CASALE – Quando i Carabinieri sono entrati nel suo appartamento di via Visconti a Casale, sul volto di Massimiliano Ammenti, medico 51enne, era ancora presente lo «sguardo dell’assassino». Il volto tirato, gli occhi sbarrati a causa dell’adrenalina che circola ancora violentemente nel sangue. Una sorta di stato di eccitazione, di shock e di apparente tranquillità che cerca di celare il tremendo peso che si sta portando sullo stomaco: aver ucciso un altro essere umano. Anche per questo quando i Carabinieri del Nucleo Operativo Radiomobile di Casale, unitamente ai colleghi del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Alessandria lo hanno preso in custodia, hanno avuto la conferma di aver catturato la persona giusta. Un’indagine perfettamente coordinata dal Pm Roberta Brera (e condotta dai Carabinieri), che in poche ore ha portato all’identità dell’assassino e che è stata illustrata questa mattina al Comando Provinciale dell’Arma, dal Comandante Provinciale il colonnello Enrico Scandone, dal Comandante del Nucleo Operativo del Comando Provinciale, il tenente colonnello Giuseppe Di Fonzo, dal Comandante del Nucleo Investigativo – reparto operativo il maggiore Giacomo Tessore, e dal Comandante di Compagnia di Casale il maggiore Natale Grasso.
Nella foto di copertina da sin: Il Comandante della Compagnia di Casale Magg. Natale Grasso, il Comandante Provinciale Col. Enrico Scandone, il Comandante del Nucleo Operativo del Comando Provinciale Ten. Col. Giuseppe Di Fonzo, il Comandante del Nucleo Investigativo – Rep. Operativo del Comando Provinciale Magg. Giacomo Tessore.
LA CASCINA DI SAN MARTINO DI ROSIGNANO
Sono da poco passate le 5 del mattino quando Massimiliano Ammenti, dopo aver scavalcato la recinzione di Cascina Varacca 34, in frazione San Martino a Rosignano, si introduce nell’abitazione di Andrea Juvara, 47 anni, anche lui come l’omicida medico presso l’Ospedale di Casale. Forza la porta d’ingresso senza fare nemmeno troppo rumore e s’introduce in casa. Non abbaia nemmeno il cane di Juvara, un esemplare simile ad un golden retriever bianco che per il suo carattere così mansueto, non si rende conto del pericolo che sta per correre il suo padrone. Sale le scale che portano al piano di sopra dove c’è la camera da letto con in mano un grosso coltello, di quelli che si trovano nei set da cucina, che si era portato da casa. Entra nella stanza dove Juvara dorme supino. Impugnando l’arma nella mano destra lo colpisce la prima volta sul fianco sinistro, il dolore lancinante sveglia il medico casalese che tenta di difendersi con una mano (che riporta ferite da difesa), ma la furia omicida è troppo feroce e in pochi secondi la lama entra per ben altre 11 volte sotto al costato. Il corpo ormai esanime rotola a terra e in pochi istanti si crea una pozza di sangue. Nella foga anche Ammenti riporta un grosso taglio all’interno della mano che impugnava il coltello.
L’ALLARME LANCIATO DALL’OSPEDALE
Sono quasi le 10 del mattino e Andrea Juvara, medico anestesista e rianimatore dell’Ospedale Santo Spirito, non è ancora giunto al nosocomio casalese. E’ strano. Quella mattina avrebbe dovuto essere in sala operatoria per alcuni interventi e non ha avvertito del ritardo. Dal reparto provano a cercarlo invano sul cellulare e, non trovandolo, contattano la compagna: è sicuramente successo qualcosa. La donna prima prova a cercarlo a sua volta telefonicamente, poi si reca nella cascina di San Martino. Quando entra in casa e sale in camera da letto, vede il macabro spettacolo. Il corpo del compagno è riverso a terra, esanime, in una pozza di sangue. La donna lancia l’allarme e sul posto arrivano i sanitari del 118, ma non c’era più nulla da fare. Gli operatori si rendono subito conto di quanto è accaduto e vengono chiamati i Carabinieri. Giungono immediatamente sul posto gli uomini del Comando di Compagnia di Casale.
