E’ il 30 novembre del 1991, un mese prima del crollo finale dell’Urss, le cui quindici Repubbliche in Europa e in Asia si stanno staccando dal Cremlino. Da Washington il Presidente americano Bush sr. telefona a Mosca a Eltsin, il Presidente della Russia, l’uomo forte che prenderà il posto dell’ultimo leader sovietico Gorbaciov. L’Ucraina ha appena rivendicato la totale indipendenza e Bush vuole informare Eltsin che la appoggia, a patto che l’Ucraina si denuclearizzi. Eltsin gli risponde di essere d’accordo ma a sua volta avanza a Bush una richiesta: che Mosca e Washington si alleino contro l’estremismo islamico. In Russia pochi mesi prima la Cecenia si è proclamata indipendente e si sono verificati scontri armati, e nelle ex Repubbliche sovietiche asiatiche si sono fatti strada i fondamentalisti e i terroristi. “Non dobbiamo chiudere gli occhi” ammonisce Eltsin, ricordando a Bush che nel 1989 le forze russe sono state cacciate dall’Afganistan. Ma il Presidente americano rifiuta, e lo stesso farà il successore Clinton l’anno dopo, quando Eltsin gli proporrà “operazioni congiunte” nella guerra al terrorismo.
Il prezzo della mancata intesa
Nei dieci, quindici anni successivi l’America e la Russia pagheranno a carissimo prezzo questa mancata intesa. L’America specialmente con le stragi delle sue due ambasciate in Kenya e Tanzania del 1998 e con la tragedia delle Torri Gemelle di Manhattan del 2001. La Russia soprattutto con le due feroci guerre cecene e la strage del Teatro Dubrovka a Mosca del 2002, nonché con gli orrori della scuola di Beslam nella Ossezia del Nord del 2004, in cui morirono oltre 300 persone di cui 186 bambini. Ma mentre tali atroci lezioni spingeranno tutti i Presidenti americani di questo secolo, da Bush jr. a Obama e da Trump a Biden, a preavvertire Mosca di possibili attacchi terroristici, in Russia e altrove, come l’ultimo al Teatro Crocus, il Presidente a vita russo Putin ne farà tesoro solo nel trienno della sua iniziale luna di miele con Washington. Dopo, sarà lui a rifiutare di combattere assieme a essa la guerra contro il terrorismo, o per convenienza, ad esempio in Medio Oriente dove cercherà di ridurre la supremazia americana, o a secondi fini, ad esempio per vincere la guerra dell’Ucraina.
Il ruolo dell’Fsb
Sulla strage del Crocus a Mosca è stato scritto, detto e telemostrato di tutto sia da parte dei putiniani russi e dei filoputiniani stranieri, italiani inclusi, sia da parte degli americani e dei loro alleati. Ma con una differenza sostanziale: che putiniani e compagni hanno presentato l’attentato al Crocus come un complotto ucraino e anglo americano, cioè come un motivo in più per obliterare l’Ucraina (non scordiamo quanto Putin disse a Bush jr. nel 2008: “L’Ucraina non è nemmeno una Nazione”), mentre l’Occidente lo ha descritto per quello che è stato, un’ennesima strage di “infedeli” da parte della jihad islamica, per la quale anche la Russia fa parte del mondo occidentale e cristiano, come vedremo tra poco. Se nella strage del Crocus c’è qualcosa di misterioso e di sinistro esso riguarda non i suoi autori, definiti killers prezzolati anziché jihadisti, ma la condotta dell’Fsb, il Servizio federale di sicurezza russo, erede del Kgb, la polizia politica sovietica, intervenuto in inspiegabile ritardo, e incapace di fermare i jihadisti in fuga verso la Bielorussia, come evidenziato dal leader bielorusso Lukashenko.
