Dopo il Niger, il Gabon. Dal 2021, i colpi di Stato in Africa paiono susseguirsi senza interruzione, soprattutto nella “Francafrica”, l’ex Africa francese su cui Parigi puntava per accrescere, non solo mantenere, la propria influenza nel cosiddetto Continente nero. Negli ultimi due anni si sono contati nove golpe, per tacere delle perenni guerre interne in Paesi come il Sudan e l’Etiopia, delle continue lotte contro il terrorismo jihadista in altri Paesi quali la Nigeria, dove il Boko Haram (letteralmente: “L’istruzione occidentale è sacrilega”) si macchia delle stragi più efferate, e come la Somalia, dove Al Shabaad (“Il partito dei giovani”) lo imita spietatamente, nonché dei frequenti conflitti in Congo, nello Zimbabwe e via di seguito. Spargimenti di sangue che hanno reso e rendono ancora più tragica la già disperata condizione di carestia, siccità, povertà, epidemie in cui versano la maggioranza dei 54 Stati Africani, nell’incuria a malapena mascherata delle grandi potenze. Non a caso, all’inizio di quest’anno papa Francesco portò nel Congo e nel Sudan un messaggio di pace, invocando l’aiuto delle istituzioni internazionali e dell’Occidente.
E’ noto perché con poche, modeste eccezioni come quella del Sud Africa, troppi Stati africani versino in tali condizioni. Le cause vanno dalle storiche discordie tribali, a volte sanguinose, al crudele sfruttamento coloniale del passato; dall’impossibilità di sfruttare molte risorse naturali alla corruzione dilagante; dagli odi tra le dinastie al potere alla crescita delle mafie. Tutti abbiamo visto le traumatiche immagini di bambini scheletrici morenti nelle braccia delle madri e di cadaveri di adulti orrendamente mutilati. Ma la disperata condizione dell’Africa subsahariana è anche dovuta alla contesa tra la Cina, la Russia e l’America per il controllo politico del Continente Nero e per la fruizione del suo petrolio, del suo oro e dei suoi minerali. La Cina, la Russia e l’America investono e concedono prestiti all’Africa, ma non principalmente per il suo sviluppo sociale ed economico. La Cina ha trasformato gli Stati africani da essa aiutati in suoi debitori, di fatto in suoi dipendenti. La Russia ha mandato a combattere in alcuni Paesi i mercenari della Wagner. E l’America ha badato a trarre profitti dai suoi finanziamenti. In questo contesto gli aiuti di istituzioni internazionali come il Fondo Monetario e la Banca mondiale sono risultati inadeguati.
E l’Europa? Per noi europei, italiani in testa, l’Africa è il continente dell’immigrazione selvaggia che ogni anno fa migliaia di vittime nel Mediterraneo, una tragedia umanitaria che è la vergogna della nostra civiltà. Oppure è una terra esotica dalle infinite attrattive, come le sue incredibili bellezze naturali, le crociere, i safari, la caccia agli animali più famosi, anche dove essa è proibita. O ancora è un mondo a sé, dove si possono installare industrie inquinanti, sfiancare le maestranze ed evitare controlli. Ma l’Africa è molto più di questo. E’ un continente con quasi 1 miliardo e 400 milioni di esseri umani, tanti quanti o più degli abitanti della Cina o dell’India, ma assai meno stabile di esse perché é un crogiolo di razze, religioni, tradizioni, interessi spesso divergenti. In Africa esistono democrazie e teocrazie, dittature e monarchie con cui non è facile negoziare, sebbene siano tutte confluite nell’Unione Africana. L’Europa, che l’ha colonizzata e ha sovrapposto le proprie lingue e culture a quelle locali, dovrebbe essere il suo primo interlocutore e il suo principale sostenitore, glielo impone la geografia stessa.
