L’esito delle elezioni francesi e delle elezioni inglesi della scorsa settimana è stato il frutto di due fenomeni comuni a entrambi i Paesi, Paesi che non potrebbero essere più diversi: la loro spaccatura in due forze politiche opposte, sinistra e destra, e la protesta, ora massiccia ora limitata, contro i governi in carica, protesta che ha portato alla ribalta una terza forza destabilizzante.
La situazione in Gran Bretagna
Cominciamo dall’Inghilterra, dove ormai da quattordici anni governava la destra, cioè il partito Conservatore. Là il voto di protesta è andato in parte alla sinistra, ossia al partito Laborista il quale, grazie alle leggi elettorali, ha ottenuto la metà circa dei seggi in Parlamento, ma in realtà ha riscosso solo un terzo del suffragio popolare. E in parte è andato al nuovo movimento estremista Reform UK (Riformare il Regno Unito) di Nigel Forage, l’architetto della Brexit, l’assurda uscita dell’Inghilterra dall’Europa nel nome dell’ex Impero Britannico. Con oltre il quattordici per cento dei voti, voti sottratti ai tories (insieme sarebbero arrivati al trentotto per cento) Reform UK è ora il terzo partito inglese, di poco avanti a quello liberale.
E quella in Francia
Passiamo alla Francia. Là, contro ogni previsione, il voto di protesta contro il governo in carica è andato più alla sinistra, il Nouveau Front Populaire che include socialisti, ecologisti e comunisti di vario genere, che non alla destra spinta, il Rassemblement National (Assembramento Nazionale) di Marine Le Pen dato per favorito alla vigilia. Ma non ha penalizzato come si supponeva il presidente Emmanuel Macron, ormai vicino alla fine del secondo mandato, il cui partito centrista Ensemble (Insieme) si è nettamente ripreso. Macron, preoccupato del “boom” del Rassemblement alle ultime elezioni europee, aveva indetto le elezioni in Francia per bloccarlo, una mossa criticata ma oculata. La Le Pen infatti ha vinto il primo round elettorale ma ha perso il secondo. Il Parlamento francese appare così diviso in tre parti quasi equivalenti, sinistra, centro e destra. La sinistra reclama a gran voce il diritto di formare il governo ed è difficile prevedere che cosa farà il Presidente, a cui spetta l’ultima parola. Ma è più probabile che Macron tenti di formare una coalizione moderata con più di un solo altro partito.
Un voto per l’alternanza
Quale è il senso dei cambiamenti verificatisi a Parigi e a Londra? A mio parere non è quello detto da vari media europei, in particolare da quelli italiani. I cambiamenti non segnalano un incipiente ritorno al fascismo in Francia, né un incipiente ritorno al socialismo in Inghilterra, né l’avvento di una terza forza o terza via, anarchica o assolutista, che ha poco a che vedere con la democrazia. In entrambi i Paesi gli elettori, ritengo, si sono pronunciati in maggioranza a favore dell’alternanza tra le due forze politiche tradizionali, la sinistra e la destra, e della loro moderazione nell’uso del potere. E il loro afflusso alle urne ha segnalato che in buona parte essi aspirano a un centro sinistra e centro destra che sappiano essere prammatici, e a delle coalizioni (più che a dei partiti) che riescano a stare con civiltà ora all’opposizione ora al governo. Il loro messaggio sembra chiaro: basta con gli opposti estremismi e soprattutto con il clima quasi di guerra civile che si avverte anche in Italia, e via libera all’avvicendamento ai vertici del Parlamento e dello Stato, nel rispetto della Costituzione. In pratica, una richiesta di bipartitismo.
Bipartitismo imperfetto
C’è un Paese dove, da molto tempo, vige un bipartitismo imperfetto, e dove i due massimi partiti sono in realtà due coalizioni, un paese che attualmente attraversa una grave crisi costituzionale a causa delle condizioni mentali del presidente Biden e del suo sfidante Trump, ma di cui noi europei dovremmo essere meno critici. E’ l’America, che ha fatto dell’alternanza la base della democrazia. Nello scorso secolo, la Casa Bianca fu nelle mani dei repubblicani per 52 anni e nelle mani dei democratici per 48, e in questo secolo lo è stata per 12 anni nelle mani degli uni e per 12 anni nelle mani degli altri. E’ un equilibrio che grosso modo si riscontra anche al Congresso o Parlamento, e nei 50 Stati dell’Unione, i cui governatori sono attualmente 27 repubblicani e 23 democratici. Un equilibrio che limita gli eccessi e i “diktat”, perché i leaders politici sanno che li sconterebbero alle prime elezioni, ossia ogni 4 anni per i Presidenti e i governatori, e ogni 2 per i parlamentari. Il cosiddetto voto fluttuante, quello degli indipendenti e degli incerti, è l’ago della bilancia: si sposta a sinistra o a destra a seconda delle circostanze.
