bensì come una fede e quindi infallibile, e perché vedono un nemico in quanti non l’accettino. Sono accecati al punto da non capire che loro, e non Galli della Loggia, assomigliano a Vance, con l’unica differenza che si collocano sul versante opposto. Infatti, come Trump e Vance, si ritengono destinati al monopolio del potere. Galli della Loggia ha assolutamente ragione e non dubito che nelle nostre élite qualcuno se ne renda conto ma sinora quasi nessuno ha mai assunto iniziative per combattere questa deriva, dando spazio a una revisione. Anziché ridursi, è cosi’ aumentato il divario tra la maggioranza dei cittadini da una parte e molti leaders delle istituzioni e dei partiti, molti oligarchi e tecnocrati, molti intellettuali e “influencer” o creatori di opinione dall’altra. In Europa si criticano molto il populismo e il sovranismo o nazionalismo, ma non poche Nazioni europee che passano per democrazie sono in realtà dei regimi e non soltanto da un anno o due.
Il culto della diversità
Il “nuovismo” denunciato da Galli della Loggia è l’equivalente del “woke” americano, il risveglio dei diversi, termine che include qualsiasi minoranza, qualsiasi condotta, qualsiasi deviazione, forse anche sovversione. Lo definirei il culto della diversità, poggiante sul principio che la diversità ci arricchisce sempre e comunque, principio errato dato che non ogni diversità è legale o costruttiva, e anzi può essere criminale e distruttiva. Il culto della diversità è propagandato come apertura a un futuro più giusto per l’umanità e in parte è vero: la diversità dei migranti a esempio va tutelata, anche se a volte il loro rifiuto di integrarsi, non il nostro di integrarli, genera tensioni e violenza. Ma chi obbietta al culto della diversità perché comporta cambiamenti drammatici e improvvisi nella morale, nei metodi di nascita e di morte, nelle famiglie, nella solidarietà, nell’istruzione, insomma nell’intero tessuto sociale, viene giudicato politicamente scorretto. Siamo oltre al conformismo, ai confini del “pensiero unico”, ossia del pericolo più grave per la democrazia, che sfiorisce se privata del dissenso e del confronto tra le parti. Ne cito un eccesso: in molte università americane è vietato distinguere tra “he” (lui) e “she” (lei) e poiché nella lingua inglese non c’e’ il “voi”, per includere tutti i generi si usa “they” (loro) per l’uno e per l’altra.
La felicità si allontana
Parliamo dell’Italia, un Paese dove i cittadini sono assillati dai problemi del lavoro, del costo della vita, dei migranti, della sicurezza nelle case e nelle strade, della malasanità, dei femminicidi, della violenza giovanile, la corruzione, e via di seguito. Nell’elenco dei Paesi più felici al mondo, l’Italia, tempio delle arti invidiata da molti altri popoli, figura al trentesimo posto, e in un decennio mezzo milione tra i nostri figli migliori la hanno lasciata. Eppure le nostre élite, quelle di centro sinistra in primis, sembrano anteporre il culto della diversità alle istanze degli elettori, e non c’è giorno che la rabbia popolare non esploda, sia contro infermieri e medici senza colpe in ospedali sovraccarichi di malati, sia contro gli insegnanti più preparati nelle scuole, sia contro i carabinieri e i poliziotti, non di rado da parte dei diversi. Troppi italiani e migranti, italianizzati o no, accampano diritti e rifiutano doveri, e negli incidenti e nelle controversie ciascuno racconta “la sua verità”, come se la verità non fosse un concetto assoluto, e ne esistessero tre, una mia, una tua e una sua. Le voci dei Pontefici, voci della ragione oltre che della fede, risuonano spesso nel deserto, come accadde a Benedetto XVI quando denunciò il relativismo dilagante e come accade a Francesco I quando richiama le nostre élite a fare fronte alle proprie responsabilità.