L’Europa è ben più vicina al Continente Nero che non la Cina, la Russia e l’America, e ciò la espone all’attuale immigrazione di massa che non sa gestire, alle ripercussioni dei golpe e delle rivoluzioni che non può prevenire, alle carenze improvvise delle materie prime alla progressiva distruzione dell’ambiente. Volente o nolente, in casi estremi la sua vicinanza e i suoi legami con l’Africa rischiano se non di destabilizzarla almeno di condizionarla, anche perché la politica africana della Cina e della Russia è diretta a emarginarla dal continente. Bastano pochi dati a dimostrarlo. Nel primo decennio del secolo, gli scambi tra l’Africa e l’Asia (guidata dalla Cina, dall’India e dalla Corea del Sud) sono aumentati quasi del duemila per cento. E nel 2013 Pechino ha riattivato con notevole successo la Belt and Road Initiative o BRI, la mitica Via della seta dell’età precoloniale, sottoscritta altresì da Paesi europei come l’Italia. Ciò nonostante, sinora l’Europa non è riuscita a reagire con vigore all’offensiva cinese e russa.
Il motivo è che l’Unione Europea non ha una solida politica africana. Sì, le ex potenze coloniali come l’Inghilterra collaborano con le ex colonie, e l’Unione Europea si coordina con l’Unione Africana: nel 2022 ha messo a punto con essa il “Partenariato rinnovato”, che prevede l’erogazione di 150 miliardi di euro di aiuti in sette anni, e mesi fa ha tenuto un vertice di due giorni a Bruxelles per dimostrarle di essere “il partner più affidabile”. Ma molti africani sospettano che più che dalla volontà di aiutarli essa sia mossa dal desiderio di contenere la Cina e la Russia, e molti altri non le perdonano i suoi trascorsi imperiali. L’Africa minaccia di diventare il più grave fiasco di politica estera dell’Europa. Eppure sin dagli anni Sessanta gli esperti ci avevano ammoniti che il Continente Nero con le sue fonti di energia e con gli altri tesori naturali avrebbe generato un confronto sui propri territori tra Oriente e Occidente. L’Oriente, che storicamente aveva commerciato con esso dal Medioevo, li ha ascoltati, l’Occidente no.
Vale la pena di ricordare come la Russia e la Cina siano penetrate in Africa, precedendo gli Stati Uniti oltre che l’Europa. La Russia vi entrò con le armi negli anni Settanta, tentando di insediarsi tra gli altri Paesi in Angola e in Mozambico con l’aiuto di Cuba, scatenando una guerra civile quasi trentennale (in suo appoggio, Castro vi inviò le proprie truppe). Al tempo stesso, spacciando il comunismo per anti imperialismo, e fornendo aiuti finanziari e militari ai “partiti fratelli”, Mosca instaurò in Africa regimi antieuropei e antiamericani. La caduta dell’Unione Sovietica pose fine al suo espansionismo, e dopo il 2000 Putin cambiò strategia, abbandonando le ideologie e l’impiego della forza. Lo zar si avvicinò all’Unione Africana e cercò di assumere la leadership dei Brics (acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), le potenze in via di sviluppo, il gruppo alternativo a quello delle potenze occidentali, a cui si sono appena aggiunti l’Iran e l’Arabia Saudita. Un progetto ambizioso, di organismi che Mosca vorrebbe usare anche come alleati nel conflitto con l’Ucraina.
Il responso dell’Africa è stato tuttavia negativo. Al vertice del 2019 con la Russia l’Unione Africana aveva mandato 43 Capi di Stato, a quello di quest’anno a San Pietroburgo ne ha mandati 17. Di più Il leader del Sud Africa, Ramaphosa, reduce da una visita a Kiev, ha perorato la pace con l’Ucraina e quando Putin ha promesso cereali ai Paesi africani più bisognosi ha chiesto che prima sia riaperto a tutti il passaggio del Mar Nero. In altre parole, parte dell’Africa ha segnalato a Mosca di diffidare della sua politica e dei suoi obbiettivi. Significativamente, l’Unione Africana si è dimostrata più disponibile a collaborare con gli Stati Uniti: 44 dei suoi 54 Capi di Stato hanno infatti partecipato al vertice con il presidente americano Biden. Può darsi che il declino dell’influenza russa sull’Africa sia solo temporaneo, ma come l’America dà segno di volerne approfittare, così l’Europa dovrebbe assumere quante più iniziative possibili per diventare davvero il socio più affidabile del Continente Nero e non lasciare che si riduca a un feudo cinese, non fosse altro perché il suo futuro dipende dalla stabilità dell’area del Mediterraneo.
