Presso l’Accademia di Ungheria di via Giulia a Roma, si è svolto il convegno “A 80 anni dall’Olocausto. La diplomazia della Santa Sede in favore degli ebrei: il caso degli ungheresi”.
Promosso dall’Ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede e il Sovrano Militare Ordine di Malta, dal Nazional Archives of Hungary, dal Holocaust Budapest Memorial Center, dall’Archivio Apostolico Vaticano, dall’Archivium Romanum Socialitatis Iesu.
Da anni, sul tema della ricerca archivistica e documentale sull’Olocausto, è stata avviata una proficua collaborazione fra soggetti istituzionali, centri di studio, università, singoli studiosi appartenenti a vari Stati europei. Al convegno sono intervenuti con saluti S.E.Eduard Habsburg-Lotharingiai, ambasciatore Ungheria presso la Santa Sede; Kristztina Lantos, direttrice Accademia Ungheria Roma; Jonatan Megyeri, rabbino Comunità ebraica unita d’Ungheraia; S.Em.R.Card.Peter Erdò, primate Ungheria Chiesa Cattolica Ungherese.
I relatori: Kristztina Tòth, Làszlò Karsai, Laura Csonka, Giordana Terracina, P. Viliam Stefan Doci, Op, Matteo Luigi Napolitano, Attila Jakab, Peter Slepean, P.Landry Vèdrenne del MEP, Yagil Limore, Sergio Favretto, Joahan Ickx. I vari contributi scientifici hanno fornito un quadro aggiornato della ricerca storica e accademica sul ruolo della Santa Sede e della Chiesa contro la violenza razziale del periodo 40-45.
Intervenendo al convegno Favretto ha illustrato alcune news della sua recente ricerca sul ruolo della Santa Sede e del mondo cattolico a sostegno e difesa degli ebrei perseguitati dai nazifascisti durante l’occupazione tedesca, ricerca che verrà pubblicata nel 2025. Grande attenzione al Piemonte e al Monferrato, territori segnati da diverse comunità ebraiche e dal conflitto fra emergenza delle leggi razziali e solidarietà cattolica.
Favretto ha affermato, con espliciti riferimenti documentali e testimoniali, come la Chiesa cattolica fu senza alcun dubbio l’organizzazione estesa e partecipata più rilevante che seppe con coraggio interpretare un’opposizione attiva all’antisemitismo nazifascista, alimentare una resistenza culturale e fattiva alla violenza dell’Olocausto. La Chiesa, dal Vaticano ai vari parroci sparsi in tutta Italia, non fu affatto silente o omissiva, esitante. Sono mille i casi, le vicende singole e organizzate di sostegno e aiuto alle famiglie ebree. Emerge il ruolo determinante dei cardinali Boetto di Genova, Fossati di Torino, Schuster di Milano, Dalla Costa di Firenze, Piazza di Venezia, Nasalli Rocca a Bologna, di molti vescovi, dal nord Italia ad Assisi, in piena sintonia con Pio XII, con la Segreteria di Stato e con l’allora monsignor Montini, con la DELASEM. Proprio dalla Segreteria di Stato con Maglione e Montini, dai vari nunzi apostolici (come l’alessandrino Andrea Cassulo) ai cardinali Boetto, Fossati, Schuster, Dalla Costa, Piazza, Nasalli, ai vescovi piemontesi come Angrisani e lombardi come Macchi, ai giovani dell’Oscar e dell’Azione Cattolica o della San Vincenzo, ai vari conventi e istituti religiosi, alle case degli orionini e molti laici cattolici antifascisti, vi fu una rete ben organizzata e sintonizzata per salvare gli ebrei ed accompagnarli in Svizzera. Tutto il confine con la Federazione Elvetica, dalla Valle d’Aosta alla val Camonica, vide migliaia di ebrei transitare verso la libertà grazie alla protezione e aiuto cattolico. Padre Giuseppe Girotti biblista domenicano salvò molti ebrei in Piemonte, venne catturato e morì nel campo di Dachau nell’aprile 1945; padre Placido Cortese frate conventuale salvò a Padova molti ebrei, venne catturato e eliminato alla Risiera di San Sabba.
