Sulla scia dell’attacco di Hamas a Israele e del contrattacco israeliano a Gaza, il terrorismo islamico è ritornato in Europa, per ora solo con alcune vittime in Francia e in Belgio, e c’è da aspettarsi che vi riesploda con ferocia se non si incomincerà a negoziare la pace in Medio Oriente. Così è sempre successo dal “Settembre nero” del 1970, come fu chiamato, il mese dei primi dirottamenti aerei ad opera del Fronte Popolare per la liberazione della Palestina (i velivoli erano partiti tutti da aeroporti europei). A ogni sanguinario conflitto nel mondo dell’Islam negli ultimi 53 anni, infatti, hanno fatto seguito attentati terroristici in varie Nazioni europee, Italia inclusa, anche se in minore quantità e di minore entità che in Medio Oriente. E con il passare del tempo la situazione si è aggravata, basti ricordare la strage delle Torri gemelle di Manhattan del 2001 con i suoi 2.900 morti. Le statistiche più recenti variano. Secondo una di esse, negli ultimi dieci-quindici anni le vittime europee del terrorismo islamico sono state circa 2.850, mentre in Medio Oriente e in Nord Africa sono state oltre 23.000, un bilancio drammatico. Stranamente, in Europa l’anno scorso fu il meno sanguinario di tutti: due soli attentati.
Questi dati suscitano due interrogativi. Come sia nato e si sia diffuso il terrorismo islamico e perché in oltre mezzo secolo non sia stato neutralizzato dagli Stati musulmani, su cui ricade la maggiore responsabilità di quanto è accaduto e sta accadendo, né dall’Occidente, che invece di combatterlo con una massiccia politica sociale ed economica a favore delle popolazioni mediorientali lo ha combattuto soprattutto con le armi. Oltre a causare guerre e devastazioni, a radere al suolo intere città, a commettere atrocità indicibili, a creare campi di concentramento e migrazioni di massa, il terrorismo islamico ha disumanizzato il nemico, metodi simili a quelli del nazismo nella Seconda guerra mondiale. Esso è divenuto la piaga più insistente della civiltà mediterranea, che è insieme cristiana e musulmana, europea e araba. E ciò ha fatto anche il gioco di potenze antioccidentali come la Russia e la Cina, adesso chiamate ad adoprarsi con l’America e l’Europa, con il mondo islamico ovviamente, per evitare che il conflitto tra Hamas e Israele si estenda al resto del Medio Oriente e al Golfo Persico.
La matrice del moderno terrorismo mediorientale è politica, non religiosa. Esso nacque di fatto con il “Settembre nero” del 1970, nel contesto della lotta palestinese per l’indipendenza da Israele, lotta ispirata dal nazionalismo, non dalla fede. Tre anni prima, Egitto Siria e Giordania avevano perso la Guerra dei sei giorni, e i Paesi arabi si erano resi conto che non sarebbero mai riusciti a sconfiggere militarmente gli israeliani. I primi terroristi, spesso ex rivoluzionari antioccidentali, di dottrina marxista, passarono allora dalla guerriglia nelle campagne agli attentati nelle città, ai dirottamenti aerei e ai sequestri. Un passaggio graduale, caratterizzato da discordie interne come quella tra il movimento Al Fatah di Arafat, il leader palestinese più carismatico, e il Fronte Popolare per la liberazione della Palestina del più combattivo George Habash, che culminò nell’assassinio degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco in Germania nel ’72. Negli anni seguenti, altri movimenti, come quello di Abu Nidal, internazionalizzarono il nuovo terrorismo nazionalista con 74 attentati in una ventina di Paesi diversi facendo 900 tra morti e feriti.
