L’agroalimentare biologico italiano è sempre più cooperativo. “Il 25% del valore della produzione biologica italiana è infatti in quota alle coop agroalimentari che hanno visto consolidare negli ultimi anni la loro quota di mercato sia nella produzione primaria (con picchi del 30-40%) che in quella trasformata”. Lo ha detto Giorgio Mercuri, presidente Alleanza delle Cooperative Agroalimentari (che raccoglie pressoché tutte le sigle del settore), partecipando a Bologna all’inaugurazione dell’edizione 2018 del Sana, Salone internazionale del biologico e del naturale.
Sempre dal punto i vista delle cooperative, ci sono filiere come quella dell’ortofrutta fresca e trasformata, del settore avicolo e di quello del latte e derivati, “che registrano – ha aggiunto Mercuri -, volumi di vendita in crescita costante per le loro referenze biologiche: mi riferisco al latte e allo yogurt, alle uova, alle carni bianche, alla frutta e verdura. A queste si aggiungono poi le tante cooperative che stanno via via scegliendo di ampliare la loro gamma di prodotti con nuove linee biologiche: penso alla pasta, all’olio, al vino, al miele, o, più di recente, ai trasformati di pomodoro o ai succhi”.
Se questa è la realtà di oggi, Mercuri ha anche sottolineato come occorra valorizzare il metodo di produzione e trasformazione in filiera “partendo da una forte aggregazione della base produttiva”. Rispetto invece alla competitività di lungo periodo, lo strumento principe per lo sviluppo del biologico resta, secondo il sistema della cooperazione agroalimentare, la politica agricola comunitaria: “Speriamo che la PAC post-2020 prospetti per il biologico una regia più ampia e una strategia globale di sviluppo: non possiamo più permetterci – ha concluso Mercuri – una distribuzione delle risorse e una logica degli interventi basata solo sulle necessità territoriali”.