Essere sacerdoti portatori di speranza. E’ invito rivolto dal vescovo mons. Gianni Sacchi alla solenne Messa crismale celebrata la sera di mercoledì Santo in Cattedrale. Circa 45 i sacerdoti presenti. Con loro il vescovo emerito mons. Alceste Catella e il vescovo mons. Luciano Pacomio, i diaconi e i seminaristi. Durante la celebrazione il Vescovo ha consacrato il crisma e ha benedetto l’olio dei catecumeni e l’olio degli infermi.
Questa l’omelia pronunciata dal Vescovo.
Desidero manifestarvi la mia gioia nel vedervi qui in questa cattedrale così numerosi.
Siamo qui insieme, Vescovi, sacerdoti, diaconi, e tutto il santo popolo di Dio proveniente dalle diverse parrocchie della nostra Diocesi.
Cari fratelli e sorelle, questa messa del Crisma è un dono grande per me perché riferendomi alle parole del vescovo Sant Agostino, provo la gioia di essere “con tutti voi cristiano, con voi confratelli sacerdoti, ministro dell’eucarestia, per tutti voi Vescovo”.
Questa peculiare celebrazione anticipa il triduo pasquale che inizierà domani sera con la Messa in Coena Domini e culminerà sabato sera nella grande veglia della notte santa, la madre di tutte le veglie.
La parola ascoltata è un richiamo al compito di essere nel mondo portatori di esultanza e di gioia che sono a noi affidate, al nostro ministero per dono dello Spirito di Dio che è su di noi e ci ha consacrato con olio di letizia.
In questo anno Santo il nostro Papa Francesco ha voluto che il tema conduttore fosse la Speranza.
E il vero dono di speranza è lui, Gesù Cristo, il dono di Dio al mondo.
San Giovanni Paolo II, di cui abbiamo ricordato da poco il ventesimo anniversario della morte, in una omelia dell’Epifania del 1999 disse che il sacerdote nel suo ministero pastorale è davvero con Cristo ed in Cristo “manifestazione di Dio Speranza dell’uomo, di Dio liberazione dell’uomo, di Dio salvezza dell’uomo”.
lo desidero in questa omelia parlarvi del prete uomo di speranza, per una Chiesa e una Società che spesso percepisce e vive situazioni disperate.
Ma per essere servitori della speranza occorre sperimentarla nella nostra vita, nei nostri percorsi personali di credenti in modo che possano raggiungere il cuore del nostro ministero.
“La speranza è un rischio da correre” dice Bernanos, un po’ come affermava Peguy che ho citato nella Messa di apertura dell’Anno Santo: “La fede e l’amore li posso comprendere, ma la speranza! Meraviglia anche me, è straordinaria. Questa piccola speranza che non si dà aria per niente. Questa speranza bambina. Immortale”.
La speranza è il rischio dei rischi. E’ la più grande e la più difficile vittoria che un uomo possa riportare su se stesso. Noi dobbiamo essere servitori della speranza, ma essa ci domanda di radicarci nella speranza del popolo di Dio, di colui che ha incarnato la speranza nel cuore dell’umanità, il Cristo.
Cari confratelli sacerdoti e diaconi: essere servitori della speranza per il mondo…
La grande tentazione è immaginare l’avvenire alla maniera della fotocopiatrice: il presente non farà che riprodurre il passato e il futuro non sarà che il prolungamento del presente.
La speranza sta nella fedeltà di Dio che non abbandona mai il suo popolo.
Penso che una delle realtà più significative per noi ministri del Vangelo è quella di veder rinascere la speranza nelle persone che incontriamo e a loro portiamo ciò che anima nel profondo la nostra vita.
È la speranza che cambia il volto e il cuore degli uomini, il volto del mondo.
Con la Pasqua che ci apprestiamo a celebrare, nasce e rinasce la speranza.
Far Pasqua è credere fermamente che Cristo è vivo oggi, vive nella nostra storia, nella mia storia e la vivifica con la forza della sua parola e dello Spirito Santo che me lo rende presente e vicino.
Celebrare la Pasqua è accogliere la speranza, una speranza che ha il sapore
dell’eternità
Far Pasqua è far nascere senza posa la speranza là dove c’è buio e disperazione.
