E’ certamente storica e di rilievo mondiale la sentenza che ha condannato il miliardario proprietario dell’Eternit al tempo dei fatti Stephan Schmideiny, nell’appello del 3 giugno a Torino, a 18 anni di reclusione e a risarcimenti elevatissimi (ma insufficienti) per la bonifica ambientale al Comune di Casale Monferrato ed altri e alla Regione Piemonte, e ai familiari delle vittime, che fino ad ora si calcolano in Italia a più di 3.000 di cui oltre la metà nella sola città di Casale. La Chiesa casalese con interventi del Vescovo Mons. Alceste Catella, del giornale diocesano “La Vita casalese” e degli organismi pastorali, prese fin dall’inizio una determinante e fermissima posizione, come pure fece tutta la stampa locale. Mentre alcuni avvocati e parti politiche consigliavano di accettare la milionaria transazione per avere subito e sicuramente il denaro che avrebbe però causato il risultato di uscire dal processo e avvantaggiare l’Eternit, abbiamo sempre al contrario sostenuto che la salute per il lavoro è un valore non negoziabile e che la città che aveva avuto il maggior danno su lavoratori morti e cittadini che per decenni saranno ancora a rischio doveva essere la capofila nel mondo, dove purtroppo continuano ad esistere stabilimenti per la lavorazione dell’amianto, e se ne aprono pure nei paesi emergenti come in America Latina. Ogni famiglia di Casale conta almeno un morto per il mesotelioma, il cancro ai polmoni causato dalla polvere di amianto. E’ stato molto negativo il fatto che poche settimane fa l’ONU non abbia messo nell’elenco delle sostanze pericolose e nocive anche l’amianto. Si spera in un ripensamento che metta finalmente al bando la fibra killer, e anzi proponga l’Afeva (Associazione Familiari e Vittime amianto) al Premio Nobel per la pace.
paolo busto