E’ bastata una settimana, la settimana dei cento decreti, una bordata senza precedenti nella storia americana, a farci capire che la seconda presidenza Trump, inaugurata il 20 scorso, sarà ancora più pericolosa della prima, quella dal gennaio 2017 al gennaio 2021. E per tutti, per la superpotenza e per il suo popolo, per noi europei loro alleati, “sleali, molto sleali” secondo Trump, per i loro vicini di casa, per i loro avversari, per i Paesi terzi, insomma per il mondo intero. Il Presidente Usa più controverso da un secolo a questa parte ha stabilito che l’attuale e, ammettiamolo pure, precario ordine creato da tutti i suoi quattordici predecessori dopo la Seconda guerra mondiale vada subito demolito. Il motivo? Non perché voglia trasformare l’America in un impero, non venga mai detto, nel suo linguaggio sarebbe una “fake news”, disinformazione, ma perché, ha spiegato, l’America è stata dissanguata e continua a esserlo sia dal di dentro sia dal di fuori, e per renderla “great again”, di nuovo grande, è necessario che le sanguisughe la paghino, e la paghino cara. Trump ha elencato i parassiti di cui a suo parere l’America è vittima: dal di dentro sono i migranti, i diversi, i radicali, i verdi, i media, persino le istituzioni come la Sanità e la Giustizia, e dal di fuori sono innanzitutto la Nato e la Ue, poi il Canada, il Messico, la Cina e gli altri colossi emergenti, ma non la Russia del suo “amico” Putin, che ha dichiarato di essere “pronto a parlare con lui” e forse lo ha già fatto. Vi metterò tutti al vostro posto, proprio tutti, ha avvertito Trump.
“Uomo della pace”
Fortuna vuole che il pericolo che noi europei e il mondo intero corriamo sotto Trump “master of the universe”, padrone dell’universo, sia solo economico e sociale e non militare. Bisogna riconoscergli infatti che sta cercando di passare alla storia come il Presidente americano della pace a Gaza e in Ucraina, della stabilizzazione del Medio Oriente e dell’Europa dell’Est e, perché no?, dell’Estremo Oriente dalle due Coree a Taiwan. Ha inoltre in programma una riduzione degli armamenti atomici e trattati che vietano la nascita di nuove potenze nucleari. Lo abbiamo visto all’opera con Israele e Hamas, nonché con l’Iran e Hezbollah, che hanno abbassato frettolosamente la cresta, e lo vedremo presto anche con la Russia e l’Ucraina e la loro “stupida, ridicola guerra” come la ha chiamata. Con zelo eccessivo, la corte dello zar al Cremlino ha reagito alla sua critica definendolo “un teppista”, ma Putin ha presto rettificato il tiro: “Se Trump fosse stato rieletto Presidente nel 20020, se non gli avessero rubato la vittoria, forse non sarebbe esplosa la crisi ucraina”. Trump ha contraccambiato: “E’ colpa anche del petrolio, se l’Arabia Saudita e il cartello dell’Opec ne riducessero i prezzi questa guerra finirebbe all’istante”. Prepariamoci dunque a una velata sconfitta di Zelensky “che non è un angelo” e che scomparirebbe, e a un’Ucraina priva di fette del proprio territorio, esclusa dalla Nato e neutrale. A Washington bisbigliano che gli emissari di Trump sono già l lavoro in varie capitali perché il Presidente aspira al premio Nobel per la pace.
Pericolo sociale ed economico
Il pericolo sociale ed economico che gli americani, noi europei e molti altri popoli correremo sarà però grave. Prendiamo gli americani. Trump non solo deporta in manette i migranti clandestini ed estende il muro alle frontiere con il Messico, dove ha ammassato migliaia di soldati. Dopo avere graziato i golpisti del 2020 e avere purgato molti alti funzionari del ministero della Giustizia e della polizia da lui accusati di averlo perseguitato, ha incominciato a demolire i diritti civili, cancellando lo “ius soli”, ripristinando la pena di morte per i reati federali, abolendo le norme “Dei”, acronimo di diversità, eguaglianza, inclusione, sospendendo i finanziamenti per la ricerca medico sanitaria e la pubblicazione dei dati sulle malattie e le epidemie, smantellando a poco a poco la Fema, l’agenzia della Protezione civile, e via di seguito. E si è fatto beffe dell’ecologia bloccando l’energia eolica, riprendendo a trivellare per il petrolio, riaprendo le miniere di carbone, minacciando addirittura di non aiutare Los Angeles a riprendersi dallo spaventoso incendio delle settimane scorse. Altrettanto oscurantista è la “trumpnomics” o politica economica. Trump ha giurato di stroncare l’inflazione, il peggiore male dell’America, ma se imporrà davvero dazi fino al 25 per cento sulle importazioni dall’estero, anche di materie prime, saliranno alle stelle altresì i prezzi dei prodotti americani. Il Presidente che intende guidare il Paese alla terra promessa, Marte, rischia di riportarlo socialmente ed economicamente al Medioevo intaccandone la democrazia.
