Per Henry Kissinger, il principe della diplomazia americana, che ebbe ben diciassette incontri con lui, Vladimir Putin era “un patriota ultra nazionalista con una concezione quasi mistica della Gran madre Russia”, gelido e ferreo. Trattare con lui, ammonì, sarà difficile perché non riconsegnerà mai all’Ucraina ciò che le ha sottratto, né permetterà mai che entri nella Nato, la vorrà neutrale nella forma e succube nella sostanza. Kissinger non si spinse oltre, ma oggi che la dottrina “Maga” di Trump (Make America great again, fare di nuovo grande l’America) rischia di tradursi in un tradimento dell’Ucraina e dell’Ue da parte di Washington, è d’obbligo chiedersi che piani Putin nutra sull’Europa nell’incipiente epoca dell’asse con Trump, il Trumputinismo. Trump si è schierato al suo fianco, all’Onu ha votato a suo favore assieme alla Cina, la Corea del Nord e l’Iran, il blocco delle dittature, dandogli pressoché via libera su Kiev. Il mio timore è che, come Trump, anch’egli abbia elaborato una dottrina che ci costerà assai caro, la “Muga”, dove la u sta per Urss non per Russia (Make Urss great again, fare di nuovo grande l’Urss). Non sono certo l’unico a sospettare che lo zar, come viene erroneamente chiamato dato che ricorre a metodi stalinisti, miri a ripristinare in Europa l’ordine di Yalta del 1945, ossia la consegna dei suoi Stati orientali a Mosca da parte di Washington oltre che di Londra, disfacendo l’Ue se non anche la Nato.
Guerra non solo verbale all’Ue
A chi obbiettasse che il mio timore è infondato, ricorderei che dall’invasione dell’Ucraina tre anni fa Putin ha condotto una guerra non solo verbale nei confronti dell’Occidente, demonizzandolo come un mondo di corruzione e di depravazione, attentando alle sue risorse naturali e alle alte tecnologie, sabotando i trasporti e le comunicazioni, mobilitando contro di esso i Brics, il gruppo dei colossi emergenti, e via seguito. Dopo essersi impossessato della Crimea undici anni fa, e avere occupato parte della Georgia, Putin ha anche interferito nella politica interna dell’intera regione limitrofa, in particolare in Moldavia e in Romania. In Romania, dove alle elezioni del 2024 vinse il candidato putinista Georgescu, privato più tardi della presidenza dalla più Alta Corte del Paese per i brogli del Cremlino, sono finiti in carcere la scorsa settimana sei congiurati che preparavano un golpe con due diplomatici russi, subito espulsi. Qualche giorno fa, Putin ha dichiarato che la Russia “non è interessata a territori altrui”, ma da tempo egli tiene sotto controllo le più vicine ex Repubbliche sovietiche dell’Asia. E’ probabile quindi che intenda ripristinare la sfera d’influenza dell’Urss in Europa. Ne sono convinte la Finlandia e la Svezia che hanno abbandonato la loro storica neutralità e sono entrate nella Nato, la Polonia, la più scomoda vicina, e soprattutto l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, anch’esse ex Repubbliche sovietiche, che si stanno riarmando.
La nuova guerra fredda
Nei mei ultimi dieci anni di lavoro come corrispondente del Corriere della Sera a Washington, dal 2000 al 2010, assistetti a tutti i vertici di Putin con tre Presidenti americani, nell’ordine Bill Clinton, George Bush Jr. e Barack Obama. Inizialmente, furono incontri costruttivi. “E’ un leader preparato con cui potremo lavorare bene” disse Clinton nel 2000. “Gli ho letto nell’animo, collaboreremo” si sbilanciò Bush nel 2001. “Meglio di quanto pensassi” confermò più cautamente Obama nel 2009. Autoinganni? Affatto, perché dapprincipio Putin soddisfò gli inquilini della Casa Bianca, Bush Jr. specialmente, a cui offrì sostegno dopo la strage delle Torri Gemelle di Manhattan e ai cui caccia e bombardieri aprì i cieli russi nella Guerra dell’Afghanistan, ottenendo in cambio nel 2002 un posto nel Consiglio della Nato. Ma si trattò di effimere lune di miele. Bush Jr. si alienò Putin cancellando il trattato sui missili antimissili, invadendo nel 2003 l’Iraq, un Paese cliente della Russia, e optando per un futuro ingresso dell’Ucraina nella Nato. E Obama non seppe ricucire il rapporto privilegiato col Cremlino, preferendo concentrarsi su un’illusoria “primavera araba”, il passaggio dell’Islam alla democrazia, e sul confronto con la Cina, a suo giudizio la prossima superpotenza. Nel susseguente clima di nuova guerra fredda con Mosca, Washington installò missili ed eresse barriere missilistiche nell’ex Europa comunista, sempre più vicino alle frontiere russe.
