CASALE – Si concluderà giovedì 14 febbraio, alle ore 21, in Sala Cavalla presso il Seminario Diocesano, il primo ciclo di “Crescere con la Parola” nell’ambito delle iniziative annuali di Cantiere Speranza. Argomento dell’incontro animato dal teologo biblico don Franco Manzi, la costruzione dell’esperienza di fede di Abramo a partire da quel memorabile passo del Genesi: “Prendi tuo figlio…ed offrilo in olocausto” (Gn 22,2) che descrive la maturazione drammatica del Patriarca biblico nel suo modo di vedere Dio.
Don Manzi, nato a Milano nel 1966, è dottore in Scienze bibliche di Roma ed ha studiato presso l’Ėcole Biblique di Gerusalemme. Specialista in Mariologia al Marianum di Roma, insegna al Seminario di Venegono Nuovo Testamento e Lingua ebraica ed è professore incaricato di Antico Testamento alla Facoltà Teologica ed all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano ed alla Facoltà teologica di Lugano.
Ha pubblicato una cinquantina di libri e collabora attivamente a numerose riviste. Per Manzi, Abramo è disponibile a sacrificare la sua paternità mettendo in gioco il rapporto con Dio e con Isacco. Occorre, però, non sviluppare idee estranee al testo e verificare la forma peculiare del racconto. La struttura complessa del testo è molto importante. E’ un racconto con la finalità primaria di dare un fondamento al rifiuto dei sacrifici umani e di giustificare l’olocausto alternativo degli animali al posto dei primogeniti di Israele. Allo stesso modo il testo vuole parlare in modo particolare della fede di Abramo.
“Isacco, scrive il grande biblista André Wénin, è un dono come segno dell’alleanza tra Abramo e Dio per una relazione in vista della vita non della morte!”.
Isacco, però, non può essere che pensato come “libero” per Dio e per la sua alleanza!
La scelta di Abramo è drammatica perché l’ordine di Dio non è chiaro e può essere interpretato in modo diverso da Abramo e dal lettore. Solo quando Abramo lega Isacco e lo mette sull’altare si chiarisce la decisione. Ma Dio ha fatto una scelta diversa ed il suo ordine ambiguo va in una direzione opposta.
Verificato che Abramo non ha tenuto per sé Isacco ed ha accettato di obbedirgli in tante diverse separazioni, il racconto si conclude con l’obbedienza all’olocausto chiesto da Dio come nell’ordine che aveva ricevuto e cioè con un animale sacrificato al posto di Isacco. Ma per aver rinunciato al possesso del dono, Abramo scopre una nuova paternità. Il sacrificio del montone intrappolato con le sue corna e non dell’agnello è il sacrificio di una paternità intesa come potenza di possesso. Il sacrificio del montone è rinuncia ad una paternità intesa come dominio tribale sul figlio. Il sacrificio interrotto del figlio unico e quello compiuto del montone ha rimesso “tutti in gioco” ed ha costruito un possesso autentico di incontro e di alleanza.
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