Pace nella terra della pace. «Per la pace ci vuole coraggio, molto più che per la guerra. I nostri figli sono stanchi e sfiniti dai conflitti. Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il Maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla. È nostro dovere far sì che il sacrificio delle vittime della violenza non sia vano».
L’«Invocazione per la pace», momento storico e immagine indelebile nel vespero della solennità di Pentecoste, domenica 8 giugno, Anno del Signore 2014, 10 Silvan 5774 (calendario ebraico), 9 Shaban 1435 (calendario musulmano). Papa Francesco tra i presidenti israeliano Shimon Peres e palestinese Mahmoud Abbas, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e il custode di Terra Santa Pierbattista Pizzaballa. Le invocazioni salgono al Cielo nelle diverse lingue con l’unico obiettivo: la pace. Scrive Francesco nel tweet di domenica 8 giugno: «Chiedo a tutte le persone di buona volontà di unirsi a noi nella preghiera per la pace in Medio Oriente».
Francesco invoca da Dio la pace e al tempo stesso richiama le responsabilità di coloro che possono far ripartire i negoziati.
I Giardini Vaticani sono stati scelti perché privi di simboli religiosi che potrebbero turbare i supplicanti di religione non cristiana. Nel giardino triangolare accanto alla Casina Pio IV la cerimonia è breve e intensa, con momenti distinti di preghiera delle fedi in ordine cronologico: ebraica, cristiana, musulmana. Preghiere suddivise in tre parti: 1) espressione di lode a Dio per il dono della creazione e perché ha creato uomini e donne membri di un’unica famiglia; 2) richiesta di perdono per i peccati contro Dio e contro il prossimo; 3) invocazione a Dio affinché conceda la pace in Terra Santa e renda tutti costruttori di pace.
Canta il rabbino David Rosen: «Creatore di tutte le cose, sia Tua volontà porre fine alla guerra e allo spargimento di sangue nel mondo. Fa’ che non ci siano divisioni fra i popoli, neppure nel loro cuore. Fa’ che nessuno di noi mai disonori alcuno sulla terra, grande o piccolo, e che davvero possiamo meritare di rispettare il comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso”».
La preghiera cristiana prende a prestito le parole della «preghiera semplice» di San Francesco d’Assisi ed è pronunciata in arabo: «O Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace. Dove è odio, fa’ ch’io porti l’amore, Dove è offesa, ch’io porti il perdono… Benedici la Terra Santa, affinché da quella Terra benedetta la pace possa giungere fino ai confini del mondo».
La preghiera musulmana: «Donaci, o Dio, sicurezza, pace, tranquillità e fede, per noi e per la nostra gente, le nostre famiglie, per tutta l’umanità, per tutte le nazioni e per tutte le creature della tua grande creazione. O Dio, porta la pace nella terra della pace, rimuovi l’ingiustizia dagli oppressi in questa terra, nutri il tuo popolo che ha fame, e proteggilo dalla paura, tienilo lontano dal male e da coloro che commettono il male, dagli aggressori iniqui».
Papa Francesco ringrazia i due presidenti: «Spero che questo incontro sia l’inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide». Ringrazia «il venerato fratello Bartolomeo, una presenza che è un grande dono e un prezioso sostegno». Ricorda che tante persone in tutto il mondo si sono unite nella preghiera, «appartenenti a diverse culture, patrie, lingue e religioni». La Cei ha indetto per domenica 8 giugno una preghiera in tutte le chiese italiane.
Nel suo breve saluto Papa Bergoglio insiste sull’idea tutta biblica della responsabilità di tramandare alle generazioni future quanto si è ricevuto dagli antenati: «Il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino. Molti, troppi di questi figli sono caduti vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. È nostro dovere far sì che il loro sacrificio non sia vano. Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo».
Ancora la storia «ci insegna che le nostre sole forze non bastano. Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il Maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla. Per questo siamo qui, perché sappiamo e crediamo che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Non rinunciamo alle nostre responsabilità, ma invochiamo Dio come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli. La spirale dell’odio e della violenza va spezzata con una sola parola: “fratello”. Ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un unico Padre». Conclude invocando Dio: «Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: “mai più la guerra!”; “con la guerra tutto è distrutto!”. E che dal cuore di ogni uomo siano bandite queste parole: divisione, odio, guerra!».