E’ OMICIDIO: SCATTANO SUBITO LE INDAGINI
Non è sicuramente una morte naturale. Non è una rapina finita male. Di certo c’è solo che è un omicidio. Scattano le indagini e sul posto giungono immediatamente anche altri militari di Casale con il maggiore Grasso, quelli del Comando Provinciale di Alessandria e del Ris, il Raggruppamento investigativo scientifico, per i rilievi. Sul posto anche il medico legale, il dottor Luca Tajana, ed il Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica di Vercelli, Roberta Brera che coordinerà le indagini. Dai primi rilievi emerge immediatamente che l’assassino, un destrorso che ha utilizzato un’arma da taglio, si è ferito. Le tracce di sangue, che per la loro posizione non possono essere sicuramente ricondotte alla vittima, sono evidenti e raccontano di una ferita importante che, molto probabilmente, necessita di cure ospedaliere. Parte così la segnalazione a tutti gli ospedali della Provincia e non solo: «segnalare qualunque ferita che potrebbe essere stata procurata da un oggetto affilato». Sono circa le 14.15 quando il Comando di Compagnia dei Carabinieri di Novi Ligure riceve una segnalazione dal Pronto Soccorso cittadino: «Poco prima delle 9 sono stati applicati punti di sutura per ricucire un profondo taglio sul palmo di una mano destra». Quando Ammenti si è rivolto all’Ospedale di Novi non ha informato il personale di essere a sua volta un medico, e ha riferito di essersi procurato il taglio con un cacciavite. Unire le tessere del puzzle è stato semplice. Perché un medico casalese, che vive a pochi passi dal nosocomio monferrino, si sarebbe dovuto far medicare ad oltre 60 km di distanza? Poteva essere solo una coincidenza che si trattasse di un collega della vittima, o che guidasse un auto simile a quella indicata da alcuni vicini di casa che avevano notato un’auto sconosciuta? No, non lo era. Così i militari hanno stretto il cerchio intorno al 51enne, fino all’arresto.
PERCHE’ NOVI LIGURE?
Seppur distante, e quindi forse con l’obbiettivo di eludere il controllo degli inquirenti, la scelta di Novi Ligure non è stata casuale. La cittadina del cioccolato è quella dove Ammenti è cresciuto e dove, da ragazzo, viveva con la mamma (già scomparsa tempo fa) ed un patrigno. Anche per questo ha scelto di recarsi nel basso alessandrino. E’ andato nella sua casa d’infanzia dove è stato accolto dal patrigno che lo ha accompagnato al pronto soccorso cittadino. Anche a lui ha riferito di essersi tagliato con un cacciavite. Lì ha lasciato i sandali ed i vestiti sporchi di sangue, il cacciavite che avrebbe generato il taglio (secondo il goffo tentativo di Ammenti di sviare le indagini), il set di coltelli a cui appartiene l’arma del delitto e che era orfano di due lame. Quella della ferita accidentale e del viaggio fino a Novi, forse, è stata una storia che non ha convinto nemmeno l’uomo che infatti, all’arrivo dei Militari, ha subito capito che c’era qualcosa che non andava, offrendo piena collaborazione e consegnando ai carabinieri gli oggetti e gli abiti insanguinati.