E’ a questo punto che intervengono i regimi islamici conservatori e fondamentalisti quali l’Arabia Saudita. Essi non vogliono un Medio Oriente governato dal nazionalismo secolare come la Turchia di Ataturk dopo la Prima guerra mondiale, né vogliono l’islamismo semi progressista dei Fratelli musulmani, vogliono teocrazie da contrapporre alle democrazie euro americane. Li aiuta la presa di potere dell’Ayatollah Khomeini in Iran nel 1979, con la detenzione dei diplomatici americani a Teheran per 444 giorni, una prova che la Superpotenza può essere umiliata. Questi regimi hanno soldi, armi e Imam sufficienti a condizionare i gruppi terroristici e a indottrinarli. E’ la nascita del terrorismo islamico a cui, senza volerlo, l’Urss dà un enorme contributo invadendo l’Afganistan proprio quell’anno. Invasione che durerà un decennio, durante la quale da ogni parte dell’Oriente e del Golfo Persico affluiranno in Afganistan i mujahedeen, i combattenti della jihad, la Guerra santa. Guerriglieri che dopo la sconfitta dell’Urss nell’89, apprese le peggiori tecniche terroristiche, si trasferiranno in un certo numero di Paesi in tutto il mondo e commetteranno gli più atti efferati nei successivi Anni ottanta.
Uno degli eventi più importanti di quel decennio è la formazione dell’asse Iran – Siria, i due mortali nemici di Israele, sciita l’uno in gran parte sunnita l’altra. Nell’82, l’asse da vita al movimento terrorista islamico Hezbollah in Libano, un Paese che ospita parte dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, che è in guerra con Israele, e che da parecchio tempo è dilaniato da un conflitto civile. Hezbollah, che nell’83 farà saltare la caserma dei marines americani a Beirut uccidendone 241, istruirà tra l’altro i “martiri”, i terroristi bombaroli suicidi, che diverranno un incubo per l’Occidente. L’Occidente si troverà così alle prese simultaneamente con il terrorismo islamico e con il terrorismo palestinese: tra le stragi commesse da quest’ultimo, l’Italia non scorderà mai quella dell’aeroporto di Fiumicino a Roma del 1985. Sciiti e sunniti sono sovente in conflitto tra di loro, ma si uniscono di fronte al nemico comune. Per l’Istituto di ricerca Rand, nel 1979 i gruppi terroristici in tutto il mondo erano 64, dei quali solo 2 di stampo religioso, tutti gli altri di stampo nazionalista o rivoluzionario. Ma in quindici anni il numero di questi ultimi salì a 26, in prevalenza di religione islamica e situati in Medio Oriente.
A sancire la svolta fu il crollo dell’Urss nel Natale del 1991, dopo la guerra tra l’America e l’Iraq. L’anno precedente, Osama Bin Laden aveva formato Al Qaeda, e l’Urss aveva riscontrato numerosi moti insurrezionali nelle sue Repubbliche musulmane. Il presidente russo Eltsin propose una coalizione antiterroristica al presidente americano Bush Sr. ma questi rifiutò. Il vuoto lasciato dall’Urss nei Paesi arabi prima suoi clienti fu pertanto colmato da Al Qaeda, che trovò seguaci un po’ ovunque, dalla Somalia allo Yemen, ma soprattutto in Afganistan, dove i talebani si insediarono nel 1994 con l’aiuto delle schegge impazzite dei servizi segreti pakistani, cioè di un Paese in teoria alleato degli Usa. Nel 1988, Bin Laden, allora un irreperibile fantasma, fece esplodere le ambasciate americane in Kenya e Tanzania e annunciò l’avvento del “Fronte islamico mondiale per la Guerra santa contro gli ebrei e i crociati” con il compito di uccidere i non musulmani. Ma iI suo bersaglio principale era l’America, dove già nel 1993 i terroristi islamici avevano minato il garage delle Torri gemelle, fortunatamente senza abbatterle. E’ tuttora incomprensibile che la Superpotenza abbia sottovalutato quell’avvisaglia e si sia lasciata cogliere impreparata il 9 settembre del 2001, dopo che uno o due anni prima un possibile attacco aereo alle Torri gemelle era stato raffigurato persino sulla copertina di un libro sul terrorismo.