Un approccio medioevale
Qualcosa di medioevale, in realtà, c’è pure nell’approccio di Trump agli alleati. I toni con cui ha ribadito a Panama che si riapproprierà del canale e alla Danimarca che comprerà (o occuperà?) la sua regione autonoma della Groenlandia sono quelli dell’imperatore ai sudditi o del barone feudale ai vassalli. E, per parlare chiaro, i moniti all’Ue sanno di ricatto. Smettete di tassare i giganti come Apple e Google, sono americani e perciò intoccabili. Venite a investire e produrre da noi, comprate le auto che vi pare, soprattutto le nostre, tanto il green è il passato, e comprate il nostro gas naturale liquefatto o vi imporremo dazi tali da ridurre in briciole il vostro attivo commerciale. Versate il 5 per cento del vostro Pil alla Nato, da cui comunque ritiro il 20 per cento dei nostri soldati, e pagate per la ricostruzione dell’Ucraina. Identico è il linguaggio che Trump adopera con le organizzazioni internazionali per giustificare l’uscita dell’America da quella della sanità e forse anche da quella dei commerci. Dell’Onu sinora non ha parlato al momento in cui scrivo, ma è facile immaginare che non voglia frequentarla e che il suo sogno sia di chiuderla. La sua strategia è chiara, è la strategia del “divide et impera”: negoziare solo bilateralmente con i singoli Stati, che significa presentare loro i suoi diktat o ultimatum se sono deboli, e isolarli se sono forti, come potrebbe accadere alla Cina su cui non ha ancora sparato ad alzo zero, l’unica vera rivale.
No a Trumpland
Chiediamoci dunque cosa dovrebbe fare il mondo per evitare di diventare Trumpland, la terra di Trump e dei suoi tecno-oligarchi, i portatori di “nuove frontiere” che non hanno nulla a che vedere con quelle kennediane e che sarebbero governate da macchine intelligenti di cui essi avrebbero il monopolio. Gli americani ce lo stanno indicando. Ben 22 Stati dell’Unione su 50 si sono opposti al decreto contro lo “jus soli”, giudicato incostituzionale da una Corte d’appello federale, e nel primo sondaggio sui migranti la maggioranza dei cittadini ha deprecato la separazione delle loro famiglie e il ricorso ai militari. Vescovi cattolici e protestanti hanno criticato il “manifesto restauratore”, come è stato battezzato il discorso inaugurale di Trump, e il Congresso, sebbene in mano ai repubblicani, il suo partito, ha bocciato la sua nomina a ministro di un impresentabile. Infine, nonostante il trauma subito alle urne, i democratici, battuti con un più 1,5 per cento dei voti popolari, preparano già la rivincita alle elezioni congressuali del novembre 2027, rivincita possibile se non probabile in un Paese che preferisce sempre un potere diviso, cioè un Presidente di destra e un congresso di sinistra o viceversa. Sono tutti indizi che Trump dovrà dialogare e confrontarsi con una opposizione solida, come accadde nel suo primo mandato quando fu assai più guardingo di oggi. E’ la strada che anche il mondo deve imboccare e che può dare buoni risultati perché, checché dica Trump, l’America ha bisogno dei suoi partners attuali, non di nuovi nemici.
Europa sempre più divisa
Per vari motivi, noi europei siamo in una posizione particolarmente delicata. Le sinistre considerano Trump un dittatore o un gangster, come hanno scritto alcuni media, le destre un appoggio o un aiuto nella loro incipiente ascesa. I relativi governi sono pertanto su posizioni così opposte che l’Unione europea rischia di sfaldarsi, ma ciò ci renderebbe irrilevanti. L’Ue deve consolidarsi nella speranza di potere diventare l’ago della bilancia nella inevitabile sfida tra l’America e la Cina, sfida di cui le rivendicazioni di Trump sul canale di Panama e sulla Groenlandia sono i prodromi. Il Presidente Usa vuole il canale perché i suoi porti d’ingresso e di uscita vengono gestiti da società cinesi e vuole la Groenlandia perché essa controlla le strategiche rotte artiche e possiede indispensabili materie prime. L’incubo di George Bush Jr., che occupò la Casa Bianca dal gennaio 2001 al gennaio 2009, fu “l’intrusione” della Russia in Europa con la nascita di un asse Mosca-Berlino. Forse Trump non lo confesserà, ma probabilmente il suo incubo è l’intrusione della Cina in Europa con la nascita di un asse Pechino-Berlino, e se manterrà i buoni rapporti del suo primo mandato con Putin sarà anche in funzione anticinese. Trump non può fare a meno dell’Europa e sa che la Russia si ritiene europea e cristiana, malgrado gli attuali contrasti con l’Ue sull’Ucraina. E’ presumibile che la nostra premier Giorgia Meloni, scelta da Trump come interlocutrice privilegiata, ne sia consapevole e che insieme ad altri leader europei agisca di conseguenza.
Anticorpi forti
Senza dubbio, Trump ci riserva altre sgradite sorprese, ma l’America è la più antica e radicata democrazia del mondo, ricca di anticorpi contro i golpe, gli isolazionismi e le autarchie. Trump la potrà danneggiare ma non soffocare, e sarà lo stesso nel resto del mondo. Toccherà tuttavia anche noi fare sì che il trumpismo sia solo una parentesi.
Ennio Caretto