L’IRRUZIONE ED IL FERMO NELL’ABITAZIONE
L’omicida è sicuramente lui. Tutti gli elementi conducono esclusivamente verso un unico indiziato. Gli elementi di probatori sono schiaccianti e concordanti. Ad aver ucciso Andrea Juvara è stato sicuramente Massimiliano Ammenti. Manca solo il movente. Manca solo il motivo per cui un medico abbia deciso di compiere la follia di uccidere un proprio collega. Così. Con quella ferocia. Individuata la residenza dell’omicida i Carabinieri circondano in modo discreto l’area e iniziano ad osservare l’abitazione. Bisogna accertarsi che l’uomo sia in casa, con chi, e se in caso di irruzione possa arrecare danno a se stesso o ad altri. E’ stato un militare di Casale a notare l’uomo guardare dalla finestra. Si è mossa la tenda. I Carabinieri sono così’ saliti al piano del condominio di Via Visconti e, attraverso un escamotage (la visita fiscale per chi si mette il malattia), si sono fatti aprire, dal sospettato, la porta blindata. Sono bastati pochi istanti. Nemmeno il tempo di capire cosa stessa accadendo, che Ammenti si è trovato attorniato da una ventina di Carabinieri che hanno subito preso coscienza dell’ambiente. L’appartamento è stato perquisito da cima a fondo, anche alla ricerca dell’arma del delitto, che non è stata ancora rinvenuta. Sono le 17.28 quando i Carabinieri lo “invitano” ad andare in caserma. Viene chiamato anche il difensore d’ufficio, l’avvocato casalese Pier Enrico Arduino. Sono le 18.15 quando il sospettato entra nella Caserma di Corso Giovane Italia. Torchiato per circa sei ore, di fronte all’evidenza delle prove, Ammenti, che in un primo momento aveva negato ogni addebito, non ha potuto far altro che rendere una piena confessione. Tolto il peso dallo stomaco, liberatosi da quel pesante fardello, sul volto di Ammenti è svanito quello sguardo freddo ed adrenalinico. E’ quasi l’1 del mattino quando il Pm ed i Carabinieri terminano le formalità di rito per l’arresto e l’uomo viene condotto al Circondariale di Vercelli.
OMICIDIO VOLONTARIO PLURIAGGRAVATO ANCHE DALLA PREMEDITAZIONE
Sul fermo dei Carabinieri, disposto dal Pm Roberta Brera, viene riportata l’accusa di «omicidio volontario pluriaggravato anche dalla premeditazione». Non c’è dubbio che Ammenti si sia introdotto nell’abitazione con l’intento di voler far del male o uccidere il collega Juvara. E’ entrato di soppiatto, mentre la vittima dormiva, portandosi da casa un coltello. E’ salito al piano di sopra: sapeva muoversi nell’abitazione, forse la conosceva. Lo ha colpito 12 volte, sotto il costato, con perizia. D’altronde un medico sa dove un colpo può essere letale. Non si è fermato nemmeno quando la vittima ha tentato di difendersi procurandosi anche un profondo taglio ad un braccio. Non si è fermato nemmeno quando a sua volta si è ferito gravemente anche lui. A pesare sulla premeditazione, però, c’è anche il fatto che Ammenti (e la sua Bmw nera decappottabile) era stato già visto in precedenza nei pressi dell’abitazione da un vicino. Uscito attirato dai rumori aveva chiesto chi fosse e lui, fingendo di essersi perso, se ne era andato. Un sopralluogo, forse due. Un primo tentativo, forse reso vano dal vicino o da un barlume di lucidità.
I DUE COLTELLI MANCANTI
Secondo una circostanza non confermata dai Carabinieri, ma nemmeno smentita, in uno dei sopralluoghi avrebbe perso anche un coltello. Forse gettato via quando è stato scoperto dall’attento vicino, Una versione che concorderebbe con il fatto che dal set di coltelli rinvenuto dai Militari dell’Arma, sono due le lame mancanti, una delle quali è quasi sicuramente l’arma del delitto.
IL MOVENTE
Il movente è la parte meno chiara di questo omicidio, anche se le prove sono così concordanti e cristalline che la motivazione passa quasi in secondo piano. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’omicidio è maturato nell’ambito di un rancoroso rapporto di lavoro. Non invidie professionali, ma liti personali. Ammenti sarebbe stato oggetto di alcuni soprusi da parte di Juvara? Su questo l’indagine, che non è conclusa, dovrà essere ancora approfondita. I due avevano lavorato insieme per oltre un anno al servizio 118 prima che Juvara fosse trasferito al reparto di Anestesia e Rianimazione. Poco è cambiato perché in un nosocomio piccolo come quello casalese, il cambio di reparto non ha evitato che i due continuassero ad incontrarsi. A sensazione il movente è un po’ debole. Quali atteggiamenti così gravi aveva messo in atto la vittima per spingere il suo carnefice ad un gesto così macabro? Cosa aveva fatto per spingere Ammenti a rischiare 30 anni di carcere e di non vedere più moglie e figlia? Su questo punto, inevitabilmente, dovrà essere fatta ancora chiarezza.