Quando il presidente americano Bush Jr. reagì alla ferocia di Al Qaeda minacciando “una crociata” in Afganistan e in altri Paesi che lo proteggevano nascostamente, la First Lady Laura lo pregò di non usare quel termine per non esporsi all’accusa di volere una guerra di religione. Ma in realtà una nuova crociata, crociata islamica, o controcrociata che dir si voglia, Al Qaeda e Hezbollah l’avevano già lanciata. Il terzo millennio in Medio Oriente e in Europa era iniziato nel loro segno, per essi l’America e Israele erano il demone da seppellire e l’Europa era la loro accolita. Nei futuri libri di storia del jihadismo, si parlerà probabilmente del primo decennio del Duemila non tanto a causa del dittatore iracheno Saddam Hussein quanto di Bin Laden e del leader di Hezbollah, Hassan Nesrallah (l’unico dei tre ancora in vita), che seppero fare tremare l’Occidente con atroci massacri da Madrid a Londra, reclutando anche “Foreign fighters”, ossia combattenti russi, europei e americani. Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale l’Occidente si sentì indifeso dall’invasione occulta di gruppi jihadisti organizzati e “martiri” isolati.
L’uccisione di Bin Laden nel 2011, su ordine del presidente americano Obama, sembrò foriera della fine di Al Qaeda, dei talebani e della guerra dell’Afganistan, come anni prima l’uccisione di Saddam Hussein era parsa foriera della fine della Guerra dell’Iraq. Ma non lo fu. Nel 2013, lo Stato islamico iracheno, formato soprattutto da militari sunniti antiamericani, si unificò con la Al Qaeda siriana, prendendo il nome di Stato Islamico dell’Iraq e della Siria o Isis, con capitale a Ragga in Siria, il movimento più letale del secondo decennio del Duemila. Nel 2014, l’Isis proclamò la restaurazione del Califfato islamico nei due Paesi, attirando integralisti e fondamentalisti da tutto il Medio Oriente e altrove. Al suo interno, prese il sopravvento il wahhabismo, una spietata dottrina estremista che vuole lo sterminio dei “pagani”. Mentre in Europa si verificavano tragedie come quella del Bataclan a Parigi con 130 giovani morti, la regione dell’Isis divenne terra di nessuno, dove si consumarono crimini contro l’umanità e scomparvero intere città, con sporadici interventi militari ora russi, ora americani.
Oggi Hezbollah dà segno di volere spalleggiare Hamas con gli incredibili arsenali che possiede, dai missili ai droni, quasi tutti di provenienza iraniana. Hassan Nasrallah, secondo cui la ragione di essere del suo movimento è che Israele cessi di esistere, dispone di almeno 20 mila combattenti e di altrettanti riservisti, un numero che potrebbe raddoppiare in caso di guerra. Hezbollah percepisce dall’Iran 700 milioni di dollari all’anno e forma uno Stato separato nello Stato libanese, con rapporti anche con la Russia e con la Cina. Ma prevenire o fermare un suo intervento contro Israele non è la sola misura che l’America e l’Europa dovrebbero prendere. Si sa che i servizi segreti americani ed europei collaborano strettamente nelle aree di crisi. Ma i loro governi dovrebbero formare una coalizione antiterrorista, se possibile anche con gli Stati arabi moderati, che operi in Medio Oriente e nell’Africa del Nord e infiltri ed elimini le diverse formazioni islamiche. Le due regioni, un tempo stabili grazie ai discussi protagonisti del passato, dal presidente egiziano Mubarak a quello libico Gheddafi, sono oggi una polveriera.
La Primavera araba sognata da Obama, è bene ripetere, rimarrà una chimera se l’America e l’Europa non s’impegneranno allo sviluppo economico, sociale e culturale del Medio Oriente e del Nord Africa, prevenendo la Cina e la Russia. Sinora, lo sfruttamento del petrolio arabo è stato il movente principale se non l’unico della politica dell’Occidente nel mondo dell’Islam, ma a lungo andare le fonti alternative di energia renderanno il petrolio meno importante, forse secondario. Con le rivoluzioni che la tecnologia prospetta, in particolare quella dell’intelligenza artificiale, Europa e America devono pacificare queste regioni e il Golfo Persico prima che si creino nuovi mezzi di distruzione di massa che potrebbero finire nelle mani sbagliate. Per sopravvivere e progredire, il mondo dell’Islam dovrà abbandonare le controcrociate delle sue formazioni armate, come fece il mondo cristiano circa 800 anni or sono. E dovrà sconfessare le teocrazie più rigide, come l’Iran, che insegna ai suoi giovani l’odio anziché la tolleranza.
Ennio Caretto