Passati i controlli vi si apre un mondo davanti. Il famoso Decumano è un mega corridoio coperto, pieno di gente (tantissime le scolaresche in gita) con i padiglioni dei vari paesi disseminati a destra e a sinistra. Esteticamente sono quasi tutti bellissimi. Meritano sicuramente una fotografia, o anche due. Alcuni però sono andati decisamente “fuori tema”, considerando che l’Expo è improntato sul cibo (attuale e del futuro), sull’ecosostenibilità, sul nutrire il pianeta, ecc…
Tra quelli visitati di persona alcuni risultano più o meno come un ufficio di agenzia viaggi. La Slovenia per esempio sponsorizza le sue montagne e le sorgenti termali, ma di cibo esposto o in vendita o in degustazione non vi è traccia. A parte un chiosco-bar minuscolo. La Repubblica Ceca invece se l’è cavata con una piscina e un “chiringuito”, con in mezzo una grande statua di un passero, con un’ala di aereo, che si trasforma in una macchina. Significato artistico abbastanza nascosto, ma il sito espositivo riscontra un successo notevole tra il pubblico giovane anche perché ci si può accomodare su una sdraio a bordo vasca sorseggiando una tradizionale birra Pilsner.
Molto minimal invece gli spazi riservati ai Paesi più piccoli nei vari cluster tematici: riso, cereali e tuberi, cacao e caffè. Praticamente sono stanze semivuote, con un paio di poster e due televisori e qualche addetto che si illumina in volto appena vede due visitatori entrare. Ma dentro non c’è proprio nulla che ricordi l’alimentazione. Almeno due chicci di riso o di caffè potevano esporli, non dico venderli. Comunque di coda da fare lì non ce n’è mai, quindi un veloce giretto perlustrativo vale la pena farlo.
Ma sono anche altri i padiglioni, molto belli da fuori, tipo la Cina o il Vietnam, che dentro non hanno nulla che si rapporti con il cibo, nonostante siano Paesi dalla grande cultura gastronomica. E neanche ci sono spazi dove cucinare e presentare i propri piatti tipici. Cosa invece che ci si aspetterebbe praticamente da ogni protagonista dell’Expo.
Per dire la Francia e la sua decantata cuisine. Il padiglione è originale, una sorta di cantina con i cibi tipici appesi al soffitto. Ma ci aspetterebbe uno spazio ristorazione con una decina di tavoli, con magari un’alternarsi di cuochi transalpini. Invece nulla ed è un vero peccato. Malesia e Thailandia invece vi fanno accomodare in alcune sale con schermi a tutta parete in cui proiettano filmati sul loro Paese e sulla loro cucina tradizionale. Stop. Poche parole, minime spiegazioni. Almeno la Thailandia ha uno store dove vende alcuni prodotti tipici. Ma è fra i pochissimi che hanno adottato questa politica.
Magari fra qualche settimana sarà possibile trovare più prodotti tipici in vendita, in quanto, come mi è stato raccontato da una hostess dell’arabeggiante padiglione dell’Oman (Paese grande produttore di miele), le merci sono tuttora bloccate dalla dogana italiana. A breve, si spera, potranno trovare sistemazione sugli scaffali di molti padiglioni.
Il Giappone
Chi invece ha preso molto sul serio l’Expo e il suo significato è senza dubbio il Giappone, il cui padiglione, fra quelli visitati per ora, vince per distacco su tutti i concorrenti. Appena entrato è stato il mio punto di riferimento primario. C’era già gente in coda fin dal primo mattino, ma la coda era all’ombra (tenete conto anche di questo particolare, visto che il sole gira ed al pomeriggio venti minuti sotto il sole possono essere molto più pesanti da sopportare di mezz’ora all’ombra). Dal Paese del Sol Levante sono sbarcati in massa a Rho-Fiera. Le hostess le trovate ogni dieci metri, pronte a rispondere ad ogni domanda o curiosità. Smaltita la breve coda si entra in un padiglione multimediale in cui il protagonista è il cibo giapponese e come si prepara. Non racconto altro delle varie sale in cui vi faranno accomodare per non togliere l’effetto sorpresa. Vi dico solo che è tutto molto… touch screen. All’uscita dell’ultima sala, poi trovate il ristorante tipo fast food, ma anche lì irrompe la tecnologia con le prenotazioni e la scelta dei piatti effettuata su schermi al plasma. Non c’è problema di traduzione dato che accanto ad ogni schermo c’è un’addetta pronta ad aiutare il turista che si smarrisce tra un piatto e l’altro. O semplicemente non sa cosa schiacciare per ordinare del sashimi.
Il ristorante “Minokichi”
Accanto alla zona fast food (con i piatti a cura di famosi ristoranti giapponesi che si alterneranno ogni due mesi) però c’è anche il celeberrimo “Minokichi”, tipicissimo ristorante di Kyoto fondato nel 1716, che ha portato all’Expo cuochi, cameriere e vettovaglie per far provare ai visitatori l’esperienza di un pranzo tradizionale giapponese.
Del “Minokichi” si è molto parlato per via dei prezzi del suo menù, che si chiama Kaiseki, che vanno da 80 a 220 euro.
Quattro le possibilità di scelta, peraltro molto chiaramente specificate e indicate sia sulla carta che dalle gentilissime cameriere. Nessuno vi obbliga né ad entrare né a consumare (non ci sono trabocchetti o fregature).
Anzi l’entrata del “Minokichi” risulta fin troppo nascosta, senza particolari indicazioni. Solo chiedendo ad una delle innumerevoli hostess mi è stata indicata la porta d’accesso.
I menù comprendono un minimo di 10 portate diverse: si tratta di piatti minimal di vario tipo, dal pesce alle verdure, dalla carne alle zuppe, con gran finale del rito del the verde e una granita al bergamotto da applausi. Il tutto viene cucinato davanti ai vostri occhi da cuochi espertissimi e servito su piatti decorati a mano o scodelle smaltate tipiche della tradizione nipponica.
Come detto si tratta di una scelta personale, quella di vivere un’esperienza gastronomica particolarissima a due passi da casa. L’alternativa è prendere l’aereo, farsi 9600 chilometri e andare a Kyoto. Dove tra l’altro lo stesso menù ha prezzi che variano da 110 a 300 euro. Quindi più cari. Dunque non esporrò scontrini, come accaduto nei giorni scorsi da altri avventori, per poi scatenare il web sul tema “Oh ma quanto è caro l’Expo!”.
Se si vuole mangiare a costo zero ci si può sempre portare un panino da casa e una bottiglia vuota da riempire alla casetta dell’acqua. Al contrario di quel che accade negli aeroporti, nessuno all’ingresso vi farà delle storie. E comunque all’interno dell’esposizione ci sono baracchini per lo street food, ristoranti per ogni Regione nel Padiglione Italia, la zona Nutella, la Terrazza Martini, lo stand della Franciacorta, i salumi Beretta, la birra Moretti e tanti, tanti altri.
Tranquilli: c’è da mangiare e da bere in quantità senza dovervi per forza svenare.
Il “Minokichi” in ogni caso rimane un’esperienza indimenticabile.
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