Carissimi, martedì 19 marzo ho avuto il dono di poter partecipare, a Roma, alla celebrazione eucaristica di inaugurazione del servizio di Vescovo di Roma, successore di Pietro presieduta da Papa Francesco. E, come mi ero impegnato a fare, vi ho davvero portati tutti nel cuore; ho pregato insieme con tutti voi; con voi mi sono commosso; con voi ho ascoltato con attenzione la Parola di Dio e l’omelia che il Papa ha tenuto aiutandoci ad entrare nel significato profondo di quanto là, su quel “sagrato del mondo” che è piazza S. Pietro, stava avvenendo. Papa Francesco ha posto il suo cuore innamorato di Gesù, il suo cuore di pastore umile e fidente accanto al nostro cuore e ha detto parole che voglio condividere con voi. Quattro parole mi sembra rendano preziosa per tutti l’omelia che Papa Francesco ha tenuto. Si tratta di quattro termini incastonati in un discorso dalla luminosa semplicità.
La prima è la parola “custodia”. Il Papa l’ha spiegata riferendosi al ruolo di San Giuseppe in rapporto a Maria e Gesù: egli ne è il “custode” ed “esercita questa custodia con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende”. Custodire vuol dire stare accanto agli altri con attenzione d’amore, prevedendo, provvedendo, rispettando e accogliendo l’altrui cammino nella profondità del cuore e della vita. Giuseppe custodisce la santa famiglia, e il suo atteggiamento diventa modello di altre “custodie”, cui siamo tutti chiamati: la “custodia” del creato, quella del prossimo, quella del Dio venuto fra noi e per noi. “Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!”. Lo sguardo di questo umanissimo Papa si allarga qui all’intera famiglia umana: “La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene”.
Proprio così l’idea del custodire rimanda a un secondo termine usato da Papa Francesco: la “tenerezza”. Questa significa non semplicemente l’atto del donare, ma il dare con gioia che suscita gioia. Chi dando crea dipendenze, non è libero e non rende liberi. Chi dona con gioia e rende l’altro felice del dono e consapevole che ogni dono è un reciproco scambio di bene, rende l’umanità più vera, più serena, più bella per tutti. “Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza… Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!…
Anche il Papa deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli”. E’ il volto di una Chiesa amica degli uomini che si affaccia, non della cittadella fortificata preoccupata di difendere i bastioni, ma del lievito nella pasta, del sale della terra e della luce del mondo, donati per il bene dell’intera famiglia umana.
S’illumina così anche il senso della terza parola dell’omelia di Papa Francesco che vorrei sottolineare: “servizio”.“Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce”. Servire è dare la vita per gli altri, come ha fatto Gesù. Servire è ritenere il bene di tutti più importante di ogni possibile interesse di parte, fino a dimenticarsi di sé. Servo dei servi di Dio, il Vescovo di Roma fa appello a tutti e a ciascuno, per condividere con tutti la responsabilità, la sfida, la promessa e la gioia del servizio. Non è un sovrano, ma un servo, un amico, qualcuno a cui guardare con fiducia, liberi da ogni paura, certi di essere rispettati e accolti sempre, comunque.
Giungiamo così all’ultima delle quattro parole che ho voluto ricordare della bellissima omelia di Papa Francesco: la “speranza”. Il servizio del vescovo di Roma tende precisamente a questo: “far risplendere la stella della speranza”. È convinzione dell’attuale Successore di Pietro che potrà riuscirci chiunque saprà custodire “con amore ciò che Dio ci ha donato!”.
Carissimi, rendiamo grazie a Dio! La barca di Pietro ha un timoniere umile e forte, tenero e fermo: a tutti l’invito a navigare con lui sui mari della vita e della storia, anche quando essi si annunciano tempestosi, non solo sperando, ma anche organizzando la speranza, e organizzandola insieme per la forza di un servizio fatto di tenerezza e di custodia, rivolto a ciascuno, accogliente per tutti.
+ Alceste Catella, vescovo