La scontata rielezione di Putin a presidente della Russia, scontata al punto da indurre due noti politologi americani a parlare di “Putinismo eterno”, ossia di un sistema di potere che sopravviverà anche alla sua morte, ha accresciuto il pericolo di una guerra in Europa, pericolo denunciato a più riprese da papa Francesco, purtroppo inutilmente. Ci soffermeremo più avanti su quanto accaduto a Mosca, San Pietroburgo e altrove perché era fin troppo chiaro che la maggioranza dei voti sarebbe andata a Putin, nonostante la protesta popolare, le lunghe code di mezzogiorno alle urne chieste dalla vedova del dissidente Alexei Navalny, assassinato di recente, e perché comunque Putin aveva già giocato le sue carte, aggravando le tensioni con la Nato. Quello che urge adesso è che la Nato, e quindi l’Europa da un lato e l’America dall’altro, adotti le misure necessarie a prevenire una guerra che dilaghi fuori dall’Ucraina e che potrebbe degenerare in una guerra atomica. Ciò comporta non arrendersi al Putinismo ma contenerlo con il negoziato da una posizione di forza, come Nato fece con lo Stalinismo.
Un pericolo realistico
Fino a qualche mese fa, il pericolo di una guerra europea appariva remoto, e chi gridava a una Terza guerra mondiale appariva insensato. Ma le ultime dichiarazioni e iniziative di Putin, dovute, bisogna ammettere, anche alla debolezza militare dell’Ucraina e alla debolezza politica del fronte antirussso in Europa e in America, lo hanno reso realistico e gli allarmisti non hanno ora tutti i torti. Putin ha persuaso una parte dei russi che la guerra con l’Ucraina è giusta e patriottica e che una guerra con la Nato sarebbe la Seconda Grande Guerra contro il nazifascismo. Ha installato in Bielorussia missili in grado di colpire Varsavia e Stoccolma. Ha inoltre assunto una posizione molto ambigua sul ricorso alle atomiche tattiche, ora prospettandolo ora smentendolo. E si è dimostrato disposto a trattative ma quando esse gli sono state proposte le ha rifiutate. Non c’è dubbio che annuncerà di peggio e passerà tra ulteriori alti e bassi in vista delle imminenti elezioni in Europa e di quelle di novembre in America.
Le mosse di Putin a Nord…
Le mosse dello zar che più hanno accresciuto il timore di una guerra europea sono quelle nei Paesi baltici e scandinavi a Nord, e in Moldavia e in Georgia a Sud. Putin, che ha portato la produzione bellica alle stelle in Russia, ha annunciato che manderà truppe con armi pesanti ai confini con la Finlandia, colpevole di essere entrata a fare parte della Nato quasi un anno fa. E ha aumentato le interferenze e le pressioni di ogni tipo, dallo spionaggio all’hackeraggio, sulla Estonia, la Lituania e la Lettonia, un tempo Repubbliche sovietiche, ma da anni membri anche esse della Nato. L’Estonia, dove il suo servizio segreto ha recentemente ferito a martellate il vice di Alexei Navalny, peraltro senza riuscire a ucciderlo, sembra il suo primo bersaglio. Va osservato che la capitale finlandese Helsinki e quella estone Tallin sono situate una di fronte all’altra e rapidamente raggiungibili da San Pietroburgo via aerea, via mare e via terra.
… e le mosse a Sud
In Moldavia, Putin ha spinto la regione autonoma filorussa della Transnistria e in Georgia le regioni autonome filorusse della Abkhazia e della Ossezia per Sud al confronto con i governi moldavo e georgiano per giustificare un suo eventuale massiccio intervento militare. Il Congresso dei deputati della popolo della Transnistria ha appena votato a favore dell’adesione alla Russia, e la capitale della regione autonoma, Tirasol, si trova a soli 100 km da Odessa, la splendida città ucraina sul Mar Nero. In Moldavia vi è un’altra minuscola regione autonoma, la Gagauzia, che si è dichiarata al 99 per cento contro la Nato e all’80 per cento contro l’Unione Europea. In Georgia, poi, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud sono presidiate dalle truppe russe, periodicamente coinvolte in scontri armati. In altre parole, Putin ha posto le premesse per rivendicare in futuro il controllo anche di queste ex Repubbliche sovietiche e del Mar Nero.
Iniziative in Asia Centrale
Ma negli ultimi mesi il nuovo Zar non si è limitato a destabilizzare ulteriormente l’Europa, ha assunto inquietanti iniziative anche in Asia Centrale, e in particolare in Iran, a cui l’America ha chiesto di porre fine al terrorismo Houthi nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso. Dopo avere stretto un’alleanza con la Corea del Nord, Putin sta tenendo esercitazioni navali congiunte con l’Iran e con la Cina proprio in quelle acque, e ha fornito a Teheran un miliardo e mezzo di dollari circa per la costruzione di una ferrovia che gli consenta di arrivare ai porti dell’Oceano indiano. Putin sfida così Washington, oltre che in Medio Oriente, dove fa perno sulla Siria, anche in nazioni asiatiche come il Pakistan e come l’India, presumibilmente con il consenso del presidente cinese Xi Jinping. Allo stesso tempo, cerca di rimettere piede in Nazioni come l’Azerbaijan, che ha smesso di collaborare con l’America e che minaccia l’Armenia.