Un Paese sconosciuto
Al mio rientro in patria nel 2011, dopo cinquant’anni all’estero, di cui gli ultimi trentacinque negli Usa, mi trovai in un’Italia a me sconosciuta. Ero partito da un Paese dove due forze politiche, la Dc e il Pc, si scontravano duramente ma miravano al bene comune e dove la gente si nutriva d’impegno e di speranze, e lo ritrovavo sì socialmente progredito ma politicamente in frammenti, e sfiduciato, iroso, spaventato. Mi chiesi dove fossero finiti i grandi del passato, e me lo chiedo tuttora, da Moro a Berlinguer e le loro élite, una domanda a cui non seppi e non so rispondere. In America, malgrado i forti squilibri sociali e i tentativi degli oligarchi e dei finanzieri di esautorare lo Stato, questo vuoto angosciante non s’era formato, le élite avevano assolto al loro compito, facilitate dall’alternanza tra i suoi due partiti che da sempre costituisce le fondamenta della sua democrazia. Nel corso del mio soggiorno Usa tre Presidenti democratici, Carter, Clinton e Obama, e tre repubblicani, Reagan, Bush Sr. e Bush Jr., s’erano insediati alla Casa Bianca rendendo il Paese più prospero e potente. Ma ciò che più mi colpì tornando fu la constatazione che l’Italia era monoculturale, in stridente contrasto con il multietnismo e il multiculturalismo americani.
Le cose non sono cambiate
E’ una situazione che constato anche oggi. Quasi ovunque, anche nelle élite che non dovrebbero essere politicizzate ma che lo sono e fin troppo, dalla magistratura all’accademia, dall’editoria ai social, addirittura dal mondo dello spettacolo al mondo dello sport, prevale una cultura di sinistra a parole aperta ma di fatto chiusa al dialogo, che si ritiene la sola capace di innovare e migliorare il sistema Italia e che sovente liquida qualsiasi contestazione come neofascismo. Per queste nostre élite la diversità da celebrare è esclusivamente quella dei loro compagni di viaggio, mentre gli altri diversi, dai conservatori ai religiosi, vanno emarginati, come si avverte nei dibattiti, si vede alle televisioni, si sente alle radio e si legge sui giornali. C’è da chiedersi come possano sorprendersi se le destre, adesso che hanno assunto il potere, si comportino alla stessa maniera e cerchino di regolare i conti, uno sbaglio anche da parte loro perché, ripeto, su questa strada rischiamo di imbatterci pure noi in un Trump. Il risveglio di cui l’Italia ha bisogno non è il nuovismo o woke, è il risveglio delle coscienze e della consapevolezza della nostra identità in chi ci guida, dell’amore per il nostro Paese e dello spirito di sacrificio per il suo avvenire.
L’esempio venga dall’alto
Come esiste un “american dream”, un sogno americano, così può esistere un sogno italiano, basta che le nostre élite se lo propongano e si dedichino a realizzarlo. Lo fecero già dal 1945 in avanti, con politiche pragmatiche che trasformarono l’Italia sconfitta e semidistrutta nella settima potenza industriale al mondo. L’esempio deve venire dalla premier Meloni e dalla segretaria del Pd Schlein, le prime donne a coprire così alte cariche, Meloni con le necessarie riforme ma nel rispetto della Costituzione e Schlein offrendo appoggio al governo ove doveroso secondo la “bipartisanship” il bipartitismo Usa invece di dire quotidianamente alla premier che cosa deve fare. Entrambe tengano inoltre presente in che cosa consiste la vera diversità. Il diverso non è chi non è eterosessuale né chi è nero di colore né chi è mentalmente infermo. Sono tutte persone come noi. Il vero diverso è chi ha fame e non ha da mangiare, chi ha freddo e non ha da vestire, chi è ammalato e non può curarsi, chi ha subito una tragedia famigliare e non ha nessuno a cui rivolgersi, e così via. E’ a loro che noi tutti e le nostre élite dobbiamo provvedere, ce lo hanno insegnato il cuore e la ragione, le religioni e gli statisti fino dall’antichità. Non dimentichiamo che le civiltà o inciviltà che hanno abbandonato questa strada, leTorri di Babele, si sono sempre autodistrutte.
Ennio Caretto