TORINO – «Ne bis in idem». E’ l’aforisma latino ormai tristemente conosciuto dalle centinaia di famiglie delle vittime d’amianto, per le quali anche il secondo processo Eternit potrebbe trasformarsi una beffa.
Come previsto e prevedibile il collegio di difesa dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, condotto da Carlo Alleva e Astolfo Di Amato, ha concentrato la propria tesi difensiva intorno ad uno dei fondamenti del diritto: il diritto di un imputato di non essere processato due volte per lo stesso fatto.
«Perché – sostiene la difesa – la Procura in questo secondo processo contesta un diverso reato, ma si riferisce alla stessa condotta». Un’ora e mezza di requisitoria a sostegno della propria tesi. «Basta ascoltare le parole del Pm durante le requisitorie del primo processo e confrontarle con la richiesta di rinvio a giudizio. La condotta contestata è la stessa. Schmidheiny sarebbe stato consapevole che l’amianto faceva male, che non venivano adottate tutte le precauzioni necessarie e previste dalla legge, di adottare strategie di depistaggio. Inoltre – prosegue Alleva – dei 258 omicidi contestati, 186 erano già presenti nel primo processo. Tutto il processo 1 è finito nel processo 2, il Giudice non può fare a meno di valutare la sovrapponibilità che in questo caso è quasi totale”. Entra di più nel merito l’avvocato Di Amato, che solleva il rischio che il lungo tempo trascorso renda difficile la raccolta delle prove documentali e testimoniali, ledendo così i diritti di difesa.
Prima della requisitoria del collegio difensivo era stato il turno delle Parti civili. Interventi brevi e accumunati dalla richiesta di rinvio a giudizio. Questa mattina si tornerà in aula per le repliche della Procura e delle Parti civili, poi il 16 l’ultima parola toccherà alla difesa. Presumibilmente a luglio la decisione del Gup.
Dario Calemme
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