Il novantenne israeliano Shimon Peres – che da martedì 10 giugno non è più presiedente d’Israele: fu eletto il 13 giugno 2007 – ringrazia Francesco per questo «invito eccezionale». Ricorda che «la Città Santa di Gerusalemme è il cuore pulsante del popolo ebraico». Riconosce che il Papa durante la visita in Terra Santa, il 24-26 maggio, «ci ha toccato con il calore del suo cuore, la sincerità delle sue intenzioni, la sua modestia, la sua gentilezza. Lei ha toccato i cuori della gente, indipendentemente dalla sua fede e nazionalità. Lei si è presentato come un costruttore di ponti di fratellanza e di pace. Noi tutti abbiamo bisogno dell’ispirazione che accompagna il suo carattere e il suo cammino».
Nel 1994 due israeliani, il primo ministro Yatzhak Rabin e il ministro degli Esteri Shimon Peres, e il palestinese Yasser Arafat, capo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) furono insigniti del Premio Nobel per la pace in seguito all’accordo sul Medio Oriente – «Dichiarazione dei principi riguardanti progetti di auto-governo ad interim» o «Dichiarazione di principi» – conclusi a Oslo capitale della Norveglia il 20 agosto 1993 e firmati a Washington il 13 settembre 1993. Rabin fu assassinato la sera del 4 novembre 1995 in una piazza (ora piazza Rabin) di Tel Aviv, al termine di una manifestazione di appoggio agli accordi di Oslo: l’assassino, Ygal Amir, un sionista di destra che contestava strenuamente la firma dei trattati.
Vent’anni dopo quei fatti, Peres constata: «Due popoli, gli israeliani e i palestinesi, desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali. La pace non viene facilmente. Noi dobbiamo adoperarci con tutte le nostre forze per raggiungerla e per raggiungerla presto. Anche se ciò richiede sacrifici o compromessi. E anche quando sembra lontana, dobbiamo perseguirla per renderla più vicina. E se noi perseguiamo la pace con perseveranza e con fede, noi la raggiungeremo. E possiamo, insieme e ora israeliani e palestinesi, trasformare la nostra nobile visione in una realtà di benessere e prosperità. È in nostro potere portare la pace ai nostri figli. Questo è il nostro dovere, la missione santa dei genitori».
Anche il presidente palestinese Mahmūd Abbās – più conosciuto come Abu Mazen, dal nome del primogenito – ringrazia il Papa per l’invito e per la visita in Terra Santa, «e specificamente nella nostra città santa Gerusalemme e a Betlemme». Esclama: «O Dio del cielo e della terra, accetta la mia preghiera per la realizzazione della verità, della pace e della giustizia nella mia patria la Palestina, nella regione, e nel mondo intero. Ti supplico, o Signore, di rendere il futuro del nostro popolo prospero e promettente, con libertà in uno Stato sovrano e indipendente. Concedi, o Signore, alla nostra regione e al suo popolo sicurezza, salvezza e stabilità. Salva la nostra città benedetta Gerusalemme».
Il presidente palestinese ricorda le parole di San Giovanni Paolo II: «Se la pace si realizza a Gerusalemme, la pace sarà testimoniata nel mondo intero». E conclude: «Ti chiediamo, Signore, la pace nella Terra Santa, Palestina, e Gerusalemme insieme con il suo popolo. Noi ti chiediamo di rendere la Palestina e Gerusalemme in particolare una terra sicura per tutti i credenti, donaci sicurezza e salvezza, e allevia la sofferenza del mio popolo nella patria e nella diaspora. Noi desideriamo la pace per noi e i nostri vicini». Poi piantano tre ulivi, lasciano il giardino ed entrano nella Casina Pio IV per un momento insieme.
Il sole al tramonto illumina il Cupolone di San Pietro. Si conclude la domenica di Pentecoste. Il processo di pace in Terra Santa può ripartire.
Pier Giuseppe Accornero