CASALE – Su La Vita Casalese ho affrontato il tema della possibilità di erogazioni liberali a favore della parrocchia a sostegno di progetti di restauro, redatti secondo la normativa vigente e dotati delle opportune autorizzazioni, e sul ruolo delle Soprintendenze non solo come organi di tutela e di autorizzazione ma anche come erogatori delle certificazioni ai fini della detrazione fiscale. Sull’argomento ecco ora un’intervista a Erminio Romussi, economo diocesano ma anche collaboratore parrocchiale di Valmacca.
Dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 42/2005 che specifica in modo inequivocabile la possibilità alle parrocchie di essere beneficiari di offerte liberali, quanto o da quando nella nostra Diocesi si è utilizzata questa modalità?
“Per molti anni non si sono fatte! In primis perché non c’era conoscenza di questa possibilità legislativa e, in seguito, perché, almeno da noi in Piemonte, nelle autorizzazioni rilasciate dalla Soprintendenza non sempre è inserita la formula prevista per queste agevolazioni. Anche di recente, in alcune pratiche arrivate a distanza di poco tempo una dall’altra, in alcune mancava. Ovviamente è possibile richiedere tale dichiarazione come documento aggiuntivo, ma occorre ricontattare la Soprintendenza, tramite l’Ufficio Beni Culturali; a mia memoria, la Soprintendenza provvede con un passaggio semplice e abbastanza solerte, ma occorre che sia richiesto da parte delle parrocchie, e questo purtroppo non sempre avviene”.
Avverte, a livello parrocchiale, un problema di comunicazione e di informazione su queste procedure?
“Sicuramente sì! L’informazione è fondamentale ad esempio sulla precisa dicitura per la presentazione di un’istanza di ‘attestazione di necessità di intervento ai fini della concessione di agevolazione tributarie’ per le domande alla Soprintendenza, sulla necessità non solo dell’approvazione del computo metrico ma anche dell’indicazione del numero di pratica ad esso relativa da indicarsi della richiesta di deduzione e nell’elenco dei donatori che il parroco invia alla Soprintendenza e all’Agenzia delle Entrate. Occorre fare formazione e dare informazioni ai laici e collaboratori. È anche alzare il tetto di deduzione che al momento non può superare i 1032 euro (ma questo non dipende da noi..)”.
Come economo diocesano ma soprattutto come collaboratore pastorale che cosa pensa di questa perdita di affezione nei confronti della chiesa e della parrocchia e quale visione o suggerimento ha per far riscoprire il senso di appartenenza alla comunità parrocchiale e suscitare il senso di responsabilità nei confronti di questa realtà così in difficoltà?
“Rispondo raccontando una mia esperienza personale. Diversi anni fa il vescovo (allora mons. Zaccheo), a seguito della malattia del mio parroco, mi affidò l’incarico di collaboratore pastorale. Aprendo gli armadi dei vari locali avevo ritrovato gli arredi sacri in uno stato pietoso, la parrocchia aveva qualche difficoltà, ma decisi comunque di restaurarli; lo feci con questo sistema: ne facevo restaurare qualcuno e quando era restaurato lo portavo in chiesa, lo facevo vedere indicando con un biglietto la cifra spesa, ma senza chiedere nulla a nessuno: ho sempre trovato nelle offerte il corrispettivo necessario. Gli arredi sacri così recuperati e restaurati sono poi stati schedati nella campagna di catalogazione della Cei. Trasparenza e comunicazione pagano sempre! Ci sono stati anche donatori che volevano restare anonimi e che si sono sentiti rassicurati, che hanno avuto fiducia sul mantenimento della riservatezza, una fiducia acquisita in tanti anni di relazione nel paese, nella comunità. Altre due parole guida: disponibilità e relazione. I sacerdoti che, incaricati di più parrocchie, ormai corrono da una chiesa all’altra con i minuti contati del tempo di trasferimento tra una messa e l’altra, non fanno più la ‘pastorale del sagrato’, una cosa semplice ma importante: accogliere le persone all’arrivo e salutarle, scambiare due parole all’uscita. La relazione è fondamentale e lo sperimento ogni giorno in parrocchia, rendendomi disponibile, visitando gli ammalati e portando la comunione. Occorre fare o meglio vivere la pastorale della relazione. Se le persone si sentono accolte, allora sì che si sentono di appartenere a una comunità”.
L’esperienza di collaboratore pastorale aiuta o consola l’economo diocesano che si confronta quotidianamente con bilanci difficili, le difficoltà nel sostenere così tante chiese, la drastica diminuzione delle firme dell’8xmille?
“Come collaboratore pastorale spingo molto sullo sponsorizzare ‘Uniti per il dono’, una forma di donazione liberale a sostegno dell’Istituto per il Sostentamento del Clero: faccio avere a tutti il bollettino e tutti rispondono. Esco, vado incontro, e le persone danno riscontro. Ritorniamo alla pastorale della relazione citata prima. La disaffezione alla Chiesa ha portato, tra le varie cose, alla crisi delle firme a favore della Chiesa cattolica; questo scollamento tra le persone e la Chiesa , connotato di sfiducia e negativo, parte dalla perdita di relazione. E come economo ricordo che questa firma non costa nulla di più al firmatario, ma che la Chiesa a livello economico si regge sull’8xmille. Anche Sovvenire è una forma di sostegno, basato sulla firma di un modello che non costa nulla, ma occorre informare le persone e comunicare cosa rappresenta. Nella mia parrocchia, quando ricevo dall’Incaricato diocesano (Aldo Fara) le buste, le compilo e le distribuisco ai parrocchiani”.
Riassumendo in pochissime parole la ricetta per una comunità viva e i conti tranquilli?
“Disponibilità, incontro, relazione, comunicazione, trasparenza”.
Manuela Meni