Contro l’ideologia
Tale spostamento non è antipolitico, semmai è antiideologico, o meglio è contro l’ideologia se e quando esclude il buon senso e il compromesso. Ed è considerato costruttivo proprio perché il sistema poggia su due coalizioni in cui, se prendiamo i democratici, coabitano i moderati come l’ex presidente Bill Clinton e i socialisti come il Senatore Bernie Sanders e, se prendiamo i repubblicani, coabitano gli assolutisti come Donald Trump e i centristi come la deputata Liz Cheney. Il sistema, che ha il merito di eliminare la proliferazione dei mini partiti, sarà messo a dura prova se Trump verrà eletto Presidente, ma sinora ha propiziato la continuità e stabilità della politica economica ed estera americana (meno della politica sociale). Non fu così al principio. Nell’Ottocento, quando quello repubblicano e quello democratico erano partiti chiusi in se stessi come adesso i nostri in Italia, l’America, sui cui giornali scriveva da Londra anche Carlo Marx, conobbe vere e proprie guerre ideologiche, quelle tra capitalismo e socialismo, e una spaventosa guerra civile, a quel punto la più sanguinaria della storia.
Lo sbarramento tedesco
Non che l’Italia e gli altri Paesi europei debbano adottare tutti il modello americano. Ma rimarranno parzialmente ingovernabili se non arriveranno a un bipartitismo sia pure imperfetto, magari sorretto da una terza forza democratica. Non serve variare le norme elettorali per garantire la maggioranza parlamentare a chi prenda meno della meta’ dei voti alle elezioni. Per risultare funzionali e attirare gli elettori gli schieramenti politici devono rispondere alle loro istanze, essere tre o quattro, non dieci o quindici, e non venire condizionati dalle ambizioni personali dei loro leaders come avviene in maniera vergognosa in Italia. Non a caso, il Paese europeo che sinora ha dato il meglio di sé è la Germania, governata spesso da una coalizione: inizialmente essa fu composta dai socialisti e dai liberali, (o dai democristiani e dai liberali) e sotto la cancelliera di ferro Angela Merkel addirittura dalla “Gross Koalition” dei democristiani e dei socialisti. In Germania, oggi allarmata dall’ascesa dello Adf neonazista, per ottenere un seggio al Parlamento un partito deve inoltre avere almeno il 5 per cento dei voti nazionali.
Dalla democrazia al regime
Quando non c’è alternanza tra le forze politiche, si rischia di cadere da un governo democratico in un regime. E’ il caso dell’Inghilterra, dove in quattordici anni i conservatori hanno preso le decisioni piu’ sciagurate della storia inglese moderna, a cominciare appunto dalla Brexit. Soprattutto a causa di Boris Johnson, il più controverso dei loro premiers, i tories hanno consegnato al leader laborista Keir Starmer un Paese impoverito e spaventato. Sotto di essi, ancorati alla conservazione sociale ed economica, sono mancati alla fine le innovazioni e i correttivi che un governo diverso avrebbe forse adottato. Il risultato è che mentre anni fa sarebbe stato più facile al labour risollevare l’Inghilterra, adesso potrebbe diventare una fatica di Sisifo. I nostri politici dovrebbero riflettere su di questo. Se l’Italia si trova in condizioni difficili è anche perché per alcuni anni si è trovata praticamente sotto regimi culturali di centrodestra o di centrosinistra e l’unica alternanza è stata quella dei cosiddetti governi tecnici, retti da esperti capaci, ma alla mercede dei politici, come è capitato a un uomo del prestigio di Mario Draghi.
Ricerca della convergenza
E’ logico che nell’Unione Europea, storicamente amministrata dalle socialdemocrazie, il vento della estrema destra che oggi la agita desti molta apprensione. Ma è necessario distinguere tra di essa e la destra moderata, che rappresenta legittimamente una parte dell’elettorato. L’interrogativo “sarà la Le Pen a melonizzarsi o sarà la Meloni a lepenizzarsi?” è paradossale: se la destra francese non saprà moderarsi perderà non guadagnerà voti, lo insegna nuovamente l’America dove Presidenti repubblicani come Richard Nixon e Ronald Reagan scavalcarono i democratici muovendo verso il centro. E’ una regola che vale anche per la sinistra. Il Nuoveau Front Populaire francese non può impunemente includere l’Insoumis (Ribelli) di Melenchon, una formazione comunista antisemita e pro Hamas che rivendica il suo comando. Il modello è l’Inghilterra, che da secoli non cede alle tentazioni estremiste, siano fasciste o comuniste, e che coltiva il sogno della “loyal opposition”, l’opposizione costruttiva. Un sogno che anima anche l’Unione Europea e la sua ricerca della convergenza dove possibile.
La sinistra in Italia
In Italia, il solo accenno all’alternanza appare alla sinistra un tradimento della democrazia, o persino un’apologia del fascismo, almeno a giudicare dalla sua reazione (diciamo scomposta?) all’avvento del governo Meloni. Ma perché mai i suoi leaders non si pongono qualche domanda? Nei sondaggi, la sinistra era ed è più avanti della destra, e se ha perso il governo è perché si è presentata alle urne come un’armata Brancaleone: si unisca, elabori programmi che rispondono alle istanze degli elettori e riprenderà il potere. La sua strategia, inoltre, è in prevalenza quella della demonizzazione se non della Meloni almeno dei suoi ministri e compagni di partito, strategia che come si è visto alle elezioni europee ha rafforzato il governo: ma in Italia, il fascismo non ritornerà né ritornerà il comunismo, la maggioranza degli italiani non li vuole. I leaders della sinistra si rendano conto di non essere stati predestinati a reggere il Paese, e si ricordino che i loro maestri, Aldo Moro e Enrico Berlinguer, ebbero la lungimiranza e il coraggio di dialogare e collaborare non nel proprio interesse ma in quello nazionale.
Ennio Caretto