Provocato e umiliato
In Europa, Italia inclusa, politici e studiosi eminenti sostengono che di fatto l’America ha provocato e umiliato Putin negandogli il ruolo di comprimario che spetta alla Gran Madre Russia, la seconda potenza nucleare al mondo, mettendolo in condizione di inferiorità militarmente, e strappando vari Paesi alla sua sfera d’influenza. Non hanno tutti i torti. Nel 2008, l’ultimo anno della sua presidenza, Bush Jr. Tentò di portare l’Ucraina e la Georgia nella Nato, tentativo bloccato dall’Inghilterra, dalla Germania e dalla Francia, e mandò i marines a esercitazioni militari congiunte con truppe ucraine in Crimea (dovettero ritirarsi dopo tre soli giorni) come preludio a un inserimento nel Mar Nero, il “Mare nostrum” russo, il cui accesso è limitato da un trattato internazionale. E nel 2014 Obama o chi per lui sussidiò la rivolta del Maidan o dignità a Kiev, un golpe occulto ai danni del presidente filorusso Janukovyc che aveva rifiutato di entrare nell’Ue, e a cui subentrò l’industriale Porosenko, detto il re della cioccolata, un informatore dell’Ambasciata americana. Tra le sue gravi conseguenze vi furono lo scoppio della guerra civile nel Donbass, una provincia ucraina russofona, e la crescente ostilità di Putin nei confronti della Casa Bianca. Con l’elezione di Trump, un ammiratore di Putin, a Presidente nel 2016, l’America si riavvicinò alla Russia, ma all’elezione di Biden nel 2020 riesplose la nuova guerra fredda, quasi una condanna a morte per l’Ucraina.
“Riformatore della Patria”
Questi precedenti, tuttavia, non giustificano l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 né la condotta di Putin nei confronti dell’Ue, e tanto meno il suo ripristino dello stalinismo in Russia. Mentre è vero che l’America, che non ha rinunciato alla sua vocazione imperiale, gli ha impedito di associarsi all’Ue e alla Nato e gli ha frodato il potere in parte dell’ex Urss, è altresì vero che egli ha piegato al proprio volere tutti i governi che ha potuto con i brogli e con le armi. Il percorso di Putin, contro cui Trump minaccia (fievolmente) sanzioni se non porrà fine al conflitto con l’Ucraina, è cosparso di crimini politici in casa, di cui quello ultimo di Navalny è forse il più efferato, e di crimini di guerra all’estero. Putin ha ripetutamente violato i trattati da lui firmati e il più spesso non ha mantenuto la parola data, e quanti hanno cercato il dialogo con lui, come l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel, sono rimasti delusi. Come fidarsi di un accordo su Kiev? Probabilmente lo rispetterebbe finché Trump, a cui si dice che sia legato anche da interessi finanziari personali, restasse alla Casa Bianca, ma lo disconoscerebbe subito dopo. Cito daccapo Kissinger: “Putin vuole passare alla storia come vi passò Pietro il Grande”, e aggiungo “o come Lenin”, il rifondatore della Patria, l’architetto della sua ennesima ascesa a superpotenza. Il suo sogno di grandezza comporta l’abbattimento di qualsiasi ostacolo, di qui il dovere dell’Ue di sapersi difendere.
Riarmo e difesa
Analizziamo le dichiarazioni più recenti di Putin. “La Russia non rinuncia a cosa è suo”. Ma chi determina cosa è della Russia? Lui. “La Russia non abbandona chi la ha aiutata nel bisogno, la Cina, la Corea del Nord e l’Iran”. Ma non sono i nemici, veri o presunti, dell’Occidente? “Macron è come Napoleone”, ossia il Presidente francese che ha osato sfidarlo farà la fine dell’imperatore che osò invadere la Russia. E ancora “Un’Ucraina neutrale potrebbe fare parte dell’Ue”. Traduzione: sotto un governo fantoccio, sarebbe per il Cremlino un utile cavallo di Troia a Bruxelles. Il rimedio al suo neoimperialismo, ripeto, è esclusivamente un’Ue armata, con un suo deterrente atomico, se possibile all’interno della Nato visto che Trump non vuole sostenerne più le spese. Putin è un ex colonnello del Kgb, l’odiata polizia politica sovietica, ha sempre ragionato e continua a ragionare da posizioni di forza, sa bene di non potere esagerare con chi è alla pari o quasi con lui. Distinguere tra “riarmo” e “difesa” a suo riguardo, come si fa in Italia, quasi fossero due cose diverse mentre non lo sono, significa prestarsi al suo gioco. L’Ue deve essere forte, molto forte, perché siamo a una svolta epocale, gli equilibri internazionali realizzati con la Seconda guerra mondiale stanno cedendo a poco a poco e occorre trovarne in fretta altri. L’Europa non deve essere suddita né dell’America né della Russia, semmai deve essere l’ago della bilancia tra di esse.
Basta muri
In America, la destra repubblicana paragona Trump a Reagan, il Presidente che con Gorbaciov gestì il crollo dell’impero sovietico senza bagni di sangue, quasi un miracolo. Ma Reagan e Gorbaciov erano leaders che demolivano i muri che separavano i popoli o che dividevano in due i loro Paesi come il Muro di Berlino. Trump e Putin sono l’opposto, leaders che i muri li alzano, si tratti di dazi o di bunker, di culture o finanze, di alleati o avversari. Il mondo ha già avuto un secolo dei muri, dalle due Coree a Israele, quello passato, e non ne vuole un secondo. L’Europa, la migliore civiltà di oggi, si adopri affinché questo sia un secolo senza muri.
Ennio Caretto