È mettersi in cammino sulle strade dove l’impossibile diventa possibile.
In un piccolo libro dello scrittore francese Jean Giono, intitolato “L’uomo che piantava gli alberi”, c’è il racconto di una storia incredibile: in un’arida regione della Francia, dove la gente è poca, scontrosa e ostile, c’è un uomo che per anni e anni ogni mattina si alza e percorre a piedi chilometri per andare a ficcare nella terra secca i semi degli alberi. Ha un bastone appuntito che gli serve per fare i buchi e un sacco dove tiene le sementi. Ogni giorno riesce a piantare centinaia di semi, sempre più lontano da casa: a volte nemmeno uno attecchisce e germina, la terra è dura e ingrata, gli uccelli beccano i semi e la giornata pare sprecata, ma l’uomo ostinatamente prosegue nella sua strana missione. Dopo qualche decennio, quelle brulle pendici sono divenute colline verdeggianti e anche il clima s’è fatto più benevolo grazie ai boschi che sembrano nati dal nulla. Giovani coppie sono arrivate ad abitare la regione, il carattere della gente è più aperto e la vita riprende a scorrere con fiducia.
Così, sembra suggerirci Giono, cambiano nel profondo la geografia e l’animo degli uomini: grazie ad un gesto caparbio, intelligente, generoso.
Grazie a una splendida e testarda speranza… da coltivare continuamente.
Non possiamo dimenticare che uno dei documenti più importanti e più belli del Concilio Vaticano Il comincia proprio con questa espressione carica di luce: “Gaudium et Spes”.
• Ricorderete certamente quelle straordinarie parole: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
Questo inizio così solenne e incisivo delinea la nostra missione, della Chiesa, di tutti battezzati e la nostra di servi del Vangelo: applichiamo a noi quelle luminose parole pensando alle nostre parrocchie, ai volti di tante persone che incontriamo, alle situazioni che ci troviamo a vivere: dovremmo essere capaci di dire: cari fratelli e sorelle, le vostre gioie e le sofferenze saranno le mie.
Le speranze, le tristezze le angosce che voi attraversate le condividiamo con voi.
Questo è il nostro ministero.
Ciascuno di noi è chiamato a seminare speranza, a essere la speranza che ci abita da quell’incredibile mattino di Pasqua,
Il momento centrale della celebrazione della Speranza è l’eucaristia. In essa, portiamo a Cristo le gioie e le speranze, le delusioni e le attese nostre e di tutti gli uomini, e sottoponiamo il tutto alla sua Parola, alla sua croce e risurrezione.
Resi partecipi del Pane e del Vino, riconosciamo colui che ci “faceva ardere il cuore in petto” (speravamo fosse lui) e riprendiamo con gioia il nostro cammino.
La celebrazione dell’Eucaristia è un forte esercizio di speranza: è il momento in cui Cristo, donandosi a noi e facendosi riconoscere, ci disseta alla sorgente della speranza; il momento in cui ci unisce intimamente a sé per presentarci al Padre e inviarci nel mondo.
Mentre celebriamo l’Eucaristia, manifestiamo e proclamiamo Cristo nostra speranza, in attesa della sua venuta.
Cari fratelli sacerdoti e diaconi, questa è la sera anche per dirvi grazie per il vostro servizio in Diocesi tra momenti di gioia e di soddisfazioni e momenti di stanchezze e di aridità. A volte ci sembra di girare a vuoto, ma non dobbiamo scoraggiarci se abbiamo nel cuore la consapevolezza di aver fatto tutto senza riserve, senza risparmiarci…
Cari fratelli e sorelle laici, pregate sempre per noi affinché possiamo essere per voi testimoni della speranza che non delude. Pregate senza sosta per le famiglie e per le nostre comunità, perché siano luoghi fecondi di nuove vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa.
Con le parole di San Giovanni Paolo II ci mettiamo nelle mani della Vergine
Santissima: “Maria, Madre della speranza, a Te con fiducia ci affidiamo. Con te intendiamo seguire Cristo, Redentore dell’uomo: la stanchezza non ci appesantisca né la fatica ci rallenti, le difficoltà non spengano il coraggio, né la tristezza la gioia del cuore”. Amen.