La Russia cristiana
Per analizzare l’accaduto al Crocus, ripeto, occorre rendersi conto che la jihad islamica, la quale è formata non da una ma da molte decine diverse di gruppi terroristici, considera la Russia un Paese cristiano, membro dell’Europa, sebbene contenga alcune regioni musulmane come la Cecenia, non un Paese islamico membro dell’Asia o del Medio Oriente. Lo stesso Putin, che adesso denuncia l’Occidente come un mostro, ha sempre visto la Russia come una nazione europea, anzi come il bastione del cristianesimo in Oriente, e nella sua scalata al potere a Mosca ha sempre puntato sul nazionalismo e sulla religione ortodossa russa. E’ bene inoltre ricordare che l’Isis o Stato Islamico aveva un sanguinoso conto da regolare con lui, perché dal 2015 al 2018 Putin ne aveva distrutto le postazioni in Siria e in Iraq per mantenere il Presidente siriano Assan al potere. L’Isis, che allora controllava un territorio vasto quanto l’Inghilterra e che si era macchiato di orribili atrocità, finì per scomparire, come Al Qaeda prima di esso, dopo che nel 2019 l’America uccise il suo leader Abu Bakr Al Baghdadi.
L’avvertimento ignorato
E’ impossibile appurare perché all’inizio del mese scorso Putin abbia ignorato l’avvertimento americano di un attacco terroristico a un concerto a Mosca, avvertimento preciso, bollandolo come “propaganda occidentale”. Una delle ipotesi è che sperasse di sventarlo, o di limitarne la gravità se avesse veramente avuto luogo, in modo da poterlo attribuire all’Ucraina, la sua ossessione, come poi ha fatto. Un’altra è che l’Fsb, che sinora si è distinto solo per la crudeltà della repressione dei dissidenti russi, non abbia trovato conferma dell’attacco. Ma Putin sapeva dell’esistenza dell’Isis-K, cosiddetto dal Khorosan, una terra mitica pakistana e afgana, della sua attività terroristica, e della occulta presenza in Russia di suoi combattenti, taluni dei quali giunti anni prima dalla Siria e l’Iraq. Come sapeva che l’Isis-K si annidava nell’Afghanistan, dove guidava la guerriglia contro i talebani, ritenuti troppo moderati, e dove aveva attaccato l’ambasciata del Pakistan, e che aveva seguaci nelle ex Repubbliche sovietiche del Tagikistan e dell’Uzbekistan. Putin non poteva essere impreparato ad attentati jihadisti.
Perché l’ambiguità di Putin?
L’ambiguità di Putin sulla strage del Cocrus (“sì sono stati i tagiki, ma ad addestrarli e armarli sono stati gli ucraini gli inglesi e gli americani”) solleva il sospetto che ora egli voglia fare dell’Occidente il nemico comune della Russia e dei Paesi islamici e fare della jihad un alleato contro di esso. La formazione di un asse simile gli consentirebbe di destabilizzare l’Unione europea, dove le cellule terroristiche dormenti sono numerose, e in Medio Oriente, dove non dormono mai. A Putin non mancherebbero giustificazioni per questo disegno: il New York Times ha appena rivelato che da un decennio la Cia, lo spionaggio Usa, è massicciamente presente in Ucraina, proprio ai confini con la Russia, con personale e armi micidiali, a conferma che l’espansione della Nato a Est era ed è diretta contro il Cremlino, come è presente in molte regioni islamiche. L’asse non sarebbe malvisto da qualche Paese musulmano e nemmeno da qualcuno dei Brics, i giganti emergenti, con l’eccezione forse della Cina, che non desidera alleanze pericolose e che ha bisogno di stabilità. L’Occidente deve tenerne conto.