La Cina corteggia l’Africa dalla fine degli anni Sessanta. Fu con il voto dei Paesi africani all’Onu che essa prese il posto di Taiwan al Consiglio di Sicurezza nel 1971, una svolta storica. E fu con la “diplomazia dello Yuan”, più pragmatica di quella americana del dollaro, che incominciò a dotare il Continente Nero delle necessarie infrastrutture, ferrovie, impianti ecc., dandole non solo prestiti ma anche personale specializzato e tecnologie. Grazie a Pechino, buona parte dell’Africa prese a svilupparsi, sia pure lentamente, senza sentirsi sfruttata, al contrario di quando accadde con gli Stati Uniti, anche perché Pechino si astenne per lo più dall’interferirvi politicamente. L’Africa ripagò la Cina fornendole petrolio e altre materie prime, ma dovette indebitarsi enormemente nei suoi confronti. Il rapporto di reciproca fiducia divenne tuttavia tale che nel 2003 venne codificato nel Focam (il Foro della cooperazione sino africana). Da quel momento, non passò anno senza che l’allora ministro degli esteri cinese Wang Yi non visitasse gli Stati africani più importanti. Tra il 2014 e il 2020 lo stesso grande leader Xi Jinping si recò in Africa dieci volte. La Cina aprì persino una base militare a Gibuti, la sua prima base all’estero.
Il presidente americano che più avvertì la necessità di dialogare con l’Africa e con la Cina, ancor prima che con l’Europa e la Russia, fu Barack Obama, il primo presidente americano afroamericano (il padre era kenyota). Obama concepì il progetto della “Primavera Araba”, cioè della conversione dell’Islam alla democrazia di stampo occidentale, e definì la Cina “il pivot”, il giocatore di riferimento sullo scacchiere della politica estera, usando un termine della pallacanestro, il suo sport preferito. Ma fallì su entrambi i fronti. L’Africa islamica si radicalizzò ulteriormente, e il dialogo con la Cina non diede frutti. L’America e l’Europa, costrette nel frattempo a un confronto sempre più aspro con la Russia, riscontrarono una svolta negativa per l’Occidente nel Nord Africa quando, nel 2014, il Paese arabo più importante, l’Egitto, formò un “Partenariato strategico” con la Cina. Oggi l’Egitto è uno dei giganti africani che vuole entrare nei Brics. Un altro è la Nigeria. Sono indizi che le spinte antioccidentali nel Continente Nero possono crescere, e il sogno di Putin e Xi di un “Nuovo ordine mondiale” a favore dell’Oriente potrebbe concretizzarsi.
Ultimamente, la Cina ha ridotto l’attività in Africa per varie ragioni, dalle difficoltà economiche interne all’impossibilità degli Stati africani di saldare i loro debiti. Ma il “boom” commerciale cinese nel Continente Nero continua. Pechino inoltre ha intensificato la cooperazione militare e culturale: nel 2021, ad esempio, le importazioni di armi della Nigeria sono state il 35 per cento dalla Cina e solo il 3 per cento dagli Stati Uniti (va però notato che nell’intera Africa la Russia precede entrambe in questo campo). E’ ora che l’Europa cerchi di prendere il sopravvento sulla Russia e la Cina nel Continente Nero. E come? Adoprandosi per soddisfare i bisogni africani primari, dando all’Africa subsahariana, l’area più delicata, strutture igieniche e sanitarie, elettricità, acqua, ecc., tutte cose che mancano a quasi i due terzi della popolazione. E combattendo i cambiamenti climatici e le crisi economiche con tempestività e senza risparmio di mezzi.
Quella di creare posti di lavoro, di migliorare le condizioni di vita, di accrescere l’istruzione e i diritti civili negli Stati africani è una delle massime sfide di politica estera per noi europei. E’ una missione umanitaria e insieme un investimento redditizio che salverebbe decine, forse centinaia di migliaia di vite, quelle dei migranti incluse.
Ennio Caretto