Fra le novità ricordate da Favretto, in relazione agli ebrei ungheresi vittime o salvati in Italia, vi sono i fatti dell’eccidio di Meina-Arona e gli ebrei catturato o salvati a Borgo San Dalmazzo nel Ceneese.
Sul Lago Maggiore
Dopo l’8 settembre, giunse sulla costa piemontese del Lago Maggiore un battaglione tedesco e iniziò la caccia agli ebrei. Era il 1 battaglione della Panzer-Division Waffen SS-LSSAH.
Nei giorni 13,14,15 e fino al 22 e 23 settembre del 1943 vennero catturati, uccisi e annegati nel lago 9 ebrei ad Arona, 16 a Meina, 14 a Baveno, 2 a Orta, 3 a Mergozzo, 4 a Stresa, 2 a Pian Nava, 3 a Novara, 4 a Verbania Intra.
Gli ebrei avevano trovato provvisoria sistemazione, ospitati da famiglie e albergatori collaboranti; provenivano dal Piemonte, Liguria, Lombardia o già erano rifugiati in Italia dall’Ungheria, Grecia, Polonia. Tutti speravano di raggiungere la Svizzera. Madre e figlio ungheresi vennero uccisi ad Arona: Kleinberger Clara, nata il 1 gennaio 1898 in Ungheria, coniugata con Rakosi, il figlio Rakosi Tiberio Alexander, nato il 1 gennaio 1921 in Ungheria. Una cinquantina di ebrei, avvertiti poco prima della retata tedesca, riuscirono ad attraversare il lago verso la sponda lombarda, verso il confine svizzero o si nascosero in cantine di abitazioni o alberghi.
A Borgo San Dalmazzo
Nel settembre ‘43, circa 850 ebrei confinati e internati in Francia decisero di oltrepassare il confine italo-francese per seguire i militari italiani della IV Armata. Gli ebrei erano di varia provenienza anagrafica, giungevano da 168 località differenti: polacchi, tedeschi, ungheresi, austriaci, slovacchi, rumeni, russi, greci, turchi, croati, belgi e francesi, sudamericani, svizzeri, olandesi e altri. A Borgo San Dalmazzo, in piena occupazione, i tedeschi realizzarono un campo di concentramento. Catturarono e rinchiusero nel campo 349 ebrei, mentre molti altri vennero ospitati da parroci e famiglie in località premontane e isolate.
Alcune famiglie ebree di origine ungherese furono nascoste. Grazie anche all’aiuto di alcuni sacerdoti, ottennero poi documenti falsi e lasciapassare come ungheresi ariani (protetti poiché l’Ungheria era alleata con la Germania) tramite il Console d’Ungheria presso la Santa Sede. I falsi documenti vennero poi riportati in Piemonte per essere utilizzati fino alla Liberazione. Altre famiglie ebree nascoste nelle valli cuneesi vennero dotati di documenti falsi grazie all’opera del Consolato Francese di Roma (nella persona dell’ex Console Yves Debraize), delle Ambasciate Svizzera e Francese presso il Vaticano (nelle persone rispettivamente di Mr. Chauvet e Mr.François de Vial).
Per Favretto, ogni ricerca storica deve essere il risultato della composizione di vari segmenti di verità, attingibili da archivi, testimonianze, memorie, diari, manoscritti, immagini, audio, messaggi radio (si pensi a Radio Vaticana e all’attività dell’U.I. della Santa Sede), rassegne stampa e altro. L’opera Guernica di Picasso e il Martirio di Matteo del Caravaggio non si possono apprezzare solo da 20 centimetri quadrati del dipinto, ma dal suo insieme. Così la storia, specie quella dell’Olocausto, non si può cogliere se non si esaminano i fatti e i protagonisti in modo corretto e contestualizzato. Ed ancora, la ricerca storica deve essere accompagnata anche da un’etica di giustizia e verità, per migliorare il presente rispetto al passato.