Il ruolo della Nato
Mentre contenere il “Putinismo eterno” in Asia non è compito della Nato, contenerlo in Europa lo è, perché, come accennato, l’alternativa è o la resa dell’Ucraina o la guerra tra la Nato e la Russia. Ma su come farlo, a differenza dell’America i Paesi europei membri dell’Alleanza Atlantica non sono d’accordo tra di loro. Forse, se l’Inghilterra non fosse uscita dall’Ue, un evento che rese più facile a Putin l’invasione dell’Ucraina, i dissensi sarebbero minori. Ma al momento, si va dal monito del presidente francese Macron che prima o poi la Nato dovrà mandare truppe a Kiev al rifiuto del cancelliere tedesco Scholz di fornire a Kiev i missili Taurus, capaci di arrivare a Mosca. E’ vero che la settimana scorsa Macron e Scholz hanno raggiunto un compromesso, quello di fornire armi, munizioni e altri aiuti all’Ucraina per evitare che venga presto sconfitta. Ma è una misura che nel migliore dei casi prolungherà solo il conflitto.
L’ipotesi delle pressioni su Zelensky
I disaccordi all’interno della Nato nascono da due diverse analisi degli obbiettivi di Putin. C’è chi ritiene che se la Nato premesse sul presidente ucraino Zelensky e proponesse a Putin di tenersi la Crimea e parte del Donbass, ma senza un riconoscimento internazionale, questi firmerebbe un armistizio. Più o meno, lo hanno suggerito il Santo Padre, lo scomparso re della diplomazia Henry Kissinger e altri leaders politici mondiali. Ma i loro critici obbiettano che un accordo del genere premierebbe l’aggressione russa, lascerebbe in un limbo l’Ucraina che nel conflitto sta pagando un orribile prezzo in vite umane, e più tardi consentirebbe a Putin di invadere sia la Moldavia sia la Georgia, se non anche di attaccare i Paesi Baltici e la Polonia. Concedendo allo zar di vincere la Guerra dell’Ucraina la Nato creerebbe un pericoloso precedente. Non a caso, uno degli oppositori di Putin a Mosca, Boris Nadezdhin, squalificato dalle elezioni perché alla testa di un ampio movimento, ma tra i primi a votare a mezzogiorno domenica scorsa, ha ammonito che lo zar “vuole formare un’Unione Russia Ucraina e Bielorussia”.
L’ipotesi di un intervento Nato
L’analisi opposta si basa sulla convinzione che se la Nato intervenisse, Putin, purché non venisse umiliato, scenderebbe a patti. Lo zar non userebbe atomiche tattiche per due motivi. Il primo è la superiorità nucleare americana sulla Russia e il fatto che l’America ha praticamente sulle frontiere russe missili in grado di colpire Mosca in meno di 5 minuti, mentre i missili russi impiegherebbero 25 minuti per raggiungere Washington. Il secondo motivo, reso pù’ plausibile dalla protesta di mezzogiorno alle elezioni e dall’hackeraggio sistematico del voto elettronico, il più truffaldino a disposizione di Putin, è che egli sta perdendo gradualmente il consenso popolare sia sulla Guerra dell’Ucraina sia sulla repressione interna in Russia. I fautori dei metodi forti per fermare il nuovo Zar osservano che di lui si può dire di tutto, ma non che sia un politico suicida pronto all’olocausto atomico. A loro parere Putin, che intende passare alla storia come un altro Pietro il Grande, non si esporrebbe al rischio di una sconfitta.
L’incognita della guerra atomica
La prova che Putin è consapevole che una guerra europea potrebbe ritorcersi a suo danno, e che quindi gli conviene evitarla, sta nei suoi crescenti tentativi di spaccare la Nato e l’Ue in due e nel suo crescente regime di terrore interno. Putin, già appoggiato da governi di estrema destra come quello di Orban in Ungheria, corteggia l’Italia, la Germania e gli altri Paesi che gli paiono esitanti o indecisi nei suoi confronti. E ha già estinto, con una serie di arresti che non terminerà presto, il mezzogiorno di fuoco della protesta elettorale contro di lui. Ma non è certo che ottenga i risultati voluti. Secondo Michael Kimmage e Maria Lipman, gli autori de il “Putinismo eterno”, egli ha convinto la maggioranza dei russi di essere l’unico che puòdare loro sicurezza e pace, e i russi non riuscirebbero a immaginare un futuro senza di lui. Ma così fece Hitler con in tedeschi, e fece Stalin, finché non furono travolti dalla guerra.
Il ruolo di Nato e Ue
In conclusione, visto anche che le sanzioni economiche sono servite a poco o niente, è necessario che la Nato e l’Ue diano una dimostrazione di unità e forza non solo militare ma anche diplomatica e che costringano Putin a sedersi al tavolo delle trattative. Come ai tempi della Guerra fredda l’Urss dovette dialogare con l’America, così oggi la Russia deve dialogare con l’Europa. La solidarietà europea con l’Ucraina va consolidata e manifestata anche dal pubblico, che protesta più contro Israele a favore dei palestinesi che contro la Russia. Dal 6 al 9 giugno prossimo si terranno le elezioni parlamentari europee e il 5 novembre si terranno le elezioni presidenziali americane. Si può solo sperare che il voto a Bruxelles e a Washington sia chiaramente anti Putin. Un voto cioè che porti l’Ue a varare una politica di difesa e un poderoso riarmo, e che porti l’America a rendere la Nato più potente. Se l’Ue tergiversasse e se la Casa Bianca andasse al filo putiniano Donald Trump sarebbe la fine dell’Ucraina, e sarebbe il ritorno ai tragici nazionalismi europei degli Anni Trenta dello scorso secolo.
Ennio Caretto