Conflitto a una svolta
Difficilmente tuttavia Putin riuscirà a raggiungere questo obbiettivo. E’ più facile che egli ottenga i risultati voluti in Ucraina se l’America e l’Europa non forniranno maggiori aiuti a essa. La guerra è a una svolta, e l’Occidente non può perderla facendo concessioni al Cremlino. Le minacce di Putin alla Nato, i suoi accenni al ricorso all’atomica sono un bluff. In oltre due anni Mosca non ha saputo piegare Kiev, e se affrontasse Washington e Bruxelles verrebbe sconfitta. Putin è consapevole della superiorità tecnologica dell’Occidente anche in campo militare, e della impossibilità di trascinare la Russia nella Terza guerra mondiale, E’ ovvio che nei prossimi mesi si scatenerà contro l’Ucraina, ma se verrà fermato dovrà negoziare. L’unica soluzione del conflitto è la pace, una pace che riapra anche il dialogo tra la Russia da un lato e l’America e l’Unione Europea dall’altro. Probabilmente è questo che ha in mente papa Francesco quando esorta i combattenti all’armistizio. Che appartenga o no all’Occidente, la Russia è obbligata come esso a risolvere il problema del jihadismo, il più grave del Terzo millennio. Basta guardare la disumanità di quanto accade a Israele e in Palestina per capirlo.
I crimini dell’Isis-K
Soffermiamoci un momento sull’Isis-K. Come Hamas, come Hezbollah, come gli Houthi e come i gruppi che li hanno preceduti esso è un prodotto di quel fondamentalismo islamico, purtroppo in crescita, temuto da Eltsin, che divide l’umanità in fedeli e infedeli. I non islamici sono infedeli, e in quanto tali vanno eliminati “senza pietà”, e i fedeli che non lo fanno vanno puniti. L’Isis-K segue questa dottrina alla lettera. I media occidentali lo hanno trascurato, ma dal 2021, dal massacro degli afgani che all’aeroporto di Kabul tentavano di fuggire con gli americani, l’Isis-K ha commesso una serie di crimini efferati, dall’Iran all’India e alla Thailandia, uccidendo migliaia di persone, In quella che potrebbe divenire una guerra civile, il regime talebano ha giustiziato otto dei suoi leaders, ma ha perso il controllo di una parte della regione di Kandahar. La Cia riferisce che l’Isis-K ha reclutato mujaheddin non soltanto nelle ex Repubbliche asiatiche sovietiche ma anche in Turchia e in Medio Oriente e in Europa, innanzitutto in Germania e in Olanda. L’Europa deve stare attenta: nel 2025 si celebreranno l’Anno santo a Roma e nel 2024 le Olimpiadi a Parigi, entrambi possibili bersagli del terrorismo islamico.
Un monito per l’Europa
L’Isis-K, che sogna un califfato fino all’Indonesia, è una variante dell’Isis debellato cinque anni fa in Siria e in Iraq. E’ nato attorno al 2015 dall’ala estremista dei Salafi musulmani e si è rafforzato gradualmente. Al principio fece parte dell’apparato di sicurezza dell’università di Kabul, poi si aggregò alla milizia Haggani del Kandahar, infine si diffuse nel Pakistan nel Nord. Il suo leader, detto “il soldato Sanaullah Ghafari” o anche “il sultano” è un trentenne su cui l’America ha messo una taglia di dieci milioni di dollari. Si chiama Shahab al Muhhajir, ha una laurea in ingegneria ed è considerato il nuovo Bin Laden, il fondatore di Al Qaeda eliminato dall’America nel 2011. Secondo la Cia l’Isis-K, che avrebbe contribuito anche alle stragi di alcuni anni fa nello Sri Lanka e in India, dispone di oltre diecimila combattenti e di decine di migliaia di simpatizzanti. In Asia centrale esso rappresenta una minaccia simile a quella di Hamas in Medio Oriente, e il massacro del Crocus in Russia è un monito per l’Europa. Ma l’Isis-K e Hamas non sono che una piccola parte di un terrorismo che non conosce confini e che giudica la civiltà occidentale, la più tollerante che esista, un male, un demone da seppellire